L’accordo dello scorso 26 luglio ha assegnato alla “bonifica e alla messa in sicurezza permanente dei sedimi contaminati da PCB del Mar Piccolo” 21 milioni di euro (50 sono invece i milioni di euro destinati alla “messa in sicurezza e bonifica della falda superficiale del SIN di Taranto”). In entrambe le riunioni è stato ribadito che “l’azione di bonifica è ovviamente dipendente dall’accertamento dell’origine delle fonti di inquinamento e dalla loro eliminazione. Operazione che potrebbe richiedere tempi lunghi e che potrebbe interferire con la tempistica di finanziamento dei progetti di bonifica”. I tempi lunghi, infatti, sono il primo problema dell’intera operazione. Entro luglio vanno presentati gli esami sullo stato dei sedimenti del Mar Piccolo e l’eventuale presenza di fonti inquinanti ancora attive. Ad ottobre invece, dovranno essere presentati i progetti di bonifica.
Il timer scadrà inesorabilmente a dicembre, termine al di là del quale si perderanno automaticamente i 20 milioni stanziati dall’atto d’intesa e garantiti dal “Fondo Sviluppo e Coesione” della Regione Puglia inserito nell’ultima delibera CIPE. I motivi per cui ancora oggi si è alla ricerca delle varie fonti di inquinamento, sono essenzialmente due: la totale inoperosità delle nostre istituzioni e la mancanza di esami e studi approfonditi che si sarebbero dovuti effettuare nel corso di tutti questi anni. Assodato che fonti e responsabili che hanno inquinato il Mar Piccolo li conosciamo e li abbiamo denunciati da anni, il vero nodo di tutta la faccenda è uno soltanto: a tutt’oggi infatti, nessuno è in grado di stabilire con assoluta certezza scientifica, lo stato di inquinamento in cui versano la falda superficiale e la falda profonda.
Per questo i tecnici di ARPA Puglia, in entrambe le riunioni, hanno chiesto la possibilità di effettuare ulteriori approfondimenti per stabilire il reale stato di inquinamento in cui versa la falda. Ed è proprio questa richiesta che “potrebbe interferire con la tempistica del finanziamento dei progetti di bonifica”. Ma il risvolto della medaglia, tutt’altro che secondario come hanno anche sostenuto i tecnici dell’ARPA, è quello di spendere i 21 milioni per una bonifica fittizia del Mar Piccolo che non risolverebbe, di fatto, alcun problema. Anche perché, al di là dei due soggetti inquinanti oramai accertati (l’Arsenale Militare e la cava piena di PCB presente nella San Marco Metalmeccanica che attraverso la falda profonda che ha sede nella successione del Calcare di Altamura arriva nel I Seno dal lato dei Tamburi e del Galeso), ultimamente l’attenzione si è spostata sui famosi citri (sorgenti di acqua dolce presenti sia nel I che nel II seno del Mar Piccolo). Sì, perché pare che proprio la funzione che quest’ultimi svolgono da secoli, potrebbe avere un ruolo non secondario in tutta questa faccenda.
Sorgenti che sboccando dalla crosta sottomarina apportano acqua dolce non potabile mescolata con acqua salmastra a contenuto variabile di sali, potrebbero trasportare anche i vari agenti inquinanti presenti nella falda. Può sembrare paradossale: eppure i citri, che da sempre assicurano il ricambio e la rigenerazione dell’acqua di mare del Mar Piccolo, fattore che ha fatto grande e unica al mondo la molluschicoltura tarentina, potrebbero fornire ancora una volta una grande mano al suo mare, rivelando quali inquinanti sono presenti nella falda, che entità e qualità nocive posseggono e, soprattutto, da dove derivano.
