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Ilva, una zattera nell’oceano

TARANTO – “Rivagroup.com diventa Riva Forni Elettrici e Ilva S.p.A.”. Questa la frase che ci accoglie aprendo il sito www.rivagroup.com, che per mesi è stato in “fase di ristrutturazione”. Fase che ha riguardato tutto il gruppo Riva e che abbiamo seguito, anche se con grande difficoltà, dalla scorsa estate. E che non si è ancora conclusa. Ciò che è certo è è l’isolamento finanziario, non soltanto fisico, dell’Ilva Spa dal gruppo Riva FIRE. Anche i nuovi badge degli operai infatti, non riportano più il famoso logo della famiglia Riva, ma un più semplice e consono “ILVA SPA”.

Cos’è la Riva Forni Elettrici? Per spiegarvelo, dobbiamo ancora una volta riannodare i fili degli ultimi nove mesi. O forse sarebbe meglio dire, per essere più precisi, degli ultimi sei. Dunque. Prima del fatidico 26 luglio, giorno in cui scrivemmo che nulla sarebbe più stato come prima, il business industriale della famiglia Riva dipendeva, per circa due terzi, dalla produzione del siderurgico tarantino. Ma come riportammo mesi addietro, per uno strano scherzo del destino, proprio da quel giorno iniziò la rivoluzione all’interno del gruppo Riva. Perché le date in questa storia hanno un ruolo fondamentale.

Il fatto è noto, ed è stato riportato anche dal Sole24Ore: in uno studio notarile lussemburghese, si dà il via al progetto di fusione di due delle holding estere del gruppo: la Parfinex SA e la Stahlbeteiligungen Holding SA. Prima di quest’operazione, il 25,38% delle quote dell’Ilva Spa era in possesso della Stahlbeteiligungen, con sede in Lussembrgo: il 5 ottobre 2012, questa quota viene conferita alla Siderlux, società posseduta al 100% da Riva FIRE. A questo punto, l’Ilva di Taranto appartiene – come quote societarie – per il 61,62% alla Riva FIRE e per il 25,38% alla Siderlux. In possesso della Stahlbeteiligungen SA restano la maggioranza dei pacchetti azionari delle acciaierie estere (non dipendenti quindi dalla produzione di Taranto) site in Canada, Belgio, Spagna, Germania e Francia.

Venti giorni dopo, il 26 ottobre, il ministero dell’Ambiente rilascia all’Ilva la nuova AIA, che per il ministro dell’Ambiente Corrado Clini, costerà all’azienda sino a 3,5 miliardi di euro. Soldi che certamente non potranno più essere attinti dalla cassaforte della lussemburghese Stahlbeteiligungen SA. Un mese dopo, il 26 novembre 2012, arriva il famoso sequestro di 1,8 milioni di tonnellate di acciaio, ancora oggi al centro di un lunga battaglia giudiziaria tra azienda e Procura. Ma se da un lato l’Ilva, tramite il presidente Bruno Ferrante, minaccia la chiusura del sito industriale di Taranto e di tutte le altre azienda connesse alla produzione dell’Ilva, la famiglia Riva procede spedita nel suo progetto di ristrutturazione. Il 19 dicembre 2012, infatti, la Riva FIRE (che controlla l’Ilva al 100% insieme alla Siderlux) cede alla Riva Forni Elettrici (che ha stabilimenti a Caronno Pertusella, in provincia di Varese, e a Lesegno, in provincia di Cuneo) il ramo aziendale che produce e commercializza i prodotti lunghi, insieme a 320,6 milioni di euro.

In questo modo, alla Riva FIRE restano i laminati piani a freddo e a caldo. Il 24 dicembre viene pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la Legge 231/12 (la conversione in legge decreto 207 del 3 dicembre ‘Salva-Ilva’), giudicata costituzionalmente legittima dalla Consulta lo scorso 9 aprile, con la quale il parlamento italiano autorizza l’Ilva a produrre, nonostante gli impianti siano stati posti sotto sequestro dalla magistratura e sia ancora in corso un’inchiesta penale. Ma ormai, ciò che doveva essere stato fatto è avvenuto: le attività estere del gruppo Riva sono al sicuro nella holding Stahlbeteiligungen SA, i prodotti lunghi sono in mano alla Riva Forni Elettrici mentre all’Ilva Spa sono rimasti solo i laminati piani a freddo e a caldo.

L’11 gennaio scorso, infine, il Consiglio dei Ministri nomina il Commissario per le bonifiche dell’area di Taranto, Alfio Pini, e il Garante per l’AIA-ILVA, Vitaliano Esposito: ma appena quattro giorni prima – il 7 gennaio – la riorganizzazione delle attività italiane ed estere e l’organigramma societario del gruppo Riva, si è concluso. L’obiettivo è stato raggiunto: l’Ilva di Taranto stata isolata dal tutto il resto. “Una serie di operazioni straordinarie”, le ha definite il Sole24Ore, “che eliminano intrecci fra società e che soprattutto, sulla carta, rendono più facile disporre del gruppo o di parti di esso, di fatto isolando l’Ilva e provando a proteggere il resto del gruppo industriale e finanziario da ogni iniziativa giudiziaria”.

La conferma che tutto oramai è compiuto, la si ha anche dai siti internet. Dagli stessi si legge infatti che il “Gruppo Riva Forni Elettrici – denominazione assunta dal 2013 – si configura come un insieme di società specializzate nella produzione di acciai lunghi al carbonio. Il posizionamento raggiunto a livello nazionale e internazionale – in oltre 50 anni di attività – è frutto di un’attenta politica di espansione che ha portato alla realizzazione di numerose acquisizioni. Il gruppo possiede 20 siti produttivi: 6 in Italia; 8 in Francia; 3 in Germania; 2 in Belgio; 1 in Spagna; 1 in Canada.

La produzione complessiva di acciaio nel 2012 è stata di 7.8 milioni di tonnellate. Fanno inoltre capo al gruppo nove società commerciali, due centri di servizio e due centri per il recupero del rottame (uno stabilimento in Canada ed un impianto di frantumazione in Francia). ILVA S.p.A. denominazione assunta dal 2013 – si configura come un insieme di societa’ specializzate nella produzione di acciai piani al carbonio e tubi saldati e lamiere. Il posizionamento raggiunto a livello nazionale e internazionale è frutto di oltre 100 anni di attività. Il gruppo possiede 15 siti produttivi: 6 in Italia; 1 in Francia; 1 in Grecia;1 in Tunisia. La produzione complessiva di acciaio nel 2012 è stata di 8.2 milioni di tonn.

Fanno inoltre capo al gruppo sei società commerciali e otto centri di servizio”. Come si può evincere da tutto questo, la nomina di Bondi come nuovo amministratore delegato, è stata la logica conclusione di una vastissima operazione finanziaria architettata dal gruppo Riva che in tanti, sbagliando, hanno dato per finito. Cosa ne sarà dell’Ilva di Taranto è sin troppo facile intuirlo. Certo, di più ne sapremo dopo aver letto il bilancio del 2012 e, se mai saranno redatti, il piano industriale e il piano finanziario per coprire gli investimenti previsti dall’AIA. Sin qui, nulla è stato fatto. E di certo c’è soltanto che Riva, da Taranto, è già andato via da tempo. E’ bene che tutte le parti in causa lo sappiano e se ne facciano una ragione. E ammettano che, “il ragioniere dell’acciaio”, ha vinto ancora una volta.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 27.04.2013)

 

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