Il progetto, “Progettazione e realizzazione delle opere marine previste per l’ampliamento del terminale petrolifero sito nel Mar Grande di Taranto”, prevede il prolungamento del pontile esistente in dotazione all’ENI (sviluppo in mare per 515 metri con due piattaforme principali di attracco denominate P1 e P2, e collegato a terra mediante una diga a scogliera lunga circa 350 m) e la realizzazione di una terza piattaforma d’attracco per la spedizione di prodotti petroliferi, denominata P3, e delle relative strutture di ormeggio.
La lunghezza del prolungamento (struttura carrabile) sarà di 355 metri, dalla piattaforma P2 alla nuova piattaforma P3; inoltre, è prevista la realizzazione di passerelle di collegamento tra la struttura principale e le briccole di ormeggio esterne, per un’ulteriore lunghezza di 160 m. L’estensione del pontile sarà comprensiva di una nuova piattaforma di carico (P3) provvista di due accosti, per l’attracco di navi da 30.000 DWT (la portata lorda) non allibate e da 45.000 DWT e 80.000 DWT parzialmente allibate; da 4 briccole di accosto e 6 di ormeggio, corredate di ganci a scocco e cabestani; da un sistema antincendio acqua e schiuma e vie di fuga; da un sistema di raccolta dreni idrocarburi; da un sistema di raccolta acque meteoriche e da un sistema di drenaggio bracci mediante azoto. Su ciascun accosto è prevista inoltre l’installazione dei necessari bracci di carico greggio, braccio recupero vapori, bracci per il carico del Bunker/Marine diesel, dispositivo per controllo velocità di accosto, torre munita di scala di collegamento con la nave.
Per garantire lo svolgimento sicuro delle attività di carico e l’ancoraggio stabile delle navi durante il carico del greggio, ABB fornirà nuovi sistemi elettrici, tutte le apparecchiature meccaniche e i sistemi di automazione necessari. “Questo nuovo progetto aiuterà ENI a migliorare le infrastrutture locali per il trasporto del petrolio” ha dichiarato ieri Veli-Matti Reinikkala, responsabile della divisione ABB Process Automation “ed evidenzia le competenze, le capacità e le risorse locali di ABB nel gestire, fornire ed eseguire con successo progetti completi per l’industria dell’oil and gas”. La fine dei lavori è prevista per agosto 2015. “La conoscenza approfondita del settore oil & gas e la capacità di esecuzione di progetto, sono stati tutti fattori importanti nell’acquisizione dell’ordine” ha invece affermato Enrico Di Maria, responsabile della divisione Process Automation di ABB Italia. “Questo contratto conferma l’impegno di ABB nel settore oil and gas e l’eccellenza italiana nella gestione di progetti chiavi in mano”.
Il progetto sarà infatti realizzato dal “Centro di Eccellenza per gli impianti oil and gas” di ABB in Italia, che sarà responsabile dell’ingegneria, dell’approvvigionamento e della costruzione (EPC) del nuovo impianto, inclusa la gestione generale del progetto e il pre-commissioning (il processo che si attua per dimostrare la capacità di condutture e tubazioni dei sistemi di contenimento del prodotto senza perdite). Inoltre, ABB fornirà tutte le apparecchiature elettriche tra cui i quadri di bassa e media tensione, il sistema di controllo, la cabina elettro-strumentale, le apparecchiature meccaniche e di processo, il generatore diesel e il sistema antincendio.
Per anni tutti in rigoroso e complice silenzio
Quando il giacimento petrolifero “Tempa Rossa”, situato nell’alta valle del Sauro situato nel cuore della Basilicata, sarà in grado di lavorare a pieno regime, avrà una capacità produttiva giornaliera di circa 50.000 barili di petrolio, 250.000 m³ di gas naturale, 267 tonnellate di GPL e 60 tonnellate di zolfo. Non è un caso dunque, se il progetto vede interessati due tra i più grandi gruppi petroliferi mondiali. Al fianco di TOTAL E&P Italia, operatore incaricato dello sviluppo del progetto, figurano anche la Shell (25%) e la Exxon Mobil (25%), tra le compagnie americane petrolifere più importanti al mondo. E come denunciammo su queste colonne oltre un anno fa, “Tempa Rossa” è l’unico progetto italiano considerato dalla banca d’affari Goldman Sachs tra i 128 più importanti al mondo in fase di attuazione, “capaci di cambiare gli scenari mondiali dell’energia estrattiva”. Ma questo non ha interessato nessuno, tranne il comitato “Legamjonici” (all’inizio delle denunce chiamato “Taranto libera”).
