Dopo Archinà, certamente uno degli uomini più fedeli alla famiglia Riva. Del resto, oltre 25 anni di Ilva non si dimenticano facilmente. Specie se si è sempre fedeli alla linea dell’azienda. Certamente non ci mancherà. Né sappiamo se riuscirà o meno a godersi la lauta pensione che lo attende. Visto che il precedente direttore dello stabilimento, l’amico di mille battaglie, Luigi Capogrosso, non se la passa al meglio dallo scorso luglio. Ciò che è certo è che di cose sull’Ilva ne ha sempre sapute e ne sa tutt’ora molte. Chissà, magari in un improvviso moto di coscienza deciderà di vuotare il sacco e raccontare finalmente le tante verità sulla gestione Riva del siderurgico tarantino. Ma è un evento che difficilmente accadrà: certi uomini restano fedeli al loro padrone sino alla fine, e forse è anche giusto che sia così. Ciò che invece ci “preoccupa” è che stando alla versione sempre fornita dall’Ilva, proprio all’ing. Buffo lo scorso dicembre era stato affidato il compito di redigere il piano industriale che l’azienda non ha ancora presentato. Ironia della sorte, visto il tempo che passava, tempo addietro scrivemmo che forse il buon Buffo era intento a scrivere le sue “memorie”: non avevamo idea che era proprio quello che stava accadendo. Per la cronaca, lo sostituirà l’ing. Antonio Lupoli.
Restando in ambito Ilva, ieri l’azienda ci ha regalato l’ennesima perla della sua storia recente. Nelle poche righe della nuova nota ufficiale infatti, possiamo ancora una volta “ammirare” la logica aziendale che ha sempre contraddistinto la gestione del gruppo Riva. Dunque. In merito al provvedimento del GIP di Taranto relativo alla vendita dei prodotti sotto sequestro notificato proprio ieri alla società, “Ilva ritiene che il provvedimento sia del tutto illegittimo e contenga evidenti vizi di diritto”. E già qui ci sarebbe di che ridere, visto che un’azienda sotto inchiesta per reati di varia natura con i suoi massimi dirigenti e proprietari indagati, agli arresti in Italia e all’estero, dovrebbe quanto meno contare sino a dieci prima di dare lezioni ad un magistrato sulla legittimità o meno di un atto e sugli eventuali vizi di diritto. Ma proseguiamo oltre. Nella nota aziendale si legge che “non è comprensibile l’urgenza del provvedimento in considerazione dell’ormai prossimo pronunciamento della Corte Costituzionale e avendo la procura aspettato oltre due mesi per richiedere il provvedimento”.
Ma come: se in tutti questi mesi l’Ilva non ha fatto altro che richiedere indietro quel materiale per pagare gli stipendi degli operai, consentire all’azienda di restare in vita e ottemperare alle prescrizioni AIA, come mai oggi questa fretta è improvvisamente scomparsa? Addirittura l’azienda è ora tranquillamente disposta ad attendere diversi mesi e accusa il gip di avere “fretta”? Per non parlare dell’arroganza, nemmeno celata, nel voler indicare alla Procura e al gip i tempi secondo cui l’autorità giudiziaria dovrebbe operare. Non solo. Perché nella nota si legge anche altro: “Appare poi inopportuna la decisione di vincolare il ricavato a tempo indeterminato, mentre queste risorse – come sostiene giustamente il Ministro Clini – potrebbero essere più correttamente utilizzate per un interesse generale dei cittadini come l’attuazione dell’AIA. Si ricorda infine che la legge 231 del 2012, che l’autorità giudiziaria non ritiene di dover applicare, prevede che i beni sequestrati siano restituiti agli aventi diritto, quindi alla proprietà”.
Primo, non è assolutamente vero che il ricavato è vincolato a tempo indeterminato, ma soltanto sino a quando non si esprimerà la Corte Costituzionale sulla legittimità o meno delle norme contenute nella legge 231. E’ altresì scontato che qualora la Consulta si esprimerà a favore della Procura quel ricavato l’Ilva non lo rivedrà a tempo indeterminato. Per non parlare dell’assurdità della teoria, già enunciata dal ministro Clini, secondo cui gli 800 milioni confiscati all’azienda dovrebbero essere destinati alle attività di risanamento degli impianti previsti nell’AIA. In pratica l’Ilva e il ministro dell’Ambiente sostengono che il ricavato di un’attività illecita, per di più confiscato, deve comunque essere di fatto consegnato all’azienda che ha violato la legge per aiutare quest’ultima ad effettuare dei lavori interni all’azienda e non essere devoluto alla cittadinanza come primo parziale risarcimento per gli immani danni provocati all’ambiente ed alla salute di quest’ultimi. Una vera assurdità.
Per fortuna, ancora una volta, sono le parole del gip a restituire la realtà e la verità dei fatti. Ad esempio, nell’ordinanza viene giudicata inammissibile la richiesta dell’Ilva di ottenere la disponibilità delle 42mila tonnellate su un totale di un milione e 700mila tonnellate, perché “l’avvocato Francesco Brescia, responsabile dell’ufficio legale di Ilva Taranto, benché privo di qualunque legittimazione – non risultando egli costituito nel procedimento quale difensore di alcuna delle parti interessate – ha ritenuto di poter rivolgere con modalità del tutto irrituali al custode giudiziario Mario Tagarelli”: e poi parlano di “vizi di diritto”. Ma il gip chiarisce anche un altro aspetto a tutt’oggi poco chiaro anche a noi: quello in merito al materiale prodotto prima del 25 luglio 2012.
“Con decreto emesso il 22 novembre 2012 veniva sottoposto a sequestro preventivo tutto il prodotto finito e/o semilavorato dell’attività del siderurgico e destinato alla vendita senza che il vincolo possa intendersi in alcun modo limitato al prodotto derivante dai processi produttivi posti in essere solo successivamente alla data di emissione (25 luglio 2012) del sequestro preventivo degli impianti dello stabilimento Ilva come se l’attività antecedente a tale data non integrasse gli estremi dei gravi reati (permanenti) per i quali si procedere e di cui l’acciaio realizzato costituisce prodotto”.
Inoltre la vendita delle merci Ilva sotto sequestro “non é preclusa dal fatto che il giudizio relativo alla restituzione degli stessi sia attualmente sospeso in conseguenza della trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale”. Infine, l’articolo 3 della legge 231 del 2012 sottoposto al giudizio della Consulta – quello che autorizza l’Ilva a commercializzare i prodotti realizzati prima del decreto 171 del 3 dicembre 2012 – “non promuove il dissequestro incondizionato del prodotto finito (il vincolo si trasferisce infatti sulle somme ottenute) e non consente affatto una commercializzazione dei beni che, rendendo impossibile la successiva individuazione della cosa originariamente sequestrata, anticipi gli effetti della decisione giudiziale attualmente sospesa dalla questione di legittimità costituzionale”. Tutto chiaro, vero?
Gianmario Leone (TarantoOggi, 16.02.2013)
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Certo Gianmario..
(mi ha fatto riflettere la tua frase a proposito di Buffo: "..certi uomini restano fedeli al loro padrone..."
beh, io dico che : "Per Essere Veri Uomini Non Bisogna Aver "Padroni"... " ) mai... ;-)