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“Riapre” Santa Maria della Giustizia. Il regalo Eni per Tempa Rossa

TARANTO – La notizia ci è giunta di “straforo”. Il complesso monumentale di Santa Maria della Giustizia, è stato riaperto al pubblico da ieri (con orario di visita 10-19). La notizia è stata diffusa dall’ufficio operativo della Soprintendenza dei beni architettonici e paesaggistici di Taranto. Stando a quanto abbiamo appreso, l’iniziativa è stata caldeggiata anche dall’Archeo Club Taranto, che ha promosso la riapertura al pubblico di tutte le chiese monumentali. Per far sì che tutto si svolga senza problemi, il Comune di Taranto ha messo a disposizione una squadra di vigili della Polizia Municipale per facilitare ai visitatori l’attraversamento stradale della SS 106. I visitatori potranno parcheggiare le loro auto nell’area solitamente riservata ai lavoratori della raffineria Eni. Che si è occupata della manutenzione delle aree circostanti la chiesta monumentale.

La compensazione mascherata

Bene. Forse in pochi ricorderanno che dell’argomento ce ne occupammo con una lunga inchiesta nel gennaio del 2012. Che completò un lungo lavoro sulle vicende Eni che abbiamo seguito e seguiamo tutt’ora da anni. Come sempre, per capire di cosa stiamo parlando, siamo costretti a riannodare i fili del passato e ritornare al lontano 2009, anno in cui l’Eni presentò il primo progetto della nuova centrale Enipower a turbogas da 240 MW: nelle compensazioni ambientali previste vi era, infatti, anche “la sistemazione a verde dell’area circostante la Chiesa di Santa Maria della Giustizia”, che dal lontano 1967 è stata “ingoiata” dagli enormi serbatoi della raffineria. Poi, due anni dopo, esattamente il 20 settembre 2011, ci fu una conferenza stampa presso la Sede operativa di Taranto della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici, alla quale partecipò anche l’attuale direttore della raffineria Eni di Taranto, Carlo Settimio Guarrata.

In quell’occasione si presentò un evento inedito: un gruppo jazz, il “The Jazz Set”, doveva tenere proprio presso il complesso monumentale di Santa Maria della Giustizia (sito in contrada Rondinella, a Taranto, S.S. 106 Jonica Taranto-Reggio Calabria al km 3) un concerto musicale: tra i serbatoi e l’odore acre del gas della raffineria. Un evento nell’evento, visto che la Chiesa risultava oramai abbandonata da oltre quattro secoli: l’Eni, main sponsor della serata, finanziò interamente il progetto. Il tutto venne spacciato come “occasione per la città di riappropriarsi di un monumento preziosissimo per la sua storia e come ipotetico inizio di un nuovo rapporto tra la città e la grande industria”. E come fosse cosa buona e giusta da parte dell’Eni “sovvenzionare tale evento, per “concedere” ai tarantini la possibilità di usufruire, almeno per una sera, di un bene architettonico appartenente alla loro storia e di come fosse giusto dare “visibilità al bello”. Peccato che il tutto fosse soltanto il contorno disegnato attorno ad un’altra, inquietante, verità.

Il 27 ottobre 2011 fu pubblicato sul sito del Ministero dell’Ambiente il decreto di VIA (num. Prot. 573 firmato il 20 settembre precedente, ndr) del progetto “Tempa Rossa”: allegato al decreto, trovammo un documento a firma del Ministero per i Beni e le Attività Culturali datato 11 luglio 2011. Grazie al quale scoprimmo che la compensazione prevista inizialmente per il progetto della centrale Enipower, la sistemazione a verde dell’area circostante la Chiesa di Santa Maria della Giustizia, era finita nelle compensazioni per il progetto di “Tempa Rossa”. Quando la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le provincia di Lecce, Brindisi e Taranto, rispose alla richiesta di compatibilità ambientale avanzata dall’Eni (nota datata 20/05/2010), fu proprio l’ente stesso a sottolineare come “l’area di accesso e visuale al mare è “oscurata” dalla presenza dei serbatoi della raffineria” e che nel progetto di “mitigazione e compensazione” dovesse essere previsto un “arricchimento con ulteriore impianto di appropriate essenze arboree”.

