Al via a Brindisi il processo sulla morte del ricercatore tarantino Paolo Rinaldi
TARANTO – Dopo due anni e tre mesi da quel tragico incidente, è iniziato ieri il processo sulla morte del giovane Paolo Rinaldi, 29enne ricercatore tarantino, che scomparve il 21 ottobre del 2010 perché travolto dal crollo della falesia ad Apani, sulla costa brindisina, nel cuore dell’oasi del Wwf. Lo scorso novembre, il giudice per l’udienza preliminare Giuseppe Licci ha accolto la richiesta di rinvio a giudizio del pubblico ministero Antonio Costantini per verificare le responsabilità sulla morte del 29enne. L’ipotesi di reato di omicidio colposo riguarda Enzo Epifani e Alessandro Ciccolella, rispettivamente presidente e direttore del consorzio di gestione dell’oasi di Torre Guaceto; Franco Marinò il guardaparco che rimase travolto, per fortuna con conseguenze non gravi, insieme al giovane ricercatore; i legali rappresentanti di Universus Csei, Antonio e Ettore Ruggiero.
Universus è l’ente per conto del quale Paolo Rinaldi stava effettuando alcuni studi sull’erosione della costa assieme ad una collega. Indagato anche, per l’omessa apposizione di segnali di pericolo, il dirigente dell’ufficio traffico del Comune di Brindisi Carlo Cioffi. La tragedia avvenne intorno alle 10,30 del mattino, esattamente lungo il tratto di circa cinque chilometri, più volte dichiarato a rischio dagli esperti. Paolo si trovava sul posto insieme alla collega Anna Scarlino, 30 anni, accompagnati dal guardaparco Marinò, stavano misurando l’erosione del litorale, attività prevista dal corso “Tecnico Gis per la gestione delle coste e delle aree rurali” bandito dall’Universus leccese. Per il 29enne, purtroppo, non ci fu scampo. Il processo che è iniziato ieri dovrà stabilire se la tragedia si poteva evitare oppure no.
Dopo due anni il ricordo di te è ancora vivo
Sono passati oltre due anni da quella mattina di ottobre. Ma il dolore non è mutato, è rimasto lì congelato in fondo al cuore. La rabbia anche. Probabilmente quella mattina non dovevi essere lì, sotto quella roccia pronta a cedere da un momento all’altro. Chissà cosa mi diresti oggi. Cosa penseresti di tutta questa storia dell’Ilva. Tu che amavi tanto la natura e l’ambiente da averne fatto la tua ragione di vita. Con sacrifici enormi ma con una caparbietà senza pari. Come scrissi due anni fa il giorno dopo la tragedia, “possedevi una dignità, un rispetto di te stesso che pochi uomini hanno la fortuna di possedere”. Chissà dove sei, adesso. Se la tua anima, il tuo spirito, il tuo fantasma o ciò che resta di te, è ancora qui. Mi piace pensare che te la spassi, tra ricerche e pedalate, sulle strade e le spiagge della litoranea, in quello scorcio di mare dove villeggiavi d’estate. Mi piace pensare che sei ancora qui. Ma forse la mia è soltanto una stupida illusione. Allora ti faccio una promessa: seguirò il tuo processo al meglio, per onorare la tua memoria e darti giustizia. Per quel che vale. Magari, oggi come allora, starai ancora sorridendo a quel destino beffardo che ti ha preso e portato via troppo presto. “Non mi ricordo se c’era la luna. E né che occhi aveva il ragazzo. Ma mi ricordo quel sapore in gola. E l’odore del mare come uno schiaffo. A Pa’, tutto passa, il resto va”. (“A’ Pa”, Francesco De Gregori). Continua al meglio il tuo viaggio, se puoi.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 08.02.2012)