Dopo il varo della legge “salva Ilva” e la decisione della Corte Costituzionale, l’azienda si era rivolta alle varie sedi (Procura, gip, tribunale del Riesame e tribunale dell’appello) per ottenere lo sblocco dei prodotti trovando sempre la strada sbarrata. Uno spiraglio si è aperto soltanto per il dissequestro di una fornitura di tubi destinata all’Iraq, il cui contratto e’ antecedente al sequestro avvenuto il 26 novembre scorso, e per la quale l’Ilva avrebbe dovuto far fronte a costi e penali per circa 30 milioni di dollari se non fosse stata consegnata entro lo scorso 5 maggio.
Il resto dei prodotti finiti e dei semilavorati (tubi, coils e lamiere), pari a circa un milione e 700mila tonnellate per un controvalore commerciale compreso fra 800 milioni e un miliardo di euro,è tuttora bloccato. Alle richieste di dissequestro avanzate dall’Ilva dopo il pronunciamento del 9 aprile della Consulta, i giudici hanno sempre risposto affermando che l’istanza aziendale non poteva essere accolta mancando appunto le motivazioni delle decisioni della Corte Costituzionale. Fino ad allora, infatti, si era in possesso di un sintetico comunicato stampa della Consulta.
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