Ma non c’è soltanto questo: “Oggi a Taranto dobbiamo considerare anche le problematiche dell’Ilva. Al momento non vale la pena investire 150 milioni: è più conveniente andare avanti con il vecchio impianto”. Stranamente, la notizia non ha trovato spazio alcuno sulla stampa e nei mass media locali. E come avevamo previsto, sull’argomento sono rimasti in religioso silenzio anche Confindustria Taranto e i sindacati, che invece quando “conviene” riempiono le redazioni di giornali e televisioni, con comunicati stampa del tutto inutili. Perché mentre quando si devono attaccare comitati e associazioni cittadine sono sin troppi bravi nel fare la voce grossa usando toni di altezzosa superiorità, quando si tratta di mostrare i muscoli per difendere l’economia del territorio e il lavoro dall’arroganza delle grandi industrie, i nostri diventano improvvisamente dei cuccioli indifesi. Stesso discorso vale per la classe politica, che pur quel progetto aveva ampiamente approvato e appoggiato, accettando compensazioni ambientali del tutto ridicole (piantumazione di 100 alberi nella zona industriale e il rifacimento della pista di atletica del centro sportivo Campo Scuola nel quartiere Salinella).
Oggi, invece, non una voce si leva per chiedere spiegazioni alla famiglia Caltagirone. Il quale, molto intelligentemente, ha lanciato un amo al quel in tanti stanno già abboccando: tirare in ballo la situazione dell’Ilva che oramai viene utilizzata per le giustificazioni più disparate. Certo, da sempre siamo i primi a sostenere come senza il siderurgico la Cementir abbia poco senso di esistere, visto che il cemento Caltagirone lo produce grazie alla loppa d’altoforno, sottoprodotto garantito dal processo di produzione della ghisa. “Non conviene”, dunque. Con il mercato italiano in continua flessione e una ripresa prevista non prima del 2014/15 e con il futuro dell’Ilva sempre più nebuloso, è meglio restar fermi a guardare. Che poi la Cementir continuerà a produrre, come affermato dallo stesso Caltagirone Jr con il vecchio impianto (avviato nel lontano 1964), non contribuendo di certo a migliorare lo stato dell’ambiente, sembra non importare a nessuno.
E così, mentre la Cementir si “congela”, anche il porto tentenna. E c’è già chi, facendo il più classico dei “2+2”, ha iniziato a sostenere un nuovo spot: “ecco cosa succede con l’Ilva ferma: la Cementir non investe e i traffici del porto crollano”. Ma anche in questo caso, la verità non è una sola. Perché sostenere che il calo dei traffici dello scalo ionico sia da addebitare al blocco dell’attività del siderurgico, è quanto meno demagogico. Com’è noto, nel 2012 si è registrato un calo generale del 15%. Ma il primo vero motivo, va ricercato altrove: in tanti, infatti, fanno finta di dimenticare quanto avvenuto nel settembre 2011. Quando Evergreen decise il trasferimento al Pireo di due delle quattro linee transoceaniche (per un traffico generale di 800mila TEU all’anno): non è un caso se il bilancio del 2011 si chiuse con un +4% pur in piena crisi economica.
Lo stesso presidente dell’Autorità Portuale, commentando i dati del 2012 sostenne come, pur essendo diminuito il traffico merci riguardante l’Ilva, si erano registrati dati positivi grazie alle attività di Vestas, Cementir, Eni ed altri operatori privati. Senza ignorare il fatto che una volta che partiranno i lavori sul terminal container, i traffici diminuiranno ulteriormente. Sempre restando in orbita porto, anche l’Autorità Portuale di Rotterdam, per giustificare la mancata sottoscrizione della join venture con lo scalo ionico, utilizzò la seguente espressione anglosassone: “no clear business opportunity”. Ovvero, senza alcuna possibilità di business chiaro. Esattamente un anno fa, nell’aprile 2012 nella suggestiva location del Castello Aragonese, Roger Clasquin, direttore del dipartimento dell’Autorità portuale di Rotterdam e addetto alle relazioni internazionali, lasciò intendere con grande chiarezza che l’interesse degli olandesi verso il porto di Taranto, era di natura unicamente industriale: non certo sul traffico container, visto che già oggi Rotterdam è il più grande terminal europeo.
Ma se l’Ilva trascinerà con sé la Cementir e parte del traffico dello scalo ionico, le responsabilità morali e politiche sono oramai chiare da anni. Soltanto chi è stato complice o ha fatto finta di non vedere, ha avuto bisogno dell’intervento della magistratura per “aprire” gli occhi. Perché se il ragionamento del “non conviene” vale per Cementir ed altri, figurarsi se non è valso per il gruppo Riva in tutti questi anni. Del resto, la logica del profitto additata dal gip Todisco, va a braccetto con la logica della convenienza economica.
Per quale motivo il gruppo Riva avrebbe dovuto investire miliardi di euro per ammodernare gli impianti, che tutti sapevano inquinassero, quando nessuno glielo chiedeva? Per quale motivo avrebbe dovuto investire miliardi per coprire i parchi minerari quando per anni gli è stato semplicemente chiesto di aumentare la filmatura e la bagnatura dei cumuli delle materie prime, innalzando al massimo quattro teloni di plastica? Per quale motivo avrebbe dovuto investire miliardi nell’area a caldo, per rendere meno impattanti le emissioni di acciaierie, altiforni e agglomerato, quando nessuno lo ha mai preteso per davvero? E per quale motivo dovrebbe farlo oggi quando tutti sanno che il ciclo vitale dei forni delle batterie della cokeria è oramai quasi giunto alla sua conclusione e quando l’impero di famiglia è oramai al sicuro?
Semplicemente, “non conviene”. E non lo farà. Né ora, né mai. Il gruppo Riva lo sta facendo capire in tutti i modi. Eppure, la stragrande maggioranza dei soggetti coinvolti continua a perdere tempo parlando di AIA non applicata, di rispetto delle prescrizioni in ritardo, di progetti solo sulla carta, di piani industriali e finanziari mancanti, di bilanci non approvati, di esposti alla magistratura, di risarcimenti economici e morali, di leggi anti-costituzionali, di referendum popolari inutili, di questo e di quell’altro. Ognuno con il suo infinito ego, con la sua tastiera, con la sua arroganza, con la sua presunzione, con la sua rabbia malata. E quando in giro per l’Italia si chiedono come mai a Taranto si sia così divisi, come mai ancora oggi non si sia messo il futuro, la salute di tutti al centro di tutto, come mai l’unico obiettivo non sia diventato la città come bene comune, la risposta non può che essere una soltanto: “Non conviene”.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 23.04.2013)
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