Istanza Ilva “inammissibile” – Pratica, retromarcia dell’azienda

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TARANTO – “Inammissibile”. Con questo aggettivo il gip di Taranto, Patrizia Todisco, ha respinto ieri l’istanza presentata dai legali dell’Ilva lo scorso 10 aprile, in merito al dissequestro dei prodotti, un milione e 700mila tonnellate tra lamiere, tubi e coils, bloccati dallo scorso 26 novembre all’interno dello stabilimento e sulla banchina del porto, nell’ambito dell’inchiesta giudiziaria per disastro ambientale. Il gip ha dunque sposato la linea assunta dalla Procura, che nei giorni scorsi aveva bocciato la richiesta di dissequestro. L’azienda aveva presentato l’istanza il giorno dopo il pronunciamento della Corte Costituzionale, che il 9 aprile ha giudicato costituzionale la legge 231/2012, la così detta ‘salva-Ilva’, che ha autorizzato l’azienda a produrre e a commercializzare anche quanto realizzato prima della stessa legge.

Le motivazioni del no della Procura sono basate sul fatto che al momento, della decisione della Corte Costituzionale, si conosce soltanto l’annuncio diramato peraltro attraverso uno scarno comunicato stampa e non il deposito delle motivazioni che avverrà nei prossimi giorni. Per questo, anche il gip ha rilevato che al momento non sussiste il fondamento giuridico per procedere al dissequestro del materiale richiesto dall’Ilva. Dunque, resta ancora sottochiave il milione e 700mila tonnellate che l’Ilva attende con ansia e che lo scorso 10 aprile intimò le venisse restituito “senza indugio”.

Dopo la decisione dei supremi giudici, l’Ilva riteneva infatti che non esistessero altri motivi ostativi allo sblocco delle merci. Peccato che la giurisprudenza segue altre logiche, che peraltro i legali dell’Ilva dovrebbero conoscere molto bene. Un errore di procedura davvero banale per il peso ed il livello assunto dalla vicenda. Che a breve potrebbe vedere anche un nuovo capitolo. L’azienda sta infatti pensando di chiedere un eventuale risarcimento danni per il blocco subito: “Lo valuteranno i nostri legali. Una stima esatta dei danni non l’abbiamo fatta però è evidente che la società nel suo complesso ha avuto ingenti danni” dichiarò la mattina del 10 aprile a Milano il presidente Ilva, Bruno Ferrante, durante una conferenza stampa.

Intanto, tra nuovi incidenti denunciati ed altri “prodotti” dall’incredibile scherzo di cui parliamo nelle pagine di cronaca del giornale, la vita della fabbrica prosegue, seppur sotto traccia. Si attende ancora infatti l’approvazione del bilancio 2012 da parte del consiglio di amministrazione dell’Ilva Spa. Soltanto una volta approvato il bilancio, sarà presentato il piano industriale che si attende, invano, da mesi. Un documento fondamentale per capire quello che accadrà nel prossimo futuro. E che chiarirà le prime intenzioni del lavoro che Bondi vorrà portare avanti. Dopo il piano industriale sarà il turno del piano investimenti a garanzia della copertura finanziaria degli investimenti previsti per far fronte agli interventi di risanamento sugli impianti dell’area a caldo previsti dall’AIA. Che in realtà doveva essere il primo documento che l’Ilva avrebbe dovuto presentare. Perché rispettare le prescrizioni AIA avrebbe dovuto essere il principale, se non l’unico vero obiettivo di un’azienda seria.

