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Aia Ilva, Arpa vs Ispra su prescrizioni

TARANTO – La notizia del rapporto dell’ARPA Puglia che la Procura di Taranto ha presentato durante l’udienza al tribunale del Riesame di martedì, nel quale l’ente regionale per la protezione ambientale afferma che “la situazione ambientale dello stabilimento non registra segni di miglioramento e la direzione non rispetta le prescrizioni AIA” e che “a parere dell’Agenzia, i differimenti temporali dell’attuazione delle prescrizioni non fanno altro che incrementare il danno ambientale”, non ci ha colti di sorpresa. Non fosse altro perché proprio in questi giorni, pur essendo all’oscuro del documento che la direzione generale dell’ARPA aveva preparato per la Procura, avevamo in più occasioni sottolineato il ritardo dell’Ilva nell’attuare diverse prescrizioni presenti nell’AIA rilasciata all’azienda lo scorso 26 novembre.

Ma quello che è accaduto ieri, ribalta nuovamente una situazione che sta assumendo i contorni di un paradosso senza precedenti. Che va ancora una volta a scapito dell’ambiente e della salute dei cittadini e degli operai di Taranto. Nella tarda mattina di ieri infatti, sul sito del ministero dell’Ambiente, è apparsa una nota in cui da via Cristoforo Colombo fanno sapere che dopo aver letto l’ultimo rapporto trimestrale redatto dai tecnici ISPRA sulla attuazione delle prescrizioni stabilite dall’AIA, “risulta che l’azienda sta dando attuazione a quanto stabilito”. Una risposta ufficiale del ministero che quindi prova a smentire, tramite l’ISPRA (l’Istituto Superiore per la Ricerca Ambientale), quanto sostenuto da ARPA Puglia nel suo documento.

Ma cosa vi è scritto in quel documento a firma del direttore generale Giorgio Assennato, del direttore scientifico Massimo Blonda e dal funzionario Simona Sasso, pieno di diversi omissis? Innanzitutto, come denunciato in più occasioni su queste colonne, l’ARPA punta il dito sulle prescrizioni relative alla chiusura “nastri e cadute”, il cui “completamento è stato posticipato dal 27/01/2013 al 27/10/2015: ovvero si è passati dai tre mesi prescritti ai tre anni comunicati da Ilva”. In secondo luogo, si cita la prescrizione in merito alla “chiusura edifici area di gestione materiali polverulenti”, il cui completamento era previsto “da subito” ed invece “è stato differito a giugno 2014”; così come la chiusura degli “edifici con conseguente captazione e convogliamento dell’aria degli ambienti confinanti” il cui completamento è stato “posticipato dal 27/04/2013 al 30/06/2014”.

Inoltre l’ARPA denuncia come la prescrizione numero 5, quella riguardante “le emissioni di polveri derivanti dalla movimentazione di materiali che siano trasportati via mare, si prescrive l’adeguamento con l’utilizzo di sistemi di scarico automatico o scaricatori continui coperti” che l’Ilva dichiara di aver attuato, si rileva “non essere stata ottemperata come dimostrato dai recenti eventi polverulenti verificatisi a causa delle movimentazioni effettuate al V sporgente”, senza che “tra l’altro Ilva sia in possesso della necessaria autorizzazione”. Ecco perché l’ARPA sostiene che “i differimenti temporali dell’attuazione delle prescrizioni non fanno altro che incrementare il danno ambientale”.

Inoltre, durante le “attività di carico e scarico delle materie prima dai parchi minerari agli impianti produttivi, vengono disperse ingenti quantità di materiale polverulento”: l’ente regionale sostiene infatti che le “benne di sollevamento prelevano circa 20 tonnellate di materie prime alla volta, di cui il 5-10% viene dispersa già in fase di carico, a cui vanno ad aggiungersi gli elevati livelli di emissioni diffuse generatesi lungo il viaggio sui nastri trasportatori. Un fenomeno inquinante questo, non meno invasivo degli sversamenti accidentali a mare registratisi nell’ultimo periodo durante le operazioni di scarico agli sporgenti dell’area portuale in suo ad Ilva”.

