Bene. Premesso che qualcuno deve ancora spiegare a Taranto e ai tarantini come sarà possibile bonificare le aree di Tamburi e Statte in cui insistono e continueranno ad insistere fonti emissive inquinanti come l’Ilva, è la situazione in cui versa il Mar Piccolo il vero problema. Il giorno dopo la cabina di regia, il 20 febbraio, presso la Confcommercio si è svolto un tavolo tecnico durante il quale il commissario per la bonifiche Alfio Pini ha solennemente dichiarato che “la bonifica del Mar Piccolo è una certezza”.
“L’azione di bonifica – ha spiegato il commissario – è ovviamente dipendente dall’accertamento dell’origine delle fonti di inquinamento e dalla loro eliminazione. Operazione che potrebbe richiedere tempi lunghi e che potrebbe interferire con la tempistica di finanziamento dei progetti di bonifica”. Dunque, a febbraio 2013, siamo ancora alla fase zero del problema: capire chi e in che quantità ha inquinato il Mar Piccolo. Operazione che da anni definiamo una ridicola caccia al tesoro, a causa dell’ignavia e della vigliaccheria delle nostre istituzioni e che, addirittura, se non completata entro il prossimo mese di dicembre, potrebbe far perdere i 20 milioni stanziati dall’atto d’intesa del 26 luglio scorso.
Ma la storia dell’inquinamento del Mar Piccolo è nota a molti e su queste colonne (con il prezioso aiuto e supporto del sito internet “inchiostroverde.it” gestito dalla collega Alessandra Congedo) la denunciamo da anni. Come sempre nel silenzio più assoluto. Per questo consigliamo al commissario Pini di informarsi, e bene, sulla storia recente e non dell’inquinamento del Mar Piccolo, evitando di lasciarsi irretire dalle belle parole e dai buoni propositi dei nostri politici. Per questo riteniamo opportuno ripercorre un po’ di storia per riportare le cose al loro posto. Perché le fonti inquinanti e i vari inquinatori esistono eccome. E i nomi si conoscono. Da sempre. Magari i tempi saranno come detto molto lunghi: ma è sempre meglio scoprire la verità e poi agire di conseguenza. Altrimenti si corre il serio rischio di utilizzare quei 20 milioni per nulla. Ancora una volta. Quello che leggerete è dunque un percorso all’indietro nel passato sugli eventi principali che su queste colonne abbiamo denunciato più volte negli ultimi anni.
Pillole di storia
Tanto per iniziare, il commissario Pini potrebbe avviare una piccola indagine per vedere se se siano ancora attivi o meno gli 11 trasformatori elettrici dell’Ilva, i 38 trasformatori di Marinarsen e l’altro trasformatore dell’Enel. Nel 1990 fu effettuato un censimento di tutti i trasformatori elettrici presenti nelle aziende industriali della Provincia di Taranto, richiesto dall’allora assessore alla Sanità, Mario Guadagnalo, che inviò una circolare in cui chiedeva di quantificare il PCB presente sul territorio.
Il risultato dell’allora Italsider fu impressionante: 1000 grandi trasformatori contenenti PCB per un totale di 1.800 tonnellate d’Askarel (denominazione commerciale del prodotto) ma nel 1979 i trasformatori erano di più e l’apirolio era quasi il doppio. SIMI dichiarò kg 2.040, Belleli Sud kg 440, Sidermontaggi kg 1.550, Cementir kg 16.950, Sip kg 1.560, Stab. Navali kg 3.853, Ospedale Civ. kg 9.198, Rivestubi kg 12.198, Dalmine kg 13.700. Il tutto per un totale di 62 tonnellate da aggiungere ovviamente alle 1.800 dell’ILVA. Oramai molte di queste aziende non operano più sul nostro territorio. All’epoca dei fatti, l’Arsenale Militare negò il possesso d’Askarel. Proprio pochi giorni dopo però, venne rinvenuta una vasca contenente PCB all’interno dell’Arsenale. Nella vasca in oggetto, risultò che venivano stoccati fanghi provenienti dal dragaggio del Mar Piccolo. La percentuale di PCB contenuta era molto elevata, così come i valori, totalmente fuori scala, dei metalli pesanti.
