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Eni, Santa Maria della Giustizia: un tesoro da liberare

TARANTO – E’ sempre un bene quando singoli cittadini, associazioni, comitati, politici, sindacalisti, operai e quant’altri, “reagiscono” al nostro lavoro dicendo la loro. Questo è sempre stato un giornale aperto e mai chiuso verso l’esterno. Ma è, più di ogni altra cosa, vero: nel senso che pur con i suoi grandi limiti strutturali ed economici, cerca sempre di dire la verità informando. E’ per questo che qui accanto trovate pubblicata per intero la nota che “Archeoclub Taranto” ci ha inviato nella tarda serata di lunedì, in merito all’articolo pubblicato su queste colonne nella stessa giornata dal titolo “Riapre S. Maria della Giustizia. Regalo Eni per Tempa Rossa”.

Prima di entrare nel merito della questione, è bene sottolineare la mediazione svolta dalla collega Alessandra Congedo, responsabile del sito “inchiostroverde.it”, portale sul quale l’associazione culturale tarantina ha letto l’articolo in questione. “Archeoclub Taranto” ha espresso la propria “indignazione” attraverso un messaggio privato sul profilo Facebook della testata giornalistica online gestita dalla collega. Che giustamente ha invitato l’associazione a informare il giornalista autore dell’articolo in questione e la nostra testata del loro disappunto, visto che il testo di ogni nostro articolo viene prima pubblicato sul giornale e poi postato sul sito “inchiostroverde.it”, che non finiremo mai di ringraziare per la sempre puntuale e gratuita collaborazione con questa testata. Questo piccolo preambolo era doveroso farlo, anche per chiarire ai lettori le “strane” dinamiche che contraddistinguono la società multimediale nella quale viviamo.

Ciò detto, proviamo a fare un po’ di ordine. Punto primo: alla nostra redazione, così come a quella del portale inchiostroverde.it, non è giunta alcuna comunicazione in merito alla conferenza stampa organizzata da Archeoclub Taranto nella sede della Soprintendenza giovedì mattina. Fattore che evidentemente ha colpito anche le altre redazioni, visto che erano presenti soltanto un’emittente televisiva ed una singola testata. Ecco perché l’articolo, al primo rigo, iniziava con una frase eloquente: “La notizia ci è giunta di straforo”. Punto secondo: quando nell’articolo in questione parliamo di “apertura di tutte le chiese monumentali” facciamo chiaro riferimento al progetto “Chiese aperte 2013” dell’Archeoclub Italia, non a tutte le chiese di Taranto e provincia. Avremmo dovuto forse aggiungerlo, ma ci sembra una critica alquanto pretestuosa. Punto terzo: a quanto ci è dato apprendere, anche leggendo i report dei colleghi presenti alla conferenza stampa di giovedì, l’evento di domenica scorsa ha ottenuto anche e soprattutto la collaborazione della Soprintendenza dei beni architettonici e paesaggistici di Taranto.

Non essendo stati presenti alla conferenza stampa di giovedì, ci è appunto mancato il tassello di chi avesse avuto per primo l’idea, ma anche in questo caso reputiamo la sottolineatura dell’Archeoclub ingiustamente polemica. Punto quarto: ci appare alquanto fuori luogo accusarci di “uso indiscriminato” del nome dell’associazione, in quanto Archeoclub nell’articolo è citato appena due volte su un testo che si estende su ben due pagine. Punto quinto: nel testo non vi è un solo punto in cui scriviamo che Archeoclub Taranto ha in comune qualcosa con il famoso progetto dell’Eni denominato “Tempa Rossa”. Punto sesto, il più importante di tutti: l’iniziativa è di per sé lodevole. Ma s’inserisce in un contesto molto particolare che né Archeoclub Taranto, né soprattutto la Soprintendenza possono ignorare. Perché quando si scrive “il fatto che sia stato inglobato alla fine degli anni 60 all’interno della raffineria non vuole dire che non si debba più aprire al pubblico” e che “anzi è proprio attraverso la riapertura di questi siti che va sensibilizzata la gente ed è proprio questo il fine che ci prefissiamo. Va fatto capire alle grandi industrie che faremo di tutto per riappropriarci di quei beni che sono all’interno delle loro aree, che ci appartengono”, si commette un errore a nostro giudizio molto grave. Perché la Soprintendenza sa molto bene che il sito monumentale di Santa Maria di Giustizia rientra in un accordo tra Comune ed Eni (con supervisione del ministero dei Beni Culturali) all’interno del progetto “Tempa Rossa”.

Ci sono le carte a testimoniarlo. E quando denunciammo l’accaduto, prima nel 2011 e poi all’inizio del 2012, non ricordiamo note “indignate” da parte dell’Archeoclub Taranto o di altre associazioni impegnate nella salvaguardia dei tanti tesori presenti sul nostro territorio. Eppure ci si sarebbe dovuti indignare eccome. Il 27 ottobre 2011 fu pubblicato sul sito del Ministero dell’Ambiente il decreto di VIA (num. Prot. 573 firmato il 20 settembre precedente, ndr) del progetto “Tempa Rossa”: allegato al decreto vi era un documento a firma del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, datato 11 luglio 2011. Nel testo si ripercorreva tutto l’iter della vicenda che si concludeva nel giugno del 2011, mese a cui risaliva l’ultima nota della Soprintendenza, in cui si diceva che all’Eni sarebbe spettato il “completamento delle opere di consolidamento e restauro dell’ala nord-est di epoca normanna; la revisione e l’incremento degli impianti interni ed esterni; la manutenzione ordinaria e straordinaria delle componenti consistente nella registrazione degli infissi, nella tinteggiatura di pareti e volte, nella revisione delle coperture; il completamento degli allestimenti dei blocchi servizi; la manutenzione ordinaria e straordinaria dell’alloggio del custode; la sistemazione della corte interna e dell’area nord, alle spalle della Chiesa; la realizzazione di una recinzione lungo i confini Ovest e Sud, a chiusura dell’area di pertinenza esterna che conserva alcuni esemplari dell’antico uliveto.

