Aula dedicata a vittima della mafia. Con don Ciotti anche il procuratore Sebastio. Assenti Stefàno e Florido
TARANTO – Ci si aspettava un riferimento diretto alla questione ambientale da parte di don Luigi Ciotti ed invece è arrivata dal procuratore capo Franco Sebastio, davanti ad un’importante platea in cui spiccava l’assenza del sindaco Stefàno e del presidente della Provincia Florido. L’occasione è stata data dall’ intitolazione a “Giambattista Tedesco” dell’aula V dell’ex convento di San Francesco, occupata adesso dall’Università di Bari e Taranto, dipartimento ionico in sistemi giuridici ed economici del Mediterraneo: società, ambiente, culture. Incisive e toccanti le parole del sacerdote, presidente di ‘Libera’ , che da anni combatte tutte le mafie.
“Siamo stanchi di parole vuote. Abbiamo bisogno di parole di carne”. Il sacerdote non ha parlato direttamente della vicenda Ilva ma ha puntato il dito sull’assunzione di responsabilità da parte della politica e dei singoli per il bene comune. “Occorrono parole dure ma documentate e a servizio del bene comune perché i poteri forti, le lobby, i giochi di potere non continuino a vincere. Ed è importante la cultura. Per questo mi emoziona intitolare ad una vittima di mafia, morta per mano della Sacra Corona Unita, un’aula universitaria. Perché è la cultura che risveglia le coscienze ed i 6 milioni di analfabeti in Italia preoccupano. È la cultura il termometro dello stato di salute della democrazia di un Paese. Conoscere per essere più responsabili”.
Poi il riferimento all’associazione ’12 giugno’ nata a Taranto per ricordare le morti bianche avvenute per lo più in fabbrica. “Non si può morire per lavoro, per cercare lavoro o perché si è perso il lavoro. Il cambiamento ha bisogno di ciascuno di noi e la democrazia chiama in causa la Costituzione, che più di qualunque codice etico, deve essere nel nostro Paese la base della cultura e del costume”. Necessaria per don Ciotti sono la corresponsabilità e l’unione. “Solo unendo le forze le persone oneste possono farcela. La richiesta di cambiamento diventa forza di cambiamento. Il problema non è solo il male ma chi resta a guardarlo nell’indifferenza”.
Non poteva mancare un riferimento alla morte della moglie di Paolo Borsellino, Agnese. “Ho deciso di onorare l’impegno di questa mattina – ha proseguito don Ciotti – anche se il mio cuore era diviso. Volevo essere a salutare Agnese, che come Paolo è morta per la democrazia. Per vincere la battaglia contro la mafia bisogna trasformare il nostro no in noi. Il no alla mafia, a chi inquina, a chi calpesta la dignità dell’infanzia, deve diventare un noi. Non bastano le denunce. Servono le proposte. L’etica non può essere nelle professioni, ma essa stessa deve essere professione. La speranza oggi si chiama politica sociale, cultura, servizi, educazione, lavoro”.
Ad ascoltarlo, tra gli altri, anche il procuratore capo Franco Sebastio, che si è ricollegato nel suo intervento alle parole di don Ciotti. “Dopo millenni – ha detto – a Taranto c’è un risveglio delle coscienze. Ora occorre che da Roma si manifesti una nuova sensibilità verso la nostra città che è stata capitale della Magna Grecia e deve tornare ad esserlo. Questa città deve avanzare pretese verso il potere centrale. Don Ciotti ha fatto riferimento alla Costituzione italiana nel suo intervento. Essa prevede tutta una serie di diritti assoluti, uguali per tutti. Per alcuni però occorrono dei contemperamenti che facciano sussistere più diritti insieme. Questi contemperamenti valgono per tutti tranne che per un diritto: il diritto alla vita, anche se si tratta di una sola vita, a maggior ragione se parliamo della vita di bambini. Ecco perché quando sento parlare di contemperamento tra diritto all’ambiente, e quindi alla salute ed alla vita, e diritto alla libertà di impresa o al lavoro mi interessa capire, al di là dell’affermazione, cosa si intenda fare davvero. Occorre essere chiari e finire di girare attorno alle parole”.
Marina Luzzi per InchiostroVerde