Il 18 settembre 2001, con Decreto Ministeriale n. 468, viene messo nero su bianco il regolamento del “Programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale”. Per quanto riguarda la città dei Due Mari, il decreto aveva stabilito la “Bonifica e ripristino ambientale di aree industriali, di specchi marini (Mar Piccolo) e salmastri (Salina grande)”. La superficie interessata dagli interventi di bonifica e ripristino ambientale, veniva inoltre così suddivisa: circa 22,0 km2 (aree private), 10,0 km2 (aree pubbliche), 22,0 km2 (Mar Piccolo), 51,1 km2 (Mar Grande), 9,8 km2 (Salina Grande). Lo sviluppo costiero riguardava un totale di circa 17 km. Il perimetro del territorio in questione, riguarda l’area dichiarata “Area ad elevato rischio di crisi ambientale” nel lontano novembre 1990.
La dichiarazione venne reiterata nel luglio 1997. Con decreto del Presidente della Repubblica del 23 aprile 1998, venne inoltre approvato il “Piano di disinquinamento per il risanamento del territorio della Provincia di Taranto”. Siamo quasi alla preistoria. Nella relazione del decreto ministeriale, veniva spiegata in maniera inequivocabile il perché ancora oggi, e chissà per quanti altri anni ancora, il Mar Piccolo verserà in condizioni di assoluta criticità ambientale. “Di particolare interesse sono le aree del mar Piccolo e le saline. I corsi d’acqua superficiali a carattere esclusivamente torrentizio sono recapito di reflui diversi scarsamente o per nulla depurati.
Particolarmente compromessa appare la situazione del Paternisco e del canale di Aiedda, che recapita nel bacino ad elevata vulnerabilità del Mar Piccolo con evidenti risvolti sulla qualità dei sedimenti. Il Mar Piccolo risulta quindi gravemente compromesso dalla pessima qualità degli affluenti in esso recapitanti, che determinano un grave stato eutrofico, accentuato dalla particolare morfologia del bacino stesso”. Per quanto invece atteneva le acque sotterranee, nel 2001 mancava ancora la conoscenza dello stato della falda sottostante le aree industriali; nonostante questo, già 12 anni fa venivano evidenziati “fenomeni di inquinamento diffuso di origine agricola e concentrato dovuto a rilasci di percolato da discariche incontrollate e da pozzi neri non adeguatamente impermeabilizzati”.
Sempre nel 2011, durante la Giunta Regionale del 2 novembre, l’assessore alla Qualità dell’Ambiente Lorenzo Nicastro relazionò sulla contaminazione da policlorobifenili (PCB) del I seno del Mar Piccolo. E lo fece avvalendosi di una documentazione importante: da un lato con una che l’ISPRA (datata 4 ottobre 2001) inviò al Ministero dell’Ambiente nella quale veniva indicato il grave stato di contaminazione del mar Piccolo; dall’altro la “Relazione tecnica sullo stato di inquinamento da PCB nel SIN Taranto ed in aree limitrofe”, effettuata dal Servizio Ciclo dei Rifiuti e Bonifica della Regione Puglia. Una relazione molto dettagliata di 28 pagine, nella quale venivamo messe in evidenza le fonti primarie di contaminazione (sorgenti attive che incrementano il flusso massico di PCB nel Mar Piccolo) e le fonti secondarie (sedimenti inquinati che generano la propagazione della contaminazione anche attraverso la risospensione naturale o indotta antropicamente).