A tal fine dovrà essere elaborato specifico progetto da parte dell’Eni previo accordi con questa Soprintendenza e sulla base di specifica convenzione da stipulare con la Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici della Puglia”. Il tutto per una spesa di un milione di euro. Tutto questo l’Archeoclub Taranto non può non saperlo o, tutt’al più, ignorarlo. E l’indignazione dovrebbe essere ancora più grande sapendo che questa compensazione ambientale, è stata ottenuta in cambio dell’ok ad un progetto che aumenterà (come certificato dalla stessa Eni) l’inquinamento dell’aria dovuto all’aumento delle emissioni diffuse. E’ inammissibile che un bene architettonico e storico risalente al 1119 sia stato inglobato dall’area della raffineria sin dagli anni ’60. Così come riteniamo assurdo portare cittadini di Taranto o addirittura forestieri in “gita” in un luogo dove l’aria è perennemente irrespirabile, dove peraltro “l’area di accesso e visuale al mare è “oscurata” dalla presenza dei serbatoi della raffineria”.

Tra l’altro, l’ottenimento del parcheggio, è una vittoria di Pirro: perché Archeoclub Taranto dovrebbe ben sapere che in qualunque momento, avvicinarsi all’area parcheggio dell’Eni è praticamente impossibile per il cittadino, in quanto la stessa è controllata da vigilantes nemmeno fossimo in presenza di una zona militare. Il tutto ci appare quindi una sorta di “mediazione” inaccettabile. Se davvero vogliamo cambiare la storia di questa città, partendo dal riappropriarci dei nostri beni architettonici più preziosi, il punto di partenza dev’essere quello di liberare per sempre il nostro territorio dagli stabilimenti della grande industria. E soltanto dopo recuperare, ripristinare e restituire alla collettività beni che le appartengono di diritto. Questo continuo mediare non serve a nessuno. Non serve alla città, ai cittadini ed al suo futuro. Non serve all’ambiente, né alla salute di ognuno di noi. Anche se, a pensarci bene, a più di qualcuno quanto sopra può servire eccome. Ad maiora.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 15.05.2013)

LA NOTA INVIATA DALL’ARCHEOCLUB AL TARANTOOGGI

Archeoclub d’Italia Onlus è un’ associazione culturale che rappresenta un grande movimento di opinione pubblica al servizio dei Beni Culturali ed Ambientali. L’Associazione da oltre quarant’anni è impegnata nella valorizzazione del patrimonio culturale del paese, e da oltre diciannove anni aderisce al progetto “Chiese Aperte” in collaborazione con la CEI. Anche quest’anno apre le porte con i suoi volontari di chiese, abbazie e cripte, generalmente chiusi o in stato di abbandono, e quindi sottratti alla fruizione dei cittadini. Un’ottima occasione dunque per riscoprire le antiche radici della nostra civiltà e le sue forme artistiche più suggestive. L’Archeoclub d’Italia sede locale di Taranto ha aderito a questa importante iniziativa gestendo e offrendo al pubblico il servizio guida presso il complesso monumentale di Santa Maria della Giustizia nella giornata di domenica 12 maggio 2013. Non abbiamo aperto, dunque, come da voi scritto tutte le chiese, e il giorno e il servizio offerto valeva solo per domenica 12 maggio, inoltre,  è un progetto di Archeoclub d’Italia e non della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici delle Province di Lecce, Brindisi e Taranto.

Sempre l’Archeoclub sede locale di Taranto ha chiesto:

  1. al Comune di Taranto delle transenne per chiudere una piccola area che ospitava una cisterna e pertanto pericolosa, e una pattuglia dei vigili urbani per l’attraversamento pedonale della Ss. 106;
  2. all’Eni, invece, è stato richiesto sempre dalla nostra associazione, l’uso del parcheggio.

Il nostro intervento vuole riportare l’attenzione su un sito di notevole valore architettonico, per evitare che altri pezzi della nostra storia scompaiano. Il fatto che sia stato inglobato alla fine degli anni 60 all’interno della raffineria non vuole dire che non si debba più aprire al pubblico. Anzi è proprio attraverso la riapertura di questi siti che va sensibilizzata la gente ed è proprio questo il fine che ci prefissiamo. Va fatto capire alle grandi industrie che faremo di tutto per riappropriarci di quei beni che sono all’interno delle loro aree, che ci appartengono! C’è stata una conferenza stampa giovedì 09 maggio alle ore 09.30 nella sede della Soprintendenza e degli organi di stampa, da noi Archeoclub invitati,non si è vista traccia, fatta eccezione di Blustar e Gazzetta del Mezzogiorno. Il vostro articolo ci ha indignato in quanto noi non abbiamo niente in comune con il progetto “Tempa Rossa” e ci offende l’uso indiscriminato del nostro nome in argomenti che non ci riguardano.


 

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