Inoltre, veniva specificato che “è auspicabile a titolo compensativo che la società richiedente contribuisca all’intervento di consolidamento e restauro del complesso demaniale, tuttora in corso di esecuzione a cura di questa Soprintendenza”. Sempre in quella nota del 2010, la Soprintendenza superava se stessa, scrivendo che “l’Eni dovrà inoltre porre in essere ogni dispositivo ed applicare le più moderne tecnologie atte a contenere le emissioni di gas maleodoranti dall’impianto di raffineria che determinano, con frequenza, oggettivo limite alla permanenza prolungata all’interno dell’area monumentale”. E mentre la “Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici della Puglia” e la “Direzione Generale per l’antichità” non opposero alcuna obiezione al progetto, la “Soprintendenza per i beni archeologici della Puglia” richiese almeno un “servizio continuativo di sorveglianza archeologica”, visto che il sito monumentale di Santa Maria della Giustizia si trova in un comprensorio territoriale caratterizzato da “un’intensa frequentazione archeologica, riferibile ad epoche diverse”.

Ma l’assenso finale, come detto, spettava sempre alla Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le provincia di Lecce, Brindisi e Taranto, la quale con due diverse note (del 27/05/2011 e del 20/06/2011) conferiva al progetto “Tempa Rossa” il proprio assenso, previo ottemperanza delle prescrizioni stabilite. Ovvero il “completamento delle opere di consolidamento e restauro dell’ala nord-est di epoca normanna; la revisione e l’incremento degli impianti interni ed esterni; la manutenzione ordinaria e straordinaria delle componenti consistente nella registrazione degli infissi, nella tinteggiatura di pareti e volte, nella revisione delle coperture; il completamento degli allestimenti dei blocchi servizi; la manutenzione ordinaria e straordinaria dell’alloggio del custode; la sistemazione della corte interna e dell’area nord, alle spalle della Chisea; la realizzazione di una recinzione lungo i confini Ovest e Sud, a chiusura dell’area di pertinenza esterna che conserva alcuni esemplari dell’antico uliveto”.

Il tutto per una spesa di un milione di euro. Infine, i due righi che dimostravano come quel 20 settembre 2011, Soprintendenza ed Eni non fecero altro che recitare un copione del quale entrambe conoscevano lo spartito: “A tal fine dovrà essere elaborato specifico progetto da parte dell’Eni previo accordi con questa Soprintendenza e sulla base di specifica convenzione da stipulare con la Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici della Puglia”. A chiudere il cerchio, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali che scriveva come “l’attuazione delle prescrizioni può consentire una positiva ricaduta per il medesimo territorio sia in termini di valorizzazione del complesso monumentale, sia in termini di fruibilità dello stesso da parte delle popolazioni locali”. Oggi, a distanza di quasi due anni dal concerto del 2011, Soprintendenza ed Eni ci ripresentano la stessa iniziativa, con l’appoggio dell’Archeo Club Taranto. I cui aderenti probabilmente non sanno nulla di quanto sopra.

Più lavoro per tutti. Ma dove?

Tornando al progetto “Tempa Rossa”, che stando alle notizie in nostro possesso attende ancora la concessione edilizia da parte del Comune di Taranto, dalla Basilicata provengono notizie poco rassicuranti. Il management della francese Total, concessionaria del sito insieme alla Shell ed alla giapponese Mitsui, ha infatti dichiarato che “imprese e ditte appaltatrici e sub-appaltatrici di lavori, disponendo di totale autonomia, non sono tenute a garantire la manodopera locale”. Questo significa che le imprese locali e regionali hanno poche speranze di acquisire commesse e che la situazione rischia di ripercuotersi sulle maestranze locali. Le piccole e medie imprese presenti sul territorio hanno come dipendenti in stragrande maggioranza operai e dipendenti lucani e quindi in caso di penalizzazione o esclusione dagli appalti (anche per subforniture), rischiano di non poter garantire nemmeno la continuità delle attuali maestranze a causa della stasi del comparto dell’edilizia pubblica.