Una relazione nella quale vengono messi sul banco degli imputati la Marina Militare e un’azienda ai più sconosciuta: la “San Marco Metalmeccanica” (che opera nell’indotto Ilva). La relazione denunciava come dal 1972 al 1995 venne riempita con materiale di risulta e scarti provenienti da lavorazioni di tipo industriale, una cava presente sul suolo occupato dalla San Marco che acquistò il terreno nel 2003. L’area in cui si colloca la cava in questione, possiede una sovrapposizione di una serie sedimentaria clastica pleistocenica (Calcareniti di Gravina) e del substrato mesozoico carbonatico (Calcare di Altamura). In quella zona è presente solo la falda profonda che ha sede nella successione del Calcare di Altamura. Gli elaborati del Piano regionale di Tutela delle Acque mostrarono come lo scorrimento della falda carsica avviene prevalentemente lungo la direttrice NO-SE, cioè proprio verso il Mar Piccolo. Il che spiegherebbe il perché nella mappa del CNR viene segnalato come area altamente inquinata da PCB, lo specchio d’acqua prospiciente i Tamburi e il Galeso. E soprattutto chiarirebbe il perché ARPA Puglia da tempo chiede che vengano svolte delle indagini approfondite sulla questione, che potrebbe essere alla base di un’ipotesi devastante: si teme infatti che i citri di acqua dolce presenti nel I seno porterebbero dalla falda al mare l’inquinamento da PCB.
Come altra fonte primaria accertata di inquinamento da PCB del Mar Piccolo, la relazione indicò le aree a terra gestite dalla Marina Militare (Arsenale), in cui la presenza di PCB è stata accertata anche nei terreni e nella falda superficiale che veicola la contaminazione. Parliamo di un sito esteso per circa 23.000 mq, in cui sin dal 1890 é stata svolta attività da parte di numerose aziende di supporto alla Marina. La caratterizzazione ha interessato una superficie di circa 30.000 mq ed ha evidenziato una contaminazione da metalli pesanti (antimonio, arsenico, mercurio, piombo, rame, selenio, vanadio e zinco), da policlorobifenili e da idrocarburi leggeri e pesanti. Nella porzione est del Comprensorio Arsenalizio della Marina Militare é presente anche un’altra area, denominata “Zona Gittata”, che ha una estensione di 1500 mq ed è stata adibita a vasca di deposito di fanghi di dragaggio, rimossi e smaltiti nel 2009. Sempre nello stesso anno avvenne la dismissione della vasca e furono eseguite delle indagini ambientali preliminari che evidenziarono il superamento, nel suolo, delle concentrazioni soglia di contaminazione per siti commerciali e industriali per i parametri piombo, rame, zinco, arsenico e PCB. Le quote del terreno risultate contaminate, erano a profondità maggiori di 10 cm.
C’è poi una fonte secondaria: i sedimenti del Mar Piccolo, dove sono state individuate due distinte zone interessate dalla presenza di PCB. Una in corrispondenza dell’Arsenale militare, nell’area di caratterizzazione denominata “area 170 ha”, l’altra posta a nord del primo seno, a circa 200 m ad ovest della penisola di Punta Penna. La valutazione della qualità dei sedimenti dell’area “170 ha” è stata formulata sulla base del confronto con i “valori di intervento per i sedimenti di aree fortemente antropizzate nel sito di bonifica di interesse nazionale di Taranto” proposti da ICRAM ed approvati in conferenza dei servizi ministeriale del 29 dicembre 2004. I dati evidenziarono uno stato di contaminazione diffusa da PCB, con superamento del valore di intervento (190 μg/kg) per tutta l’area indagata e per tutto lo spessore analizzato.
I milioni che mancano all’appello
Pensare di bonificare il Mar Piccolo con appena 20 milioni di euro, è una barzelletta che non fa ridere nessuno. Ed alla quale soltanto i nostri politici e la nostra classe dirigente può credere. Anche perché negli anni le somme stanziate e sparite nel nulla sono nettamente superiori. Ad esempio, per l’area “170 ha” fu approvato un progetto definitivo da parte del MISE (Ministero Sviluppo Economico) con relativo quadro economico di € 35.415.303,12. Dove sono finiti quei soldi? La domanda è quanto mai lecita, visto che nel verbale del 15.09.2005 la conferenza dei servizi ministeriale deliberò di richiedere al Commissario Delegato della Regione Puglia “di procedere con la massima celerità all’aggiudicazione delle attività di MISE dei sedimenti con valori di concentrazioni di inquinanti superiori al 90% dei valori di concentrazione limite accettabili”.
