L’Ilva attacca: “Ridateci l’acciaio”
TARANTO – Sono bastate appena dodici ore per tornare quelli di sempre. Perché il giorno dopo il pronunciamento dalla decisione della Consulta che ha ritenuto costituzionale la legge 231 approvata lo scorso dicembre, bisogna tornare a mettere ordine il più in fretta possibile. E per farlo l’Ilva ha scelto quella che da sempre è la sua arma migliore: l’attacco. Rivolto a chi ha osato mettere in dubbio l’esistente. Il primo obiettivo per l’azienda é ovviamente quello di tornare in possesso delle merci, un milione e 700mila tonnellate fra prodotti finiti e semilavorati, che il gip Todisco fece sequestrare lo scorso 26 novembre in quanto corpo di reato, perché realizzati con gli impianti dell’area a caldo che per la perizia epidemiologica hanno causato nei lavoratori e nella popolazione “fenomeni di malattia e morte”. Per anni e anni. Proprio ieri mattina infatti, di buon ora, i legali dell’azienda hanno depositato presso la cancelleria della Procura di Taranto un’istanza affinché l’Ilva torni in possesso, “senza indugio”, delle merci bloccate.
Ora che i supremi giudici si sono espressi a favore della legge ‘salva-Ilva’, l’azienda ritiene che non esistano altri motivi ostativi allo sblocco delle merci. Sebbene infatti nel decreto 207 e nella legge 231 fosse previsto il rientro in possesso del materiale, le merci sono rimaste sotto sequestro per volontà del gip sino alla pronuncia della Consulta ed ora soltanto un nuovo provvedimento dell’autorità giudiziaria potrà revocarlo. Ma l’Ilva non si fermerà a questo. Perché dopo aver sostenuto che la vendita del materiale ordinata dal gip Todisco il 14 febbraio scorso fosse precipitosa e non di sua competenza (la decisone arrivò dopo che i custodi giudiziari relazionarono sulla possibilità di deterioramento di alcuni prodotti e il conseguente danno all’azienda, versione sposata a dicembre dalla stessa Ilva), adesso l’azienda sta anche valutando la possibilità di richiedere un eventuale risarcimento danni per il blocco subito: “Lo valuteranno i nostri legali. Una stima esatta dei danni non l’abbiamo fatta però è evidente che la società nel suo complesso ha avuto ingenti danni” ha dichiarato ieri mattina a Milano il presidente Ilva, Bruno Ferrante, durante una conferenza stampa.
La sede non è casuale: a breve l’azienda ufficializzerà la nomina di Bondi come amministratore delegato. Ma soprattutto dovrà approvare il bilancio del 2012, anno in cui la produzione si è chiusa tra i 7 e gli 8 milioni di tonnellate. Nel 2013 la previsione è di una leggera flessione iniziale, per poi riprendere nella seconda metà dell’anno. Come annunciato giorni addietro, il Cda vedrà l’ingresso di personalità esterne. Ma soprattutto si darà il via all’operazione più importante della storia del gruppo Riva: la separazione, diventerà una società autonoma, dell’Ilva Spa dal gruppo Riva FIRE. Nella conferenza stampa di ieri, Ferrante ha inoltre dichiarato che a breve sarà finalmente reso noto il piano industriale “già definito e, nei prossimi giorni, probabilmente lo rivedremo alla luce della decisione della Consulta” (mossa che avevamo anticipato su queste colonne in tempi non sospetti) insieme al piano finanziario che dovrà garantire la copertura degli investimenti previsti dalle prescrizioni AIA.
A tal proposito, Ferrante ha tenuto a ribadire che “abbiamo il preciso dovere e la volontà di applicare tutte le disposizioni AIA e seguire le indicazioni del ministero dell’ambiente per salvaguardare i posti di lavoro e l’impresa ma anche l’ambiente e la salute dei cittadini”. Belle parole che però non trovano riscontro nei fatti. Anche perché proprio ieri è giunta al ministero dell’Ambiente, della Salute ed al Prefetto di Taranto Claudio Samamrtino, la nota datata 26 marzo a firma del Garante dell’AIA, Vitaliano Esposito, nella quale si certifica la mancata applicazione di 9 prescrizioni imposte nell’autorizzazione. Il tutto è il risultato dell’ispezione effettuata nello stabilimento dai tecnici ISPRA dal 5 al 7 marzo, al termine della quale è stata appurata la mancata copertura dei nastri trasportatori, dell’area di carico-scarico dei materiali, dei parchi di deposito dei materiali, ed il mancato contenimento delle emissioni in vari reparti dello stabilimento (domani approfondiremo nuovamente l’argomento).
Il Garante, dopo aver fatto propria la richiesta dei tecnici ISPRA di “procedere a diffida nei confronti di Ilva ad operare”, ricorda che eventuali sanzioni, così come indicato nell’AIA, vanno adottate dal Prefetto. Ma come riportammo il mese scorso, lo scorso 13 febbraio anche l’ARPA, in una nota inviata alla Procura, sottolineò come “la situazione ambientale dello stabilimento non registra segni di miglioramento e la direzione non rispetta le prescrizioni AIA” e che “a parere dell’Agenzia, i differimenti temporali dell’attuazione delle prescrizioni non fanno altro che incrementare il danno ambientale”.
Infine, a proposito della tutela dei posti di lavoro tanto decantata dallo stesso Ferrante anche ieri come punto cardine della volontà dell’azienda, nella giornata di ieri sono stati messi in ferie forzate i lavoratori dell’ex magazzino generale adibito a laboratori, vetreria e falegnameria situato nel reparto MUA, dove lunedì notte è crollata una pensilina esterna di ferro e cemento armato lunga 30 metri e larga 10, che avrebbe potuto causare una vera e propria strage qualora fosse avvenuta di mattina, visto che nel laboratorio i lavoratori impiegati svolgono soltanto il primo turno. Quello di lunedì è l’ottavo incidente dall’inizio dell’anno (di cui uno mortale, quello del 28 febbraio quando perse la vita il 42enne Ciro Moccia): da tempo infatti, gli operai hanno sottolineato come sia saltato “il sistema di sicurezza interno”. Tranquilli: da martedì è tutto a norma di legge. E nella tarda serata di ieri, la Procura ha disposto il sequestro del piazzale per consentire gli accertamenti tecnici.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 11.04.2013)