Ilva, sarà l’ultima partita?
TARANTO – Il giorno tanto atteso è oramai alle porte. Domani mattina si svolgerà infatti l’udienza pubblica di fronte alla Corte Costituzionale chiamata a pronunciarsi sulla legittimità della legge 231, la così detta ‘salva-Ilva’, varata dal governo Monti il 21 dicembre 2012 e votata dal 95% dei parlamentari italiani, per salvare il gruppo Riva dall’azione della magistratura tarantina, e che consentì all’azienda di tornare in possesso dell’area a caldo per continuare a produrre, autorizzando la stessa a rientrare in possesso del materiale prodotto e sequestrato il 26 novembre scorso. Il tutto a condizione che il gruppo Riva agisca entro i limiti fissati dall’AIA, l’autorizzazione integrata ambientale rilasciata dal ministero dell’Ambiente lo scorso 26 ottobre, e dalle disposizioni anti-inquinamento, pena alcune sanzioni (come le multe “salatissime” pari alla sottrazione del 10% del fatturato) fino alla perdita della proprietà (anche se a questo il gruppo Riva, come riportato già da diverso tempo su queste colonne, ha provveduto per tempo). L’intera vicenda giudiziaria è oramai nota anche alle pietre, inutile quindi ripercorrerne ancora una volta tutte le tappe.
Da chi è composta la Corte e gli ammessi/esclusi
L’udienza di domani alla Consulta è la seconda a ruolo: Gaetano Silvestri il giudice relatore, Gabriella Palmieri e Maurizio Borgo gli avvocati dello Stato. Si è costituito Bruno Ferrante, presidente dell’Ilva, che sarà rappresentato dagli avvocati Luisa Torchia, Francesco Mucciarelli, Adriano Raffaelli. Ma hanno depositato memorie anche il Wwf, avvocato Alessio Petretti; Confindustria e Federacciai, legali Giuseppe Pericu e Fabrizio Pollari Maglietta; ed Angelo, Vincenzo e Vittorio Fornaro, gli allevatori che hanno dovuto abbattere centinaia di ovini avvelenati dalla diossina fuoriuscita dall’agglomerato Ilva: li assisteranno gli avvocati Giuseppe Mattina e Sergio Torsella.
La Corte ha facoltà di decidere in camera di consiglio sull’ammissibilità di questi interventi, perché di norma chi non è stato parte nel giudizio “a quo” (locuzione utilizzata in ambito giuridico per indicare il giudice di grado inferiore o di partenza in una determinata vicenda processuale quando solleva questione di legittimità Costituzionale di una norma, rivolgendosi alla Consulta, esso diventa, in relazione all’autorità adita, “giudice a quo”), ossia nel procedimento da cui ha preso origine l’azione promossa di fronte alla Consulta, non viene ammesso in questa fase. Questa è la posizione di Wwf, Confindustria e Federacciai, mentre appare più probabile l’ammissibilità degli interventi dei legali della famiglia Fornaro, perché questi ultimi sono parte lesa nel procedimento da cui è scaturita la richiesta alla Consulta.
Tra Codice penale, politica e tentazioni da Ponzio Pilato
Sul tavolo i giudici supremi si ritroveranno il ricorso del gip Todisco, secondo cui la ‘salva-Ilva’ viola ben 17 articoli della Costituzione, tra cui il 3 sul principio di uguaglianza e il 32 sul diritto alla salute, così come il 112 sull’obbligo dell’azione penale e il 107 sulle garanzie dei pm. Del resto non serve certo essere esperti di giurisprudenza per intuire come il governo sia di fatto intervenuto nel corso di un’inchiesta penale, vanificando i provvedimenti presi dall’autorità giudiziaria, a cominciare dal sequestro preventivo dell’area a caldo, mandando gambe all’aria la separazione dei poteri legislativo e giudiziario. Anche se sul sequestro c’è chi sostiene come non sia scontato che la legge abbia annullato i sequestri preventivi (quello virtuale sugli impianti è di fatto ancora in corso e tale resterà visto che l’azienda non ha mai presentato ricorso in Cassazione e i tempi per farlo sono scaduti mesi orsono) e quindi non lo sia neppure l’ammissibilità della questione di legittimità posta dal gip.
