Del resto, la stessa ordinanza dello 23 marzo firmata dal direttore del Dipartimento di Prevenzione dei Servizi Veterinari della ASL di Taranto, Teodoro Ripa, che ha scatenato il panico tra i mitilicoltori, è servita ad ufficializzare quanto stabilito dall’ultimo tavolo svoltosi il 7 marzo. Con quell’ordinanza si informavano i mitilicoltori della revoca in autotutela della DIA (Denuncia Inizio Attività) sanitaria rilasciata dallo stesso ufficio della ASL per le attività di molluschicoltura nella Concessione Demaniale rilasciata dal Comune di Taranto nelle aree di Mar Grande. Avvisando che la nuova DIA sarà rilasciata esclusivamente a seguito della classificazione dell’area in questione. Inoltre, si comunicava che il 31 marzo scadrà il termine ultimo per lo spostamento del novellame e che dal 1 aprile verrà revocata la DIA sanitaria riferita alla Concessione Demaniale rinnovata dal Comune di Taranto nel I seno del Mar Piccolo.
Per capire di cosa stiamo parlando però, occorre necessariamente tornare al tavolo tecnico regionale dello scorso 7 marzo, al quale erano presenti Regione, ASL/Ta, ARPA Puglia, facoltà di Medicina Veterinaria di Bari e Comune di Taranto. L’incontro, convocato dall’assessorato alle Politiche della Salute, ha discusso della proposta avanzata dal Comune di Taranto di verificare la possibilità di posticipare la data del 28 febbraio, già prevista per lo spostamento del novellame dal I seno del Mar Piccolo nelle aree individuate in Mar Grande (decisione presa dal tavolo tecnico dell’8 giugno scorso).
Il Dirigente della Polizia Locale del Comune di Taranto, Michele Matichecchia, dopo aver riferito che a partire dallo scors settembre il Comune ha attivato l’iter per la concessione delle autorizzazioni per gli impianti del I seno che ne sono sprovvisti, presupposto indispensabile per ottenere lo spostamento nelle aree di Mar Grande e del II seno, ha confermato che da febbraio le autorizzazioni sono disponibili e che le concessioni saranno rilasciate non appena gli operatori interessati provvederanno a pagare la quota relativa al canone di concessione, dimostrando di aver stipulato la polizza fideiussoria. Al momento però, gli impianti in possesso della documentazione necessaria sono appena quattro.
Ma a mettere il primo paletto per quanto concerne la movimentazione del novellame, in questo caso nel II seno di Mar Piccolo, è l’ARPA. Il motivo risiede nel fatto che proprio in occasione del tavolo del 7 marzo, l’ente regionale per la protezione ambientale ha appreso che il livello di PCDD/F e PCB nei campioni di mitili prelevati nel I seno lo scorso dicembre, risultano eccedenti i livelli d’azione previsti dalla legge (il limite massimo previsto è di 6,5 picogrammi). Per questo motivo è stato osservato che un eventuale trasferimento aumenterebbe il rischio che anche il prodotto del II seno superi nei prossimi mesi i livelli massimi di tollerabilità di inquinanti.
A scrivere la parola fine è stato invece l’Ufficio Sanità Veterinaria. Che dopo aver ordinato la revoca della DIA, ha chiesto la predisposizione di un piano di monitoraggio (almeno semestrale) per la valutazione dei livelli di contaminazione chimica e biologica dei mitili ai fini della classificazione. Chiedendo inoltre all’ARPA di chiarire gli aspetti relativi alla caratterizzazione e designazione delle aree marine individuate prima di poter procedere alla classificazione. E prescrivendo che il novellame possa essere trasferito soltanto dal I seno alle aree di Mar Grande e che le nuove DIA dovranno essere rilasciate esclusivamente a seguito della classificazione della suddetta area. Pertanto, i molluschi non potranno essere commercializzati fino al momento in cui l’area di Mar Grande non sarà stata classificata e non saranno state rilasciate le relative DIA. In pratica, si sta dicendo che anche la produzione del 2013 è oramai fuori tempo massimo per la commercializzazione.
