Dunque, non è chiaro se quel piano tecnico esista o meno e soprattutto cosa contenga. Stante così le cose, assume i contorni del paradosso l’eventualità che l’azienda abbia già ottemperato al 65% delle prescrizioni. Almeno questo è quello che l’Ilva ha dichiarato nero su bianco in una relazione consegnata allo stesso Clini lo scorso 23 gennaio, quando il ministro tornò a Taranto per presentare il Garante dell’AIA e il commissario delle bonifiche. Dunque, ricapitolando, non è chiaro se il piano tecnico dell’Ilva esista, se è vero o meno che l’azienda abbia iniziato ad ottemperare alle prescrizioni dell’AIA e, soprattutto, non si capisce perché Clini dichiari di essere ancora in attesa del piano dell’azienda quando lo scorso novembre la commissione istruttoria del suo ministero ha dato l’ok al piano presentato dall’Ilva.
Il sospetto è che possa essere stato varato un piano tecnico sui lavori da svolgere nelle varie aree e sui vari impianti dell’area a caldo del siderurgico, senza però che venisse specificato l’eventuale costo degli interventi. E soprattutto senza nessuna garanzia sulla copertura finanziaria da parte del gruppo Riva a svolgere nei tempi previsti quanto predisposto dall’AIA. Così come non è assolutamente chiaro come sia possibile che l’Ilva abbia avanzato richiesta, ai comuni di Taranto e Statte, di ottenere i vari permessi a costruire la copertura dei parchi minerali, senza che nessuno abbia preso visione della progettazione della società Paul Wurth a cui l’Ilva ha affidato la gestione del problema. Mistero.
Come si ricorderà, sino ad oggi siamo tutti legati alle previsioni avanzate dal ministro Clini, secondo il quale il gruppo Riva dovrà sborsare 3-4 miliardi di euro sino al 2015, per ottemperare a tutte le prescrizioni AIA. Una cifra considerevole certo, ma molto lontana dai 10 miliardi di euro ipotizzati nel mese di settembre, dopo le valutazioni dei custodi giudiziari sullo stato reale degli impianti dell’area a caldo. Oggi, invece, il Centro Studi Siderweb afferma che basterebbe al massimo un miliardo e mezzo di euro. Il Centro parla di “stima dettagliata e approfondita che, se confermata dalle fonti ufficiali, scioglierebbe ogni dubbio sulla sostenibilità degli stessi e ben lontana dai 3/4 miliardi di euro sin qui stimati”.
La previsione è stata redatta alla luce degli ultimi bilanci dell’azienda, leggendo i quali si sarebbe valutato che il limite massimo delle risorse da impiegare per il risanamento degli impianti debba essere contenuto entro i due miliardi di euro affinché non venga rotto “l’equilibrio necessario alla sopravvivenza aziendale”. E così, riducendo ad un miliardo di euro le spese ed includendo i futuri aiuti che arriveranno dalla Banca Europea degli Investimenti, il Centro Studi Siderweb arriva ad affermare che “si concretizza sempre di più la possibilità che anche Taranto entro il 2016 possa avvenire ciò che in Austria ha impiegato trent’anni a succedere, vale a dire la quasi completa compatibilità ambientale di un’acciaieria a ciclo integrale”.
E’ chiaro che un’affermazione del genere si commenta da sola. Ma è altrettanto vero che la previsione del Centro Studi potrebbe essere veritiera. Quanto meno in base ai bilanci dell’Ilva. Il che spiegherebbe il perché l’azienda non ha ancora presentato un piano industriale e perché Stato ed Unione Europea si stanno muovendo per “aiutare” economicamente il gruppo Riva. Il tutto, in attesa che la Corte Costituzionale si pronunci in via definitiva sulla legittimità costituzionale della legge 231. Perché al di là delle tante parole insensate pronunciate all’indomani della bocciatura dei due ricorsi avanzati dalla Procura sul conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato dai vari falchi pro-Ilva, è assolutamente certo che una sconfitta del governo riporterebbe tutto al punto di partenza. Facendo esplodere definitivamente tutte quelle contraddizioni e quelle bugie finora nascoste abilmente da azienda, istituzioni e sindacati.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 15.02.2013)
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