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Ilva, Vignola affonda i sindacati

“Sull’Ilva si è registrato negli anni un fragoroso silenzio da parte dei sindacati e una disattenzione dei governi che si sono succeduti a livello locale e nazionale”. Non ha usato mezzi termini il procuratore generale di Lecce, Giuseppe Vignola, aprendo i lavori del convegno “Il caso Ilva di Taranto” svoltosi ieri a Lecce. Vignola ha espresso forti critiche soprattutto sull’atteggiamento del sindacato, “che ha mantenuto il silenzio nonostante la gravità di una situazione visibile a tutti”, e anche contro la proprietà (prima di Stato e poi dal 1995 del gruppo Riva, ndr) “che dal 1982 non ha mai inteso adempiere alle prescrizioni della magistratura”. Un attacco frontale ai sindacati metalmeccanici locali e nazionali che non lascia spazio alcuno a repliche che ovviamente non ci sono state. Del resto, da sempre su queste colonne sottolineiamo le enormi responsabilità dei sindacati che dopo anni di silenzio, negli ultimi hanno provato ad imbonire operai e cittadini con la favola dell’eco-compatibilità, termine che ancora oggi non è presente nel vocabolario della lingua italiana.

Eppure i nostri prodi (compresi i politici locali) sono ancora tutti lì, ognuno al suo posto di “comando”: nessuno di loro è stato sfiorato dall’idea che fosse arrivato il momento di fare un passo indietro. Ancora oggi infatti, trattano l’argomento Ilva con un’arroganza senza pari, figlia di un sistema politico-economico destinato, prima o poi, a travolgere anche loro. Presenziano convegni, consegnano premi, sono presenti ad ogni riunione istituzionale sulla “vertenza Taranto”, fieri del loro ruolo e della loro storia. Beati loro. Persino il gip Patrizia Todisco, nell’ordinanza di sequestro preventivo dell’area a caldo firmata lo scorso 25 luglio, ha definito gli atti d’intesa sottoscritti negli anni (2003, 2004, 2005 e 2006, ndr), la “più grande presa in giro dell’Ilva”. Che si è potuta realizzare soprattutto grazie alla connivenza di istituzioni e sindacati. Quest’ultimi, quando chiedemmo loro perché non avessero mai controllato che gli impegni presi dal gruppo Riva venissero realizzati all’interno del siderurgico (sottoscritti dagli stessi sindacati, ndr), ci risposero così: “Non era nostro compito controllare”.

Il procuratore generale di Lecce ha poi esaminato i vari articoli della Costituzione, che vengono di volta in volta utilizzati per esaltare il prevalere di un interesse rispetto ad altri, ricordando ancora una volta che “la magistratura non poteva prescindere dall’esercizio dell’azione penale” e che, allo stato attuale, la ricerca di soluzioni che possano salvaguardare il diritto alla salute e quello al lavoro “non spetta solo alla magistratura ma a tutti i soggetti istituzionali coinvolti nella vicenda”. Presente al convegno anche Mario Buffa, presidente della Corte d’appello di Lecce, che ha invece lanciato un allarme non di poco conto: la possibilità che “dopo la legge ad aziendam fatta dal Governo, della cui costituzionalità continuiamo a dubitare anche dopo la pronuncia della Consulta di cui attendiamo le motivazioni, c’è il rischio che a Taranto tutto resti come prima”. Buffa ha sottolineato come sia “inaccettabile” il ricatto occupazionale messo in atto dall’azienda e precisato che l’obiettivo del convegno giuridico di Lecce è stato quello di “tenere desta l’opinione pubblica”.

E dodici…

Intanto, ieri mattina si è verificato l’ensimo incidente all’Ilva, dopo i due nell’arco di solo 12 ore della giornata di martedì (il dodicesimo dall’inizio dell’anno, ndr). Un operaio, Luigi Papa, mentre era impegnato nella chiusura di un rotolo di acciaio nell’area del terzo sporgente del porto gestito dal siderurgico (come anche il 2, 4 e 5, ndr), è scivolato cadendo su un altro rotolo di lamiera battendo la spalla. Il lavoratore ha avvertito un forte dolore ed è stato subito accompagnato in infermeria per accertamenti. Per fortuna, anche in questo caso non si sono registrati danni permanenti o gravi: ma è giunto il momento di fare chiarezza su cosa stia realmente accadendo all’interno dell’Ilva. Perché è inaccettabile che nel più grande siderurgico d’Europa si verifichi ogni giorno un incidente sul lavoro.