E pensare che Cgil, Cisl e Uil lucane si erano date l’obiettivo di rivendicare una quota di assunti lucani pari all’80% del totale: un traguardo che dopo le parole della Total, appare quanto mai irrealizzabile. Ma governo centrale e Regione possono ancora fare qualcosa: i due enti infatti, potrebbero concordare una misura straordinaria, da estrapolare dal Memorandum sul Petrolio, perché in attesa di incrementare le royalties del petrolio lucano (Taranto invece può ottenere soltanto compensazioni perché è lì che si estrae il petrolio, ndr), chi assume manodopera locale possa avere vantaggi fiscali sul costo del lavoro più consistenti. In pratica, un provvedimento ad hoc per le 1.600 assunzioni della Total. E a Taranto qual è la situazione? Come riportammo lo scorso 18 marzo, è stata la società svizzera ABB, gruppo leader nelle tecnologie per l’energia e l’automazione, ad aggiudicarsi un ordine del valore di 40 milioni di dollari per estendere il terminale di esportazione della raffineria ENI di Taranto, lavoro previsto nel progetto “Tempa Rossa”, per cui l’Eni ha investito 300 milioni di euro.

Per garantire lo svolgimento delle attività di carico e l’ancoraggio stabile delle navi durante il carico del greggio, ABB fornirà nuovi sistemi elettrici, tutte le apparecchiature meccaniche e i sistemi di automazione necessari. Il progetto sarà realizzato dal “Centro di Eccellenza per gli impianti oil and gas” di ABB in Italia, che sarà responsabile dell’ingegneria, dell’approvvigionamento e della costruzione (EPC) del nuovo impianto, inclusa la gestione generale del progetto e il pre-commissioning (processo che si attua per dimostrare la capacità di condutture e tubazioni dei sistemi di contenimento del prodotto senza perdite, ndr). Inoltre, ABB fornirà tutte le apparecchiature elettriche tra cui i quadri di bassa e media tensione, il sistema di controllo, la cabina elettro-strumentale, le apparecchiature meccaniche e di processo, il generatore diesel e il sistema antincendio. La fine dei lavori è prevista per agosto 2015. L’unica speranza, quindi, è che ABB richieda manodopera locale. Eventualità molto remota, visto che la multinazionale svizzera con sede centrale a Zurigo, è presente in Italia con oltre 5mila dipendenti dislocati in unità produttive ubicate nel Nord e nel Centro Italia, specialmente in Lombardia, e difficilmente affiderà i lavori a società ed azienda tarantine.

Per non parlare del fatto che l’oleodotto che collega la Val d’Agri a Taranto (che trasporta il petrolio estratto in Basilicata alla raffineria di Taranto e che sarà utilizzato anche per il greggio estratto dal sito “Tempa Rossa”), è gestito dalla Società Oleodotti Meridionali – SOM SpA, che altro non è che una società controllata dalla stessa Eni al 70% e dalla Shell al 30%. Dunque, ciò che sta accadendo in Basilicata, molto probabilmente si ripeterà a Taranto. Ma ricordiamo male o i sindacati e le istituzioni locali (salvo quest’ultimi rimangiarsi la parola in un penoso Consiglio comunale dell’autunno scorso) hanno sempre ribadito la positività del progetto “Tempa Rossa” anche per le ricadute occupazionali sul territorio? Ricordiamo bene o nel 2012 gli stessi insieme a Confindustria manifestarono all’esterno del Comune in appoggio ai progetti dell’Eni?

E che garanzie possono offrire alla città in merito? Per una volta, evitiamo di elencare le ricadute ambientali, ovviamente negative, che il progetto “Tempa Rossa” avrà sul nostro ambiente. Grazie al ministero dell’Ambiente, alla Regione, al Comune ed alla Provincia che negli anni non hanno opposto resistenza alcuna al progetto in questione, in cambio otterremo però la possibilità di visitare un sito archeologico di rara bellezza, che gentilmente l’Eni ci concederà per qualche ora al giorno, pur essendo un bene comune del territorio tarantino. Siamo al delirio puro. Ma finché non ci ribelliamo a questo stato di cose ed in più ci affanneremo ad invadere come tanti assetati le stazioni di benzina dell’Eni quando ci comprano con qualche centesimo in meno al litro d’estate, la realtà non cambierà. Perché per cambiare l’esistente, ognuno di noi dovrà prima cambiare mentalità.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 13.05.2013)

 

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