Questo perché dal punto di vista strettamente geologico, gli studiosi convengono da anni nel sostenere come i citri siano l’effetto di fenomeni carsici che hanno origine nell’altopiano delle Murge: le piogge, dopo essersi raccolte in bacini sotterranei incuneandosi nelle rocce calcaree del terreno, vengono convogliate in gallerie a pressione che sfociano in crateri sotterranei che si aprono sui fondali del Mar Piccolo in prossimità del Galeso, degli ex cantieri navali Tosi e nella parte orientale del II Seno. Ecco perché potrebbero portare con sé da un lato l’inquinamento da PCB proveniente dalla zona industriale di Statte e dall’altro quello dei cantieri navali che hanno lavorato nel bacino del Mar Piccolo dalla fine del 1914 al 31 dicembre del 1990. Dunque, l’improbo compito che attende l’ARPA Puglia, ammesso e non concesso che le concedano di fare tutti gli approfondimenti necessari, è alquanto improbo: stabilire la reale situazione della falda.
Si poteva agire per tempo? Certamente sì. Come mai nel 2013 siamo ancora a questo punto? Bisognerebbe girare la domanda a tutti quei politici che almeno dal 2001 ad oggi hanno occupato i posti del Comune, della Provincia e della Regione. L’anno non è scelto a caso. Come più volte riportato su queste colonne, il 18 settembre 2001, con il Decreto Ministeriale n.468, viene messo nero su bianco il regolamento del “Programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale”. Le aree individuate in tutta Italia sono diverse: in Puglia sono le città di Manfredonia, Brindisi e Taranto/Statte. Per quanto riguarda la città dei Due Mari, il decreto aveva stabilito già all’epoca la “Bonifica e ripristino ambientale di aree industriali, di specchi marini (Mar Piccolo) e salmastri (Salina grande)”. Nella superficie interessata dagli interventi di bonifica e ripristino ambientale, vi erano anche i 22,0 km2 del Mar Piccolo. Perché abbiamo scritto in riferimento ai politici “almeno dal 2001”? Perché il perimetro del territorio in questione riguardava l’area dichiarata “ad elevato rischio di crisi ambientale” nel lontano novembre del 1990.
La dichiarazione venne reiterata nel luglio 1997. Con decreto del Presidente della Repubblica del 23 aprile 1998, venne poi approvato il “Piano di disinquinamento per il risanamento del territorio della Provincia di Taranto”. Nella relazione del decreto ministeriale del 2001, veniva inoltre spiegato in maniera inequivocabile il perché ancora oggi, e chissà per quanti altri anni ancora, il Mar Piccolo versa in condizioni di assoluta criticità ambientale: “Di particolare interesse sono le aree del mar Piccolo e le saline. I corsi d’acqua superficiali a carattere esclusivamente torrentizio sono recapito di reflui diversi scarsamente o per nulla depurati. Particolarmente compromessa appare la situazione del Paternisco e del canale di Aiedda, che recapita nel bacino ad elevata vulnerabilità del Mar Piccolo con evidenti risvolti sulla qualità dei sedimenti.
Il Mar Piccolo risulta quindi gravemente compromesso dalla pessima qualità degli affluenti in esso recapitanti, che determinano un grave stato eutrofico, accentuato dalla particolare morfologia del bacino stesso”. Il “problema dei problemi”, ovvero lo stato della falda superficiale e profonda, venne dunque segnalato ben 12 anni fa. Oltre ad aver perso tempo, abbiamo anche perso tanti soldi. Dai 35 milioni di euro stanziati dal MISE (Ministero dello Sviluppo Economico) per la bonifica dell’area “170 ha” in corrispondenza dell’Arsenale ai 26 milioni stanziati dal ministero dell’Ambiente nel 2006. Ovviamente le nostre istituzioni fanno finta di non saperlo. E chi come il commissario straordinario per le bonifiche, Alfio Pini, ha già intuito l’enormità e la gravità del problema, si trova oggi in una posizione sinceramente poco invidiabile. Cosa faranno i nostri eroi? Ai posteri (in questo caso per fortuna non troppo lontani) l’ardua sentenza.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 11.03.2013)
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