Anche l’ARPA quindi si chiede il perché Ilva abbia posticipato così a lungo nel tempo il termine ultimo per rispettare tale prescrizione “in quanto le difficoltà non sono ascrivibili a natura tecnica”.  L’ARPA infatti sottolinea come “Ilva stessa dichiara che la chiusura dei nastri deve essere rivista al fine di evitare che il fermo dei nastri possa provocare l’interruzione dell’alimentazione delle materie prime agli impianti produttivi. Anche questa considerazione è alquanto contraddittoria, perché il decreto di riesame dell’AIA prevede da subito la fermata delle batterie 3,4,5 e 6 e, pertanto, i suddetti motivi ostativi non trovano riscontro”. E qui, arriva l’osservazione che più dovrebbe aprire gli occhi ad istituzioni, sindacati ed operai: “A meno che i nastri trasportatori non siano funzionali a più settori produttivi, ed allora si dovrebbe dedurre che gli interventi non potranno mai essere effettuati”. Punto.

Ma come risponde a tutto questo il ministero dell’Ambiente? Leggiamo insieme: “Nel merito del rispetto della tempistica, si ricorda che la normativa in materia di Autorizzazione Integrata Ambientale, richiamata dalla legge 231 del 2012, prevede che l’impresa possa richiedere modifiche non sostanziali alla tempistica degli interventi prescritti sulla base di motivazioni tecniche ed economiche”. Modifiche non sostanziali alla tempistica prescritta? E se non lo è uno spostamento di oltre due anni e mezzo, cosa potrà mai essere considerato come modifica sostanziale alla tempistica prescritta? E quali sarebbero le motivazioni tecniche ed economiche presentate dall’azienda, visto che l’ARPA ha messo nero su bianco nella relazione consegnata alla Procura, che suddette motivazioni non sono state addotte dalla stessa azienda?

Eppure, il ministero dell’Ambiente sostiene qualcosa di completamente diverso: “ILVA ha presentato il 17 febbraio scorso una richiesta di variazione della tempistica della copertura dei nastri, chiarendo le motivazioni tecniche ed economiche anche in relazione alle circostanze che si sono determinate dopo il rilascio dell’AIA il 26 ottobre 2012. Nel merito va rilevato che la lunghezza dei nastri (circa 90 km per limitarci ai principali) richiede tempo per completare la copertura, che peraltro è iniziata ed in linea con la tempistica prevista per il primo trimestre. La richiesta di Ilva non modifica i tempi per la conclusione degli interventi (36 mesi) ma ne prevede la rimodulazione.Pertanto sulla base di quanto previsto dall’Autorizzazione Integrata Ambientale rilasciata il 26 ottobre 2012 e delle successive integrazioni in applicazione delle norme in vigore, al momento non risultano inadempienze da parte dell’azienda”.

Dunque, ancora una volta, qualcosa non quadra. O l’ISPRA e il ministero dell’Ambiente sono in possesso di documenti che ARPA non conosce, oppure qualcuno continua a giocare al gatto con il topo. Ma al di là di queste considerazioni, stupisce ancora una volta un aspetto nient’affatto secondario della vicenda Ilva. Perché se da un lato la Procura, e nel caso specifico ARPA Puglia, puntano al rispetto delle prescrizioni per provare tutelare ambiente e salute riducendo il “danno” provocato dalla grande fabbrica del gruppo Riva, ministero dell’Ambiente e azienda seguono tutt’altra direzione. Nella nota del ministero infatti, non viene affatto presa in considerazione la conseguenza della libera attuazione dell’Ilva alla prescrizioni imposte dall’AIA: ovvero il continuo verificarsi di fenomeni inquinanti che altro non hanno come risultato se non quello di incrementare il danno sanitario e ambientale. Che però, dallo scorso dicembre, sono di fatto “legalizzati” per i prossimi 36 mesi.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 15.03.2013)

 

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