Questa decisione comporta che la produzione di acciaio dell’Ilva continuerà, pur dovendo seguire le prescrizioni fissate dall’AIA e contenute nel testo diventato legge il 24 dicembre scorso (pena alcune sanzioni come le multe “salatissime” pari alla sottrazione del 10% del fatturato fino alla perdita della proprietà anche se a questo il gruppo Riva, come riportato già da diverso tempo su queste colonne, ha provveduto per tempo). Ma significa anche che verranno dissequestrate il milione e 700mila tonnellate di materiale sequestrato dalla Procura in quanto corpo di reato lo scorso 26 novembre. Significa che, almeno per il momento, il comparto manufatturiero e della meccanica italiana potrà continuare ad approvvigionarsi dell’acciaio Ilva (l’impianto ionico soddisfa infatti il 40% del fabbisogno del mercato italiano) evitando così di approvvigionarsi dall’estero. Si conclude dunque, almeno per il momento, il conflitto giudiziario che ha visto la magistratura tarantina e l’Ilva in contrasto dallo scorso 26 luglio, quando avvenne il sequestro preventivo dell’area a caldo del siderurgico tarantino, con l’inopportuno ma quanto mai decisivo intervento dello Stato nell’intera vicenda.
Anche se le motivazioni della decisione saranno depositate prossimamente, in una nota ufficiale la Consulta ha spiegato che le norme della legge sull’Ilva “non violano i parametri costituzionali” perché “non influiscono sull’accertamento delle eventuali responsabilità derivanti dall’inosservanza delle prescrizioni di tutela ambientale, e in particolare dell’autorizzazione integrata ambientale riesaminata” e che le norme censurate “non hanno alcuna incidenza sull’accertamento delle responsabilità nell’ambito del procedimento penale in corso davanti all’autorità giudiziaria di Taranto”. Evapora dunque il ricorso del gip Todisco, secondo cui la ‘salva-Ilva’ viola ben 17 articoli della Costituzione, tra cui il 3 sul principio di uguaglianza e il 32 sul diritto alla salute, così come il 112 sull’obbligo dell’azione penale e il 107 sulle garanzie dei pm. Così come quello del Tribunale dell’Appello di Taranto, che nel suo ricorso definì il provvedimento del governo una legge ad hoc, un vestito su misura per l’Ilva, che creerebbe disparità tra le condizione concesse ai Riva e quelle previste per altri gruppi imprenditoriali.
E’ andata così, dunque. Ma attenzione: perché l’inchiesta per disastro ambientale proseguirà parallelamente a quella denominata “Ambiente svenduto”: e tirerà le sue conclusioni. Non sono infatti da escludere a breve nuovi provvedimenti da parte della Procura di Taranto. Esultano invece i sindacati metalmeccanici, Confindustria, Federacciai, così come la stragrande maggioranza dei partiti tradizionali che si sono da sempre schierati a sostegno della legge. E i tanti “amici, degli amici, degli amici” che popolano questa città. Ma il futuro dell’Ilva è tutt’altro che roseo. E dovrebbe spingere molti a più miti consigli e atteggiamenti.
Come abbiamo scritto più e più volte su queste colonne negli ultimi giorni infatti, i prossimi giorni saranno decisivi per il destino dell’Ilva. Il gruppo Riva a breve presenterà il bilancio 2012. Dopo di che nominerà Enrico Bondi, il grande manager liquidatore, amministratore delegato dell’Ilva Spa che diventerà una società del tutto autonoma rispetto al gruppo Riva FIRE, con l’ingresso nel Cda di personalità esterne al gruppo a tutt’oggi sconosciute. Sempre nei prossimi giorni dovrà essere presentato il piano industriale, così come il piano investimenti che dovrà garantire la copertura finanziaria agli interventi di risanamento degli impianti, stimati dall’azienda in oltre 2,5 miliardi di euro. Intanto, sino al marzo 2014, tutta la fabbrica sarà “occupata” con contratti di solidarietà.
E proprio lunedì sera, all’interno dello stabilimento, si è verificato l’ennesimo incidente: l’ottavo dall’inizio dell’anno, di cui uno mortale. Una pensilina in ferro e cemento di 30 metri di lunghezza e 10 di larghezza, adiacente una palazzina adibita a laboratori, vetreria e falegnameria, è crollata per cause in corso di accertamento. Nella struttura, vuota al momento dell’incidente, sono impegnati oltre 350 operai nel turno del mattino. I dipendenti ieri sono stati mandati a casa, in attesa di accertare le cause del crollo e l’agibilità della zona: l’Ilva, come sempre, ha minimizzato sull’accaduto. Ma poteva essere l’ennesima strage.
Probabilmente ieri sera, tantissimi tarantini avranno sentito una fitta allo stomaco. Un dolore sottile. Probabilmente in tanti saranno stati presi dallo sconforto. Perché ci sono giorni in cui la Storia può regalare un sogno cullato tutta una vita, riportando in vita, anche solo per un istante, i tanti che non sono più tra noi. Ed invece, quando il vento della Storia spira forte contro il volto di ognuno di noi, la sensazione che si prova è quella di chi è morto due volte. Ma gettare la spugna adesso sarebbe un errore, questo sì storico, davvero imperdonabile. Per questo, l’unica cosa che sentiamo di dire alla città di Taranto, è racchiusa in una frase che è la sintesi perfetta di ciò che questa città si trova a vivere in questo delicatissimo momento della sua millenaria storia. “Ai guasti di un pericoloso sgretolamento della volontà generale, al naufragio della coscienza civica nella perdita del senso del diritto, ultimo, estremo baluardo della questione morale, è dovere della collettività resistere, resistere, resistere come su una irrinunciabile linea del Piave” (Francesco Saverio Borrelli, 12 gennaio 2002).
Gianmario Leone (TarantoOggi, 10.04.2013)
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