Attualmente quindi, per quanto attiene la sfera economica, i mitilicoltori possono soltanto affidarsi ai risultati che riuscirà ad ottenere l’assessorato regionale alle politiche agricole. Nei prossimi giorni si dovrebbero sbloccare e liquidare le richieste di contributo di tutti i mitilicoltori che, in possesso dei requisiti di legge, hanno partecipato alla Sottomisura Sanitaria prevista per l’aiuto al settore dopo l’emergenza diossina e PCB. Ma si sta anche valutando la possibilità di riesaminare quei casi particolari che potrebbero essere recuperati e quindi rientrare nel bando. Per quanto attiene la prima tranche di interventi (12 milioni di euro) per l’acquacoltura, è prevista una quota del 20% dell’importo del Bando riservata per gli investimenti presentati da imprese a cui è stata ingiunta la sospensione delle attività produttive e che pertanto trasferiscono la propria attività in altro sito, condizione nella quale rientrano i mitilicoltori tarantini. La riserva di risorse a cui attingere é pari a circa 2,4 milioni. Inoltre, a partire da maggio, dovrebbero essere trasferite altre risorse sul capitolo pesca e mitilicoltura con il secondo passaggio del bando sull’acquacoltura che metterà a disposizione ulteriori 8,5 milioni.
Ciò detto, alcune considerazioni finali. Seguiamo il caso del Mar Piccolo da anni. E quello che sta accadendo da due anni a questa parte non è frutto del destino cieco baro. O di una calamità naturale. L’inquinamento del Mar Piccolo ha cause e colpevoli chiari da anni. E lo spostamento obbligato del novellame e degli impianti è la “logica” conseguenza dell’azione di bonifica che, se tutto andrà come deve, partirà dal prossimo anno. Perché è chiaro a tutti che qualunque intervento sarebbe del tutto incompatibile con la presenza degli allevamenti. Lo spostamento forzato in Mar Grande è quindi “necessario”.
A pagare per colpe altrui, dunque, sono ancora una volta i più deboli. I mitilicoltori e i mitili del I seno del Mar Piccolo, così come gli allevatori e i loro capi di bestiame. La destinazione del prodotto è diversa soltanto nei termini: i primi vanno in discarica, i secondi al macello. Il risultato però è lo stesso: la perdita del lavoro e dell’unica forma di sostentamento. E l’impossibilità di proseguire un’attività millenaria. Con tanto di divieti perentori: “svuotamento” del I seno e migrazione in Mar Grande nel primo caso, divieto assoluto di pascolo nel raggio di 20 km dalla zone industriale nel secondo. Suggello finale, la burocrazia del nostro paese, che nei confronti dei più deboli dà sempre il meglio di sé. Gli allevatori attendono di essere risarciti dal lontano 2008. Per i mitilicoltori si assiste ad una continua scadenza di termini dall’estate del 2011.
Appare dunque evidente come il problema sia principalmente politico. Perché pur di salvare la produzione dell’acciaio Ilva, lo Stato è andato anche contro la stessa Costituzione, agendo nel giro di pochi mesi. Per quale motivo i mitilicoltori e gli allevatori siano ritenuti lavoratori di Serie B non è dato sapere. Quest’ultimi possono perdere tutto quello che hanno e restare nella desolazione più totale. Se i lavoratori Ilva rischiano la cassa integrazione, si grida allo scandalo e a migliaia di famiglie sul lastrico e in mezzo ad una strada. Inoltre, resta un “mistero” il perché l’Ilva possa essere bonificata con gli impianti in funzione, mentre il I seno del Mar Piccolo e i terreni per il pascolo devono essere completamente svuotati.
“Qualcosa” dunque non torna. Inoltre, appare davvero “inspiegabile” il perché nel caso dell’Ilva tutti si affannino ad indicare nel gruppo Riva, a ragion veduta, il responsabile dell’inquinamento del rione Tamburi e non solo (vedi i terreni degli allevatori contaminati dalla diossina dell’agglomerato), nonché ad indicare nella produzione dell’acciaio le cause dei fenomeni di malattia e morte che da decenni colpiscono la popolazione di Taranto. N
el caso dell’inquinamento del Mar Piccolo invece, nessuno pronuncia la parola “Marina Militare”, pur sapendo che gran parte dell’inquinamento del I seno di Mar Piccolo, come accertato da diversi studi di vari organi (CNR, ICRAM, Regione Puglia), è di sua stretta responsabilità. Ma il problema è anche sociale. Oramai dell’Ilva parlano tutti. Nei modi più svariati. Si fanno dibattiti, assemblee, manifestazioni, sit in, presidi, raccolta firme, esposti in Procura e chi più ne ha più ne metta. Ma per difendere il Mar Piccolo, la produzione millenaria delle nostre cozze, i mitilicoltori, la nostra storia e quanto di più prezioso la natura ci abbia regalato, non si espone nessuno. Silenzio assoluto. Questa città ha dunque più di qualche problema. Non solo ambientale. Ma soprattutto di coscienza. E di coerenza.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 29.03.2013)
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