Ma dopo alcune proteste delle associazioni di mitilicoltura, preoccupate per gli effetti del dragaggio sulla qualità dei mitili, fu proposto dalla Provincia di Taranto di effettuare uno studio di dettaglio sull’area in modo da colmare alcune lacune individuate in fase di caratterizzazione e verificare, con un’analisi costi-benefici, il miglior sistema di intervento da attuare. Ma lo studio si è perso chissà dove. In un’altra Conferenza dei Servizi riunitasi a Roma in data 19.10.2006 presso il Ministero dell’Ambiente, vennero invece stanziati 26 milioni di euro destinati all’area tarantina. Il 10.11.2006 la Provincia di Taranto annunciava: “Risanamento del Mar Piccolo: 3 milioni di euro per l’analisi del rischio”. Le risorse stanziate facevano parte dei 10 milioni di euro complessivi che la Regione Puglia mise a disposizione per l’intera operazione. Sempre in quel comunicato si affermava che “oltre ai fondi regionali, com’è noto, ci sono anche i 26 milioni di euro del Ministero dell’Ambiente che, come si ricorderà, senza l’azione congiunta di Regione Puglia e Provincia di Taranto rischiavano di finire a Manfredonia…”.
Qualche giorno dopo, il 19.10.2006, veniva ufficializzata la notizia dei 26 milioni di euro stanziati dalla Conferenza dei Servizi, “per il risanamento del Mar Piccolo”. Il presidente della Provincia, Gianni Florido, così commentava: “Bella notizia, merito anche dell’azione sinergica messa in campo con il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola e il presidente del consiglio regionale, Luciano Mineo”. Eravamo nel 2006. Tra i fondi stanziati dalla Regione Puglia e quelli della Conferenza dei Servizi, in totale si parlava di 36 milioni di euro da destinare alla bonifica del Mar Piccolo. Il MISE ne stanziò altri 35 l’anno prima. Sono passati sette anni e di quei soldi non vi è più traccia. Nella relazione del decreto ministeriale del 2011, venivano previsti i costi per la messa in sicurezza e/o bonifica. “Le prime stime, effettuate sulla base dei dati preliminari di estensione e di tipologia di inquinamento, indicano un fabbisogno di larga massima pari a circa 100 miliardi”. Di lire. Oggi sarebbero 500 milioni di euro.
Accertare tutte le fonti e prendere i colpevoli
Questa è Storia. Inconfutabile. Su cui nessuno può recitare la parte dello struzzo. Proprio ieri, sul blog del “Comitato per Taranto” è stato caricato un video dal titolo “Amarcord”, sulla produzione di vongole nel Mar Piccolo. Ciò detto, è praticamente impossibile quantificare un danno del genere. Quanti soldi ci vorrebbero per risarcire un’intera comunità a cui è stata privata la possibilità di avere un mare pulito dove poter coltivare e pescare i migliori mitili di tutto il Mediterraneo? E di avere una falda libera da ogni tipo di inquinante? Quando si inizierà ad indagare su chi ha interrato per 23 anni nella cava sulla strada di Statte materiale altamente inquinante, che nel corso degli anni è arrivato sino alla falda profonda per poi defluire in maniera inesorabile nel Mar Piccolo? E quante altre domande si potrebbero fare. Alla fine di tutto, resta in noi l’assoluta certezza che i colpevoli siano decine e decine, ed abbiano occupato ed occupino ancora oggi, ogni livello del nostro sistema di potere. E che, soprattutto, ci abbiano avvelenato il Mar Piccolo. Forse per sempre.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 25.02.2013)
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