I politici temono l’Ilva – Niente comizi a Taranto (Il Manifesto)
TARANTO – E’ molto probabile che i tarantini che tra oggi e domani si recheranno ai seggi elettorali per esprimere le loro preferenze per il nuovo governo, saranno pochi. Se non pochissimi. Anzi: a guardare i dati delle Amministrative del 2012, c’è il rischio concreto di registrare un record storico in fatto di astensionismo. Lo scorso maggio al primo turno infatti votò poco più del 60% (62,44%). Al ballottaggio, vinto dal rieletto Ippazio Stefàno appoggiato da tutta l’area del centrosinistra, votò invece soltanto il 43,21%: su 174mila aventi diritto al voto se ne presentarono 74.997. In 100mila preferirono astenersi scegliendo il mare o altre destinazioni. Una disaffezione e un distacco dalla politica cresciuto negli anni, a partire dallo scandalo del dissesto finanziario che nel 2006 fece cadere la giunta di centrodestra guidata da Rossana Di Bello e che segnò il record europeo per il crack finanziario di un Comune.
Ma a pesare nell’urna sarà inevitabilmente la vicenda Ilva. Dopo essere stata abbandonata al suo destino per decenni, dalla scorsa estate Taranto ha improvvisamente scoperto di essere strategica per l’economia nazionale. Grazie all’acciaio prodotto dal siderurgico più grande d’Europa, finito nel mirino della magistratura con l’accusa di disastro ambientale. Per salvarlo dalla chiusura il governo Monti è arrivato addirittura a varare in tutta fretta una legge ad hoc, la n.231 ribattezzata “salva-Ilva”, votata dal 90% dei parlamentari. Testo che è finito al vaglio della Corte Costituzionale dopo i ricorsi del gip Patrizia Todisco e del tribunale dell’Appello che hanno riscontrato diversi profili di incostituzionalità.
A Taranto quella legge non è piaciuta. L’intervento del governo, atto a salvare soltanto la produzione dell’azienda guidata dal gruppo Riva e a contrastare l’azione della magistratura, è stato visto come una vera e propria ingerenza. L’ennesimo schiaffo ad un territorio ferito, inquinato per decenni prima dallo Stato e poi dall’Ilva (oltre che da Eni, Cementir e Marina Militare), nel silenzio generale delle istituzioni locali che negli ultimi 20 anni hanno visto alternarsi al governo prima il centrodestra e poi il centrosinistra. Senza che nessuno abbia soltanto abbozzato una ben che minima reazione, sindacati inclusi. Lasciando che il territorio si inquinasse forse in via irrimediabile e che la gente continuasse ad ammalarsi e morire.
Le colpe e le responsabilità, dunque, sono di tutti. Nessuno oggi può presentarsi a Taranto recitando la parte di chi non sapeva. Ecco perché i tre leader principali, Silvio Belrusconi, Mario Monti e Pier Luigi Bersani, si sono ben guardati dal passare dalla città dei Due Mari nei loro tour elettorali. Hanno preferito mete più sicure e tranquille come Bari, Brindisi o Lecce. Eppure, dei problemi dell’Ilva e di Taranto hanno parlato ovunque siano andati. Altro assente illustre, il leader di SEL nonché governatore della Regione, Nichi Vendola. Dopo aver vinto le elezioni nel 2005 e nel 2010 anche e soprattutto grazie ai voti dei tarantini che hanno creduto alle favole e alle poesie su Taranto e i bambini del rione Tamburi, Vendola ha capito che il capoluogo ionico è oggi per lui una trappola dalle sabbie mobili dalla quale è meglio girare alla larga.
Ma se il Pdl, conscio della batosta alle ultime amministrative dove il candidato sindacato Condemi ha racimolato appena il 7%, ha scelto di non candidare alla Camera e al Senato nessun esponente di spicco del partito ionico, il Partito Democratico ha provato a portare un vento di cambiamento, candidando al numero 1 della lista Pd per il Senato, Angela Finocchiaro. Alla storica senatrice è stato assegnato l’improbo compito di ripulire la reputazione del partito a Taranto, coinvolto con alcuni esponenti di spicco nelle intercettazioni dell’indagine “Ambiente Svenduto”, collegata a doppio filo alla vicenda Ilva. L’esordio non è stato però dei migliori, visto che la senatrice è stata accolta dalla contestazione di alcuni gruppi antagonisti tarantini. Stessa sorte è toccata quattro giorni fa al segretario nazionale del Pdl Angelino Alfano.
Ecco perché in molti ipotizzino che anche in riva allo Ionio possa spirare il vento del voto di protesta. Specialmente tra gli operai Ilva, che potrebbero in massa scegliere il Movimento 5 Stelle. Ma su 12mila dipendenti, i residenti in città non superano le 4-5mila unità. E quella tarantina è stata in tutto il Sud l’unica piazza che Grillo, per ben due volte negli ultimi mesi, non è riuscito a riempire. Del resto, alle scorse amministrative il Cinque Stelle ha ottenuto soltanto il 2%. Ed anche sul come risolvere la vicenda Ilva, il leader del movimento non ha del tutto convinto.
Ciò nonostante, è probabile che anche per una questione di numeri, il Cinque Stelle possa raddoppiare il trend dello scorso anno. Chi potrebbe invece ottenere un buon risultato è “Rivoluzione Civile”. Ingroia ha infatti puntato su un cavallo sicuro: il presidente dei Verdi nonché consigliere comunale, Angelo Bonelli. Che fu la vera sorpresa delle scorse amministrative dove come candidato sindaco ottenne il 12% pari ad oltre 12mila voti. Appoggiato da quasi tutto l’arco ambientalista ionico, è l’unico politico ad aver preso una posizione chiara e decisa sulla vicenda Ilva: chiudere e riconvertire.
Ma al di là di tutte queste considerazioni, il futuro di Taranto dipenderà soprattutto dalla sentenza della Corte Costituzionale da un lato e, dall’altro, dalle mosse del gruppo Riva. Perché i lavori per il porto dureranno almeno altri tre anni, l’aeroporto è ancora inutilizzabile per il cargo e i voli civili per il veto della Regione Puglia e l’inchiesta della magistratura sull’Ilva e tutto quello che ruota attorno al mostro d’acciaio, è ancora lungi dall’essersi conclusa. Da qui all’estate possono cambiare ancora molte cose, anche a seguito dei risultati delle elezioni politiche. A cominciare dall’uscita di scena del sindaco di centrosinistra Stefàno, al governo della città dal 2007 e a tutt’oggi senza una giunta completa e dell’amico-nemico presidente della Provincia Gianni Florido (che nel Pd è in minoranza), al timone dal 2004. In questo modo, tutto tornerebbe nuovamente in ballo. Ancora una volta.
Gianmario Leone (Il Manifesto)