Senza che nessuno, da parte dell’azienda, senta il bisogno di spiegare. Specie a fronte dell’incredibile denuncia (anche questa arrivata con un ritardo ingiustificabile, ndr) dei sindacati di martedì, che hanno sostenuto la tesi secondo cui all’interno dell’Ilva manchi il piano di sicurezza d’emergenza. Sull’argomento i sindacati hanno chiesto un incontro all’azienda, sulla quale, peraltro, incombe un’altra giornata di sciopero. Il 17 maggio, infatti, potrebbe verificarsi una nuova protesta a seguito del mancato riconoscimento dell’inquadramento. I sindacati hanno già fissato la data dell’astensione dal lavoro ma intanto chiedono risposte dall’Ilva, facendo presente che il discorso dell’inquadramento è stato già disciplinato dal 2010.

Quesito da 1 milione di dollari…

Dunque, i sindacati lamentano mancate risposte da parte dell’Ilva Spa sul tema della sicurezza. Ma un’azienda che deve ancora approvare il bilancio dell’esercizio del 2012, che non ha ancora presentato un piano industriale né un piano finanziario a copertura degli investimenti previsti per il regolare rispetto delle prescrizioni presenti nell’AIA, secondo quale principio dovrebbe essere interessata a rispondere in merito alla sicurezza dei lavoratori? Perché i sindacati non chiedono conto del perché il gruppo Riva ha staccato l’Ilva Spa dalla Riva FIRE, oggi Riva Forni Elettrici? Perché non chiede il rientro immediato da Londra del vicepresidente del gruppo Fabio Riva? Perché denunciano soltanto oggi l’assenza del piano sicurezza? Come mai non sentono il bisogno, di fronte ad un’incertezza generale, di bloccare l’intera fabbrica o la statale 100 o le vie della città come avvenuto più volte la scorsa estate? Domande alle quali come sempre non avremo risposta. Del resto, dopo essere rimasti silenti per anni, restano “fedeli alla linea”.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 09.05.2013)

RACCOLTA DI FIRME PER STEFANO DELLI PONTI: SI RICOMINCIA

Dovrà ricominciare la raccolta di firme a sostegno di Stefano Delli Ponti, l’operaio colpito da una grave forma di tumore al collo e per il quale, nelle scorse settimane, i colleghi dell’Usb si sono mobilitati raccogliendo migliaia di adesioni con le quali viene chiesto all’azienda di trasferire all’operaio ammalato il corrispettivo di 9mila ore di lavoro e di ferie, pari a 70mila euro lordi. Soldi che servono al lavoratore per sottoporsi ad un intervento negli Stati Uniti. In un incontro che si è svolto ieri, Ilva e sindacati metalmeccanici Fim Cisl, Fiom Cgil e Uilm Uil hanno concordato che le firme dovranno essere raccolte di nuovo su moduli specifici e che l’iniziativa dovrà far capo a queste ultime sigle sindacali in quanto maggiormente rappresentative. Lunedì scorso, infatti, l’Unione sindacale di base che aveva rilanciato il caso di Stefano Delli Ponti, aveva consegnato materialmente le firme raccolte all’operaio e poi l’aveva accompagnato all’Ilva per farlo incontrare con i rappresentanti della direzione dello stabilimento. Qui, però, era sorto il primo problema nel senso la delegazione non era stata ricevuta dall’azienda. Era così scattata una protesta immediata, con blocco della strada antistante la direzione dell’Ilva e l’occupazione di una sala di ingresso della stessa direzione. In seguito la situazione si era risolta. A Delli Ponti è stato comunicato che il suo caso sarebbe stato esaminato in un incontro specifico, cosa avvenuta oggi. Già lunedì in una nota, l’Ilva, pur riconoscendo il problema del lavoratore, aveva ricordato come iniziative di questo tipo, peraltro disciplinate dal contratto di lavoro dei metalmeccanici, debbano sottostare a regole precise in modo da garantirne trasparenza e legalità. Nell’incontro di ieri, Fim, Fiom e Uilm hanno evidenziato all’Ilva di aver posto già da molto tempo il caso di Stefano Delli Ponti senza però ricevere risposta dall’azienda.

 

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