Ilva, oggi la decisione sull’acciaio
TARANTO – Potrebbe esprimersi quest’oggi il tribunale del Riesame di Taranto ricorso presentato dai legali dell’Ilva avverso l’ordinanza del gip Patrizia Todisco che ha autorizzato i custodi giudiziari a vendere l’acciaio sequestrato lo scorso 26 novembre nell’ambito dell’inchiesta sul siderurgico, il cui controvalore economico sarà depositato in un deposito da utilizzare ai fini dell’eventuale confisca quando il procedimento si sarà concluso.
L’Ilva attende la decisione con relativa serenità. Dopo aver “solidarizzato” l’intera fabbrica, è pronta ad una nuova offensiva nel caso in cui il tribunale, cosa alquanto probabile, dia ragione al gip Todisco. Ma questa volta la strategia potrebbe essere diversa rispetto al passato. Perché l’appuntamento che conta davvero, sarà tra poco più di due settimane alla Consulta. Del resto, pur ottenendo dal Riesame un responso negativo, qualora la Consulta dovesse ritenere inammissibili i ricorsi del gip e del tribunale dell’Appello sull’eccezione di costituzionalità sollevata nei confronti della legge 231, l’azienda tornerebbe immediatamente in possesso dell’acciaio sequestrato così come prevede la “salva-Ilva”.
Certo è che dopo aver ottenuto l’ennesimo favore da parte dei sindacati con l’accordo sulla solidarietà per oltre 11mila operai e nelle stesse ore il lasciapassare da parte del ministero dell’Ambiente sulla libera interpretazione e applicazione delle prescrizioni AIA nei prossimi 30 mesi, in casa Ilva si respira un’aria decisamente più serena. Lo dimostra anche la presenza al IV sporgente del porto di Taranto della motonave “Gemma” della flotta dell’Ilva Servizi Marittimi, la più grande nave porta rinfuse battente bandiera italiana. Lunga 330 metri e larga 57 con una portata massima (d.w.t.) di 315.000 tonnellate di minerale di ferro, l’11 maggio del 2012 il suo approdo venne salutato addirittura con una cerimonia di benedizione officiata da S.E. Mons. Filippo Santoro, Arcivescovo di Taranto. Erano ancora i tempi belli, quando tutto da queste parti era possibili: alcuni personaggi presenti quel giorno sul molo sono oggi altrove, distribuiti tra il carcere di Taranto e gli arresti domiciliari nella lontana Lombardia.
Intanto già in questa settimana si dovrebbero svolgere le assemblee all’Ilva con le quali i lavoratori dello stabilimento siderurgico si esprimeranno in merito all’accordo sui contratti di solidarietà: già l’altro ieri ci chiedevamo infatti se i lavoratori fossero stati preventivamente avvisati di questa possibilità. Evidentemente no, se adesso gli si chiederà di esprimersi attraverso referendum. E qualora dalle “urne” uscisse un responso negativo, cosa faranno i nostri “eroi”?
Qualcosa, intanto, la stanno già studiando. Ad esempio, l’ultima novità potrebbe riguardare gli AFO 1 e 5. Azienda e sindacati stanno infatti verificando la possibilità di far ripartire prima l’altoforno 1 e soltanto successivamente bloccare l’altoforno 5. In pratica, l’ennesima modifica a quanto previsto dall’Autorizzazione integrata ambientale, secondo la quale l’AFO 1, fermato ai primi di dicembre scorso, sarebbe dovuto ripartire entro 18-24 mesi, mentre l’altoforno 5, il cui stop è previsto a giugno del 2014, avrebbe dovuto essere rimesso in marcia alla fine dello stesso anno. Sull’altoforno 5 i lavori sono meno complessi da fare.
Sull’AFO 1, invece, il blocco prolungato dipende dall’ammodernamento a monte di tutte le batterie che lo alimentano di carbon coke. Ora, per cercare di evitare un fermo così lungo di AFO 1, l’Ilva starebbe pensando ad approvvigionarsi dall’esterno del coke che serve saltando, per tutto il tempo necessario ai lavori, la fase delle batterie. Se l’altoforno 1 dovesse ripartire prima del previsto, l’Ilva terrebbe fermo un solo altoforno per volta: in questo modo nel 2014 da un lato si abbasserebbe il numero degli esuberi temporanei, dall’altro aumenterebbero le tonnellate di acciaio prodotte. Guarda caso, proprio nel secondo semestre 2014, stando al primo prospetto che l’azienda aveva presentato per la cassa integrazione straordinaria poi annullata col ricorso ai contratti di solidarietà, era infatti previsto i picco massimo di lavoratori sospesi: 6417.
Ciò detto, è pressoché scontato che sino al 9 aprile difficilmente qualcosa si muoverà. Può sembrare paradossale, ma adesso è l’Ilva a non aver alcuna fretta nel chiudere una vicenda che per mesi l’ha vista in netta difficoltà. Il non aver ancora presentato un piano industriale, né un piano investimenti a garanzia dell’attuazione delle prescrizioni previste dall’AIA (sulla quale regna il caos più totale dopo le recenti relazioni di ARPA e ISPRA che testimoniano come l’attività inquinante dell’area a caldo dell’Ilva sia tutt’altro che diminuita), è un segnale fin troppo chiaro. Che le istituzioni a tutti i livelli e gli stessi sindacati, continuano a far finta di non cogliere nella sua interezza. Contenti loro.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 18.03.2013)