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L’Ilva e il mistero degli esperti

TARANTO – Questa sì che è bella. Nella giornata di ieri siamo stati contattati dall‘Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri” di Milano, che ci ha inviato la nota ufficiale che leggete qui.  Il riferimento è al pezzo che abbiamo pubblicato lo scorso 30 gennaio dal titolo “L’acciaio regge la crisi. Per ora”, in cui analizzavamo ancora una volta la reale situazione della siderurgia italiana, con inevitabile riferimento all’apporto dato al mercato dall’acciaio prodotto dall’Ilva del gruppo Riva. Spunto per l’ennesimo approfondimento, le previsioni per il 2013 fornite da Federacciai, la federazione che rappresenta le imprese italiane del settore della siderurgia, secondo la quale “la produzione di acciaio in Italia nel 2013 è attesa in linea con quella dell’anno appena conclusosi: 27,2 milioni di tonnellate, il 5,2% in meno rispetto al 2011”.

Parole testuali del presidente della federazione, Antonio Gozzi, strenuo difensore del gruppo Riva e della sopravvivenza dell’Ilva di Taranto. Il quale infatti affermava anche che “la società ha guadagnato 4,2 miliardi e ne ha investiti nell’Ilva di Taranto 4,5, più di quanto ha guadagnato in questi anni e di questi oltre un miliardo per l’ambiente. I Riva avranno molte colpe, ma cosa si deve chiedere a un imprenditore se non di reinvestire quello che guadagna in tutte le sue aziende? Non vorrei che senza un processo la partita dell’Ilva e dei Riva sia già chiusa”. Anche il buon Gozzi però, si guardava bene dallo spiegare a cosa fossero effettivamente serviti quei 4,5 miliardi. Perché molto probabilmente nemmeno lui lo sa. Non contento, il presidente di Federacciai concludeva sostenendo che “secondo una recente rilevazione dell’Istituto Mario Negri di Milano a Taranto non c’è più diossina che in qualsiasi altra città italiana, questo perché non lo dice nessuno?”. La nostra risposta fu che il motivo risiedeva nel fatto che si trattava di una clamorosa bufala. Capitolo chiuso? A quanto pare no.

La famosa “controperizia” Ilva

Preso atto della nota dell’istituto milanese, non è certo un caso se Gozzi ha citato il “Mario Negri”. Perché tra il centro di ricerche milanese e l’Ilva il legame c’è. E non è di natura secondaria. Per capire di cosa stiamo parlando, dobbiamo però riannodare ancora una volta i fili del passato. E tornare allo scorso 28 marzo, giorno in cui alla cancelleria del Tribunale di Taranto venne protocollata la famosa “controperizia” dell’Ilva, un documento di 20 pagine attraverso il quale l’azienda, avvalsasi della consulenza di alcuni esperti italiani, confutava la perizia redatta per incarico del gip Patrizia Todisco, dai tre periti epidemiologi Francesco Forastiere, Annibale Biggeri e Maira Triassi.

Bene. Tra i firmatari della “controperizia” Ilva, figuravano il prof. Carlo La Vecchia (nella foto), professore di Statistica Medica e Biometria all’Università Statale di Milano e Responsabile del Dipartimento di Epidemiologia Generale dell’Istituto Mario Negri di Milano e la dott.ssa Eva Negri ricercatrice dello stesso istituto. In  quel documento, si contestava punto per punto la perizia degli esperti epidemiologi nominati dal tribunale. Ad esempio, si esprimevano forti dubbi sia gli effetti a lungo termine nella popolazione generale, sia gli effetti a lungo termine riferiti ai lavoratori: i primi perché “sarebbero comunque da attribuire a esposizioni nel lontano passato, e di conseguenza alla proprietà precedente (fino al 28 aprile 1995)” ed i secondi perché “riguardano soggetti con pregresso impiego in siderurgia nel 1974-97, e quindi – se reali – vanno in larga parte attribuiti alla proprietà precedente”.

Si sottolineavano anche quelli che nella perizia rappresentano i limiti delle indagini svolte, peraltro segnalati dagli stessi esperti epidemiologi: “La popolazione studiata è relativamente piccola e il numero di eventi osservati è relativamente poco numeroso. Questo comporta una forte incertezza nelle stime. La popolazione oggetto di indagine è di piccole dimensioni e le stime hanno ampi intervalli di confidenza”. Gli esperti attaccavano anche sul PM 10: “Le stime sulla mortalità a breve termine sono quelle rilevanti per le esposizioni attuali, ma sono anch’esse basate su assunzioni e modelli criticabili e, soprattutto, riferiti a valori scelti in maniera del tutto arbitraria, non corrispondenti alla normativa vigente. La distorsione dei risultati ottenuti si deve alla scelta arbitraria di aver utilizzato per il PM10 la soglia di 20 itig/m3. Se infatti, anziché la soglia di 20 i.tg/m3, proposta come linea guida dall’OMS, fosse stato utilizzato il limite di legge di 40 1.tg/m3fissato dall’Unione Europea (recepito in Italia con Dlg 155 del 13.8.2010) l’eccesso di decessi a Taranto sarebbe pari a zero, – non invece 83 come riportato a pagina 167. Il limite europeo ora in vigore di 40 pg/m3 è peraltro utilizzato anche nel menzionato articolo di Baccini, Biggeri et al. (2011)”.