Per anni gli altri ambientalisti, i movimenti, la società civile, ha ignorato del tutto questi problemi, per svegliarsi come sempre quando oramai era troppo tardi. Inutile sottolineare il silenzio dell’altra stampa locale. Perché nel frattempo le istituzioni, spalleggiate dai solerti sindacati e da Confindustria, hanno dato tutti i permessi necessari. Dal Comune alla Provincia di Taranto, dalla Regione Puglia (6 dicembre 2011) al Ministero dell’Ambiente (19 settembre 2011), nessuno ha riflettuto sul fatto se fosse o meno il caso di pronunciarsi così in fretta a favore della compatibilità ambientale del progetto. Il 27 ottobre 2011 è stato pubblicato il decreto di VIA sul sito del Ministero dell’Ambiente, con il parere favorevole con prescrizioni della Commissione Tecnica VIA-VAS. Soltanto qualche mese fa, dopo lo scoppio del caso “Ilva”, il consiglio comunale, attraverso un documento del tutto inutile, ha chiesto non si sa a chi di rivedere la posizione sull’ok al progetto.
Certo, proprio grazie all’attività ed alle denunce del comitato “Legamjonici” l’Unione Europea ha aperto una procedura di indagine nei confronti dell’Italia per la presunta violazione della Direttiva Seveso in relazione al progetto Tempa Rossa. Ma di fatto resta un dato incontrovertibile: ancora una volta è stato permesso ad un’industria di fare del nostro territorio un suo feudo personale. Con la connivenza di una classe politica del tutto inadeguata, con dei sindacati sfacciatamente filo industriali ed una classe imprenditoriale locale pronta ancora una volta, proprio come nel caso dell’Ilva, ad attingere quanto più possibile da progetti utili soltanto ai loro piccoli e meschini interessi. Perché dell’ambiente e della salute dei tarantini, spesso e volentieri colpevolmente distratti o assenti, non gliene’è mai importato nulla.
I danni certi e futuri di Tempa Rossa
L’arrivo dalla Val d’Agri del petrolio grezzo, produrrà nell’aria un 12% in più di emissioni diffuse, che si distinguono dalle altre perché si disperdono in atmosfera senza l’ausilio di un sistema di convogliamento delle stesse dall’interno verso l’esterno. Sono emissioni che rientrano nella normativa sull’inquinamento prodotto dagli impianti industriali, emanata con D.P.R. 24 maggio 1998 n.203, che all’art.2, comma 4 recita testualmente: “Emissione, ovvero qualsiasi sostanza solida, liquida o gassosa introdotta nell’atmosfera, proveniente da un impianto, che possa produrre inquinamento atmosferico”. Sono le stesse che hanno inchiodato l’Ilva alle sue responsabilità. Il dato sulle emissioni non è stato smentito dall’Eni (anche se nel SIA, Studio d’Impatto Ambientale, la percentuale scende all’8%), ed è stato confermato dai tecnici di ARPA Puglia (seppur a microfoni spenti, ndr). Sempre all’interno dello Studio d’Impatto Ambientale, manca l’analisi di rischio di incidente rilevante, necessaria per progetti del genere, specialmente in funzione del fatto che nella rada di Mar Grande aumenterà dalle attuali 40 ad un massimo di 133 il transito di petroliere, oltre alla la costruzione di due nuovi serbatoi, accanto a quelli già esistenti, della capacità di 180.000 m3.
Quale pubblica utilità?
Ma il dramma nel dramma è che questo progetto è stato a più riprese definito “compatibile con l’ambiente circostante” e soprattutto di “pubblica utilità”. Concetto ribadito da Cgil, Cisl e Uil anche nella conferenza unitaria dello scorso 22 gennaio. Oltre un anno fa ponevamo domande, rimaste come sempre senza risposta, sull’effettiva compatibilità ambientale e sulla pubblica utilità di un progetto simile. Domande rimaste del tutto ignorate. Ma oggi possiamo darci almeno una prima risposta da soli. Ci domandavamo: “E’ di pubblica utilità un progetto che per la costruzione di tutte le sue opere affiderà i lavori ad aziende in grado di supportare quanto scritto sopra e lasceranno solo le briciole alle piccole aziende presenti sul territorio?”. L’ABB è una multinazionale svizzera con sede centrale a Zurigo. Il gruppo è presente in Italia con oltre 5mila dipendenti dislocati in unità produttive ubicate nel Nord e nel Centro Italia, specialmente in Lombardia. Dobbiamo aggiungere altro?
Gianmario Leone (TarantoOggi, 05.02.2013)
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