Molto più complicata invece la questione che riguarda il sequestro dei prodotti, soprattutto per il fatto che il decreto legge ha autorizzato retroattivamente (cambiando in corsa d’opera l’articolo 3 del provvedimento) la commercializzazione del materiale realizzato prima dell’entrata in vigore del decreto stesso. Inoltre, il Tribunale di Taranto nel suo ricorso ha definito il provvedimento del governo una legge ad hoc, un vestito su misura per l’Ilva, che creerebbe disparità tra le condizione concesse ai Riva e quelle previste per altri gruppi imprenditoriali. La controparte, l’Avvocatura dello Stato, difenderà la legge sostenendo come essa rispetti il bilanciamento dei diritti – quello alla salute, alla difesa dell’ambiente e al lavoro – e che non esiste una legge-provvedimento illegittima di per sé: quel che conta è raggiungere un punto di equilibrio tra i vari diritti, compito che spetta al legislatore.
Ma il grande timore è che la Corte Costituzionale possa anche decidere di non entrare nel merito della questione, giudicando i motivi dei ricorsi presentati dal gip e dal tribunale di Taranto irrilevanti. E come ricordato durante un convegno su questa vicenda tenutosi a Taranto la scorsa settimana, “negli ultimi trent’anni nel 70% dei casi la Consulta non è entrata nel merito, spogliandosi dei giudizi che le venivano chiesti”. Anche perché, dare ragione alla Procura, riporterebbe indietro le lancette del tempo allo scorso 26 luglio, ricreando nei fatti un problema economico-politico-sociale in un momento in cui in Italia vi è una situazione politica che definire disastrosa è un eufemismo. Ciò detto, a bilanciare questo velato pessimismo, vi è il fatto che la Consulta ha sempre anteposto il diritto alla salute a quello degli interessi della libera impresa. Ma anche in questo caso Taranto potrebbe, ahinoi, diventare un triste precedente. I tempi della decisione, saranno comunque molto stretti: già domani sera o al più tardi mercoledì, la Consulta emetterà il dispositivo con i contenuti essenziali della decisione.
Ma i Riva sono già nel futuro
Ma chi pensa che il gruppo Riva sia in apprensione per quanto accadrà domani, si sbaglia di grosso. Perché il futuro dell’Ilva Spa è stato già deciso. Ma in tanti “pare” non se ne siano ancora accorti. La decisione di rendere l’Ilva Spa un’azienda autonoma, del tutto staccata dal gruppo Riva FIRE, è un segnale sin troppo chiaro. La nomina di Enrico Bondi come amministratore delegato, con l’ingresso nel Cda di professionalità esterne, la logica conseguenza. Un’operazione che mette al sicuro gli impianti esteri e quelli italiani non collegati alla produzione del siderurgico tarantino. L’unica a restare isolata, sarà appunto la società Ilva.
Questo vuol dire che anche qualora il gruppo Riva decidesse di effettuare gli investimenti previsti dall’AIA per il risanamento degli impianti, la liquidità dovrà uscire dalle casse dell’Ilva. Che sino al mese scorso veniva data in grandissima difficoltà economica dallo stesso Ferrante. Non è un caso se il bilancio 2012 e il piano industriale vedranno la luce soltanto a metà di questo mese, dopo il pronunciamento della Consulta. Del resto, il tempo è tutto dalla parte del gruppo Riva. L’intera fabbrica sarà legata a contratti di solidarietà sino al marzo 2014, mentre i lavori di risanamento dovranno essere conclusi entro il 2015. L’uscita di scena sarà lenta, ma inevitabile. Il futuro, già segnato, un’incognita assoluta.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 08.04.2013)
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