Tutto e il contrario di tutto
Ciò detto, quest’oggi rientrerà a lavoro soltanto una parte dei 535 lavoratori previsti: fra questi, i manutentori, che hanno il compito di controllare e verificare gli impianti prima del loro definitivo riavvio. I primi impianti che torneranno in attività saranno il tubificio ERW, il laminatoio a freddo ed altri impianti minori. Il bello è che l’Ilva pare abbia deciso di rimettere in marcia l’area a freddo, in quanto sono in arrivo nuove commesse.
Dunque, facendo un piccolo riepilogo, nel giro di appena un paio di mesi l’azienda ha prima chiuso l’intera area a freddo annunciando 1400 esuberi (che si sarebbero dovuti sommare ad altri 1200 lavoratori già in cassa integrazione); subito dopo ha annunciato la chiusura degli stabilimenti di Novi Ligure, Genova Racconigi e Salerno, dell’Hellenic Steel di Salonicco, della Tunisacier di Tunisi e di diversi stabilimenti presenti in Francia nonché tutti i centri di servizio Ilva, quali Torino Milano e Padova, nonché gli impianti marittimi di Marghera e Genova, annunciando altri 2500 esuberi.
In un secondo momento ha fatto in modo che si diffondesse la notizia secondo cui, proprio a causa del sequestro della magistratura, erano andate perse due commesse milionarie (una americana e l’altra irachena); dopo di che ha pensato bene di blindare l’accesso ai reparti dell’area a freddo agli operai attraverso lucchetti e travi di legno; poi ha annunciato il rischio del mancato pagamento dello stipendio di gennaio e la possibile richiesta di ben 8000 esuberi; infine, negli ultimi giorni, non solo ha annunciato la regolare retribuzione degli emolumenti previsti per i lavoratori, ma addirittura la riapertura di alcuni reparti dell’area a freddo grazie all’arrivo di nuove commesse. Non c’è che dire: un’azienda dalle idee non chiare, ma chiarissime.
L’ennesima istanza inutile e contraddittoria
E così, tanto per restare in tema e non smentirsi mai, si è appreso che nei giorni scorsi l’azienda ha presentato una nuova istanza, questa volta indirizzata ai custodi-amministratori giudiziari nominati dalla Procura della Repubblica di Taranto, in cui si chiede di poter commercializzare una parte (42mila tonnellate dal valore 32 milioni di euro su 1 milione e 700 mila tonnellate) di prodotti finiti e semilavorati, sequestrati dalla Guardia di Finanza il 26 novembre scorso e fermi sulle banchine e nei depositi dell’azienda.
Ricordiamo che il sequestro della merce fu chiesto dalla Procura e disposto dal gip del Tribunale Patrizia Todisco, perché prodotta nel periodo tra il 26 luglio, giorno del sequestro preventivo degli impianti dell’area a caldo, e il 26 novembre e, a seguire fino al 3 dicembre scorso, quando venne approvato il decreto legge 207 da parte del Consiglio dei Ministri, che consentiva la “ripresa” della produzione e della commercializzazione dei prodotti (anche quelli precedenti all’attuazione del decreto, dando così un effetto retroattivo ad una legge, cosa mai vista prima d’ora). Domanda: ma non è stato il presidente Bruno Ferrante a sostenere pochi giorni fa che se l’Ilva ha prodotto quel materiale è stata soltanto colpa dei custodi che avrebbero dovuto impedirlo? Non solo. Perché in questa nuova istanza l’azienda sostiene un’altra delle sue idee sorprendenti: ovvero che la Guardia di Finanza quel giorno di novembre si sbagliò.
In pratica secondo la tesi dell’Ilva, quando i finanzieri si recarono nell’azienda per sequestrare i prodotti semilavorati e finiti, per lo più tubi già venduti a ditte estere, non avrebbero operato alcuna distinzione tra la produzione precedente al sequestro del 26 luglio e quella successiva. Quindi le 42mila tonnellate che ora l’azienda vorrebbe nuovamente indietro, non sarebbero corpo del reato. Ma se così fosse, un’istanza del genere l’Ilva avrebbe dovuto presentarla immediatamente e non certamente dopo due mesi, una volta che tutti i tentativi per riottenere indietro quella merce sono miseramente falliti. Così come stentiamo a credere che la Guardia di Finanza possa operare in modo tale da rischiare di compromettere il lavoro di un’intera Procura.
Per non parlare del fatto che i legali dell’Ilva dovrebbero sapere che oggi i custodi giudiziari non hanno alcun potere decisionale, visto il ricorso alla Corte Costituzionale avanzato dalla Procura in merito alla legge 231, la così detta ‘salva-Ilva’. Sulla 231 pende il giudizio di legittimità costituzionale chiesto alla Consulta dal gip e dal Tribunale dell’appello cautelare, mentre la Procura ha sollevato un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, sempre davanti alla Corte Costituzionale. E fino a quando la Consulta non si sarà espressa, tutto resterà bloccato. Infine, sempre nell’istanza presentata dall’Ilva si legge come la stessa azienda ammette che il valore della merce sequestrata non è di 1 miliardo di euro, bensì di poco inferiore ai 700 milioni di euro. Del resto si sa, la verità non è mai stata una peculiarità della gestione aziendale della famiglia Riva.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 04.02.2013)
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