L’azienda, inoltre, diffida soggetti terzi per quanto riguarda la vendita annunciando possibili azioni risarcitorie, sottolineando che la legge 231 autorizza l’Ilva sia a produrre che a commercializzare i prodotti: per questo motivo sempre oggi sarà inoltrato al Tribunale del riesame un ricorso contro l’atto del gip Patrizia Todisco. Quest’ultimo, partendo dalla tese che le merci possono deteriorarsi nel tempo e quindi perdere di valore economico, arrecando un danno all’azienda, ha disposto che i custodi giudiziari – Barbara Valenzano, Emanuela Laterza, Claudio Lofrumento e Mario Tagarelli – vendano direttamente le merci e trasferiscano il ricavato in un deposito vincolato che varrà ai fini dell’eventuale confisca.
Nell’incontro di venerdì con l’Ilva, i custodi giudiziari hanno acquisito tutti i contratti commerciali depositati in azienda. Sono poco più di un migliaio ed alcuni si riferiscono anche a grossi quantitativi. Nel caso di vendita diretta da parte dei custodi, a fronte dell’indisponibilità dell’Ilva a mettere a disposizione personale e mezzi, bisogna innanzitutto trovare le modalità affinché l’acciaio dissequestrato possa uscire dallo stabilimento e giungere a destinazione. Il problema é soprattutto per il trasporto, visto che le merci Ilva vengono movimentate, oltre che dalle gru, attraverso tir, convogli ferroviari e navi.
Potrebbe quindi risultare essere necessario addirittura il noleggio dei mezzi ed in tal caso si porrebbe il problema dei costi da affrontare, costi che potrebbero a quel punto essere scalati dal valore delle merci in quanto appare altamente difficile che l’autorità giudiziaria possa accedere a fondi diversi come, per esempio, quelli per le spese di giustizia. Si riproporrebbero, quindi, esattamente le stesse difficoltà che i custodi e la Procura hanno incontrato nei mesi scorsi, quando, a fronte dei comportamenti Ilva definiti poco collaborativi, decisero di contattare direttamente alcune aziende, anche estere, col compito di studiare il modo per accelerare lo spegnimento degli impianti siderurgici.
A salvare il gruppo Riva furono il decreto legge 171 e la legge 231, la così detta “salva-Ilva”, con l’azienda che venne reimmessa nel possesso degli impianti dell’area a caldo pur rimanendo il sequestro (visto che l’azienda non ha mai ricorso in Cassazione contro l’atto e oramai da tempo sono scaduti i termini per farlo): anche in quel caso però, lo scoglio principale per la Procura furono proprio i costi elevati e la conseguente difficoltà a farvi fronte. Una situazione analoga potrebbe ripresentarsi adesso con le merci. Che ammontano ad un milione e 700mila tonnellate per un valore stimato di 800mila euro.
Venerdì l’Ilva ha ribadito che parte degli ordini di fornitura finiti nella rete del sequestro del 26 novembre scorso sono stati riprogrammati e soddisfatti con la nuova produzione avvenuta dal 4 dicembre in poi, da quando, l’Ilva ha riottenuto il possesso degli impianti dell’area a caldo, mentre altri sono stati disdettati dai clienti: quanti e di quale valore, non è dato sapere. Su tutto questo i custodi effettueranno una nuova verifica e la stessa vendita delle merci avverrà seguendo l’ordine dei contratti depositati in azienda e acquisiti nell’incontro di venerdì.
G. Leone (TarantoOggi, 25.02.2013)
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