Ma come sappiamo anche dal documento dell’ARPA dello scorso 13 febbraio, “la situazione ambientale dello stabilimento non registra segni di miglioramento e la direzione non rispetta le prescrizioni AIA” e che “a parere dell’Agenzia, i differimenti temporali dell’attuazione delle prescrizioni non fanno altro che incrementare il danno ambientale”. Inoltre, come attestato anche dalla relazione redatta dai tecnici dell’ISPRA dopo il sopralluogo avvenuto dal 5 al 7 marzo scorso, l’azienda è in ritardo nell’ottemperare alcune importanti prescrizioni (soprattutto nell’area cokeria, che secondo una relazione del 4 giugno del 2010 dell’ARPA produce il 98% del benzo(a)pirene presente nell’aria dei Tamburi). Per non parlare del fatto che, al di là dello spegnimento dell’AFO 1 e delle batteria 3-4-5-6 (eventi programmati dall’Ilva ben prima del sequestro dell’area a caldo dello scorso 26 luglio), sino ad oggi non risultano attuati interventi per il rifacimento degli impianti. E proprio l’AIA sarà al centro dell’incontro tra il Garante e i sindacati metalmeccanici in programma lunedì. Insomma, tutto tace. Per ora.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 20.04.2013)

L’USB DENUNCIA L’ENNESIMO INCIDENTE

L’Usb, sindacato di base. denuncia l’ennesimo incidente sul lavoro all’interno dell’Ilva. Secondo quanto denunciato dall’USB, nella giornata di giovedì “si è sfiorata l’ennesima tragedia”. Il luogo del sinistro é l’area acciaieria, precisamente in zona Des-Sud, “dove il “carro Ormis”, per cause non ancora accertate, ha investito il mezzo di un’impresa terza, operante in zona, schiacciandolo”. Il conducente del mezzo, da quanto ha appreso l’USB, è rimasto illeso “solo grazie alla sua scaltrezza che gli ha consentito di portarsi rapidamente all’esterno dell’abitacolo evitando gravi conseguenze”. Preoccupata dei numerosi incidenti che si verificano oramai quotidianamente presso lo stabilimento, l’organizzazione sindacale di base USB, “ritiene improrogabile il ricorso ad una seria analisi di quanto accade” e, pertanto, invita “la Direzione Aziendale a riferire su quest’ultimo increscioso episodio, rammentando che la legge in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro prevede, in tali casi di incidente senza infortunio, la formale denuncia di “near miss”, tanto da rendere edotte le OO.SS., le RLS e i lavoratori stessi”. Alla luce di quanto sta accadendo, l’USB, “seriamente angosciata dall’escalation di incidenti che soltanto negli ultimi cinque mesi ha causato tre morti per infortunio ed altri gravissimi incidenti, chiede di essere convocata ufficialmente con   urgenza per discutere sulla carenza di sicurezza inopinatamente provata ormai, su cui marcia la produzione di acciaio trascurando ancora la centralità della persona”.

ILVA DI PRATICA: RETROMARCIA DELL’AZIENDA

L’Ilva chiederà la cassa integrazione per crisi aziendale e non più per cessazione dell’attività per i lavoratori dello stabilimento di Patrica, nel frusinate. E’ questo quanto emerso dopo un vertice svoltosi in giovedì Prefettura a Frosinone tra il prefetto Eugenio Soldà, i sindacati e il sindaco di Patrica, Denise Caprara, sulla vertenza in atto nel sito ciociaro. Nei giorni scorsi i settanta lavoratori hanno manifestato davanti ai cancelli del sito per dire no alla chiusura dello stabilimento di Patrica. “E’ solo un primo passo”, ha dichiarato il segretario provinciale della Fiom di Frosinone, Donato Gatti. “Chiediamo che lo stabilimento di Patrica sia inserito nel piano industriale nazionale dell’Ilva perché deve essere trattato come tutti gli altri”. Per l’Ilva di Patrica, dunque, sembra, a questo punto, scongiurata la chiusura. “E’ una buona notizia – commenta il sindaco Caprara – e ora ci sono più margini per trovare un accordo sul futuro del nostro stabilimento. Il prefetto ha garantito che sulla situazione di Patrica si farà portavoce presso la Regione Lazio e il ministero dello Sviluppo economico. Andiamo avanti per difendere il futuro dello stabilimento e tutti i posti di lavoro”.

 


 

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