Poi, lo scorso 20 novembre, l’Ilva depositava un’istanza nella quale chiedeva il dissequestro dell’area a caldo, “allegando” i commenti sulle perizie chimica ed epidemiologica da considerarsi “totalmente inaffidabili”. Parere espresso da esperti di caratura nazionale ed internazionale, tra cui compare ancora una volta il nome del prof. Carlo La Vecchia del “Mario Negri”. Le tesi espresse sono le stesse della controperizia del mese di marzo, sia sul PM10 sia sugli effetti delle emissioni inquinanti su lavoratori e cittadini. Ma rispetto alla prima “controperizia”, nel documento di novembre c’era un capitolo interamente dedicato alla diossina. Nel quale si affermava, tra le altre cose, che “sul fronte delle diossine nel suolo e nell’aria, i dati delle concentrazioni nel suolo/vegetazione/aria a Taranto – da quanto emerge dalle osservazioni prodotte – sono comparabili a quelli rilevati in altre aree del mondo e italiane”. Molto probabilmente Gozzi faceva riferimento a questo documento. Che si concludeva con un curioso teorema secondo cui “pericolo, rischio e causa di malattia non sono la stessa cosa e non vanno confusi”: per questo, l’emergenza ambientale a Taranto, seppur asserita dai periti nominati dal tribunale, veniva definita “documentalmente inesistente”.

Il legame con il Centro Studi Ilva

Tutto bene, quindi? Non proprio. Perché noi abbiamo il “pessimo” difetto di avere una buona memoria. Perché se da un lato ci guardiamo bene dal dubitare che l’istituto Mario Negri “non ha mai effettuato alcuna rilevazione riguardante la presenza di diossina nella città di Taranto”, è altrettanto vero, come sopra evidenziato, che un suo illustre componente ha redatto delle relazioni “pro Ilva”. Certo, questa non è assolutamente una colpa né un reato. Ma è certamente la prova di un legame esistente. Che però non si riduce a questo. Sì, perché il prof. Carlo La Vecchia, guarda caso, è anche uno dei cinque componenti del “Comitato Scientifico” del famoso “Centro Studi Ilva”. Comparso per la prima volta nel 2010, il comitato si proponeva come garante del lavoro del Centro Studi Ilva, nato con l’obiettivo “di promuovere un approccio multidisciplinare e pragmatico al tema della sostenibilità dell’industria attraverso la realizzazione di studi originali e la raccolta di esperienze e competenze tra le più avanzate oggi disponibilità a livello internazionale.

Tale sforzo dovrà coinvolgere tutte le parti interessate in un reciproco processo di conoscenza e consapevolezza del rapporto virtuoso che può essere creato tra grande industria e la comunità che l’accoglie”. Dopo il 1 dicembre del 2010, il Centro Studi Ilva organizzò 7 eventi nel 2011 e 3 nel 2012. L’ultimo, “stranamente”, si svolse il 4 luglio ed aveva come tema, guarda caso, “Diossina e salute, le esperienze internazionali”. Dopo di che, del Centro Studi e del comitato scientifico si sono perse le tracce. Gli incontri avvenivano quasi sempre nello splendido scenario del Relais Histò San Pietro sul Mar Piccolo, dove si accedeva soltanto con regolare invito. In platea sedevano come sempre “gli amici degli amici”, ben protetti da agenti della polizia e Digos all’esterno, nel caso in cui qualche ospite sgradito si volesse avvicinare troppo agli “ospiti”. Quegli “amici degli amici” che oggi fanno finta di niente, ma che all’epoca se la “profumavano” alla grande in eventi del genere. Durante i quali l’Ilva veniva definita un’azienda all’avanguardia, assolutamente “innocente” ed anzi vogliosa di avvicinarsi alla città.

C’erano tutti: politici, imprenditori, medici, sindacalisti, giornalisti. Molti dei quali sono finiti tristemente coinvolti nelle intercettazioni dell’inchiesta “Ambiente Svenduto”. Altri, invece, hanno preferito riciclarsi operando il classico salto della barricata, rinnegando ciò che hanno fatto o coperto per anni. Ovviamente, “TarantoOggi” non è mai stato invitato. Non solo. Perché del “Comitato Scientifico” del Centro Studi Ilva, faceva parte anche il prof. Ivo Allegrini, definito come “uno dei massimi esperti mondiali dell’inquinamento atmosferico e del suo impatto ambientale”, che in un’intercettazione del 15 luglio del 2010, mentre era al telefono con il responsabile delle pubbliche relazione Ilva, Girolamo Archinà, minacciava di inviare a Taranto alcuni suoi amici calabresi per darci delle “legnate”, affinché la smettessimo di dare fastidio con i nostri articoli. Con l’Archinà che però lo tranquillizzava, sostenendo di avere anch’egli amici calabresi a cui affidarsi, ma di non preoccuparsi più di tanto, perché “quelli fanno casino soltanto perché vogliono soldi”. La storia, invece, ha dimostrato esattamente il contrario. E il bello è che non è ancora finita. Anzi. E noi siamo qui ad attendere. Come in quel proverbio cinese che metaforicamente afferma: “Siediti sulla riva del fiume, e vedrai il cadavere del tuo nemico passare”. Ad maiora.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 12.02.2013)

 

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