Ilva, i sindacati attendono
TARANTO – E’ slittato a data da destinarsi l’incontro tra azienda e sindacati programmato in un primo momento per ieri pomeriggio. Fim, Fiom, Uilm hanno infatti inoltrato proprio ieri alla direzione Ilva una specifica richiesta d’incontro per discutere diverse questioni: dal pagamento degli stipendi la cui data di erogazione si avvicina (12 febbraio), al Piano Operativo per l’attuazione dell’Autorizzazione Integrata Ambientale, con particolare riferimento al personale da coinvolgere nei lavori di risanamento e bonifica degli impianti. Fermo restando la richiesta ancora evasa dall’azienda in merito alla presentazione del “Piano Industriale e degli Investimenti”, al quale starebbe lavorando dallo scorso dicembre il direttore dello stabilimento l’ing. Adolfo Buffo.
Del resto, i sindacati sanno molto bene che soprattutto quando si parla di Ilva, il detto che “tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare” assume contorni di uno sconcertante realismo. Dopo anni e anni di atti d’intesa rimasti soltanto sulla carta, grazie alla colpevole connivenza di istituzioni e sindacati, con i vertici del gruppo Riva a tutt’oggi ai domiciliari o agli arresti e con migliaia di lavoratori tenuti sul filo del rasoio da un’azienda che non si fa scrupolo alcuno ad usare l’arma del ricatto occupazionale a proprio piacimento, i sindacati vogliono avviare sin da subito un confronto di merito sul piano degli interventi che l’azienda ha presentato lo scorso 23 gennaio in occasione dell’incontro col ministro per l’Ambiente, l’Autorità Garante per l’AIA e il Commissario per le bonifiche a Taranto. Non solo: perché Fim, Fiom e Uilm ancora non conoscono, e per questo intendono approfondire il discorso, tutto quel che riguarda le prescrizioni AIA per ogni impianto, la loro tipologia e tempistica e capire, soprattutto, quanti lavoratori saranno coinvolti in tutta la fase degli interventi che l’azienda dovrebbe realizzare entro il dicembre del 2015.
Il confronto chiesto da Fim, Fiom, Uilm è fondamentale per la sopravvivenza in fabbrica delle stesse sigle sindacali, visto che appena una settimana l’Ilva, attraverso il ministro dell’Ambiente Corrado Clini, ha minacciato l’ennesimo massiccio ricorso alla cassa integrazione (7-8mila lavoratori negli stabilimenti di Taranto, Genova e Novi Ligure) a fronte del mancato dissequestro del materiale prodotto sino al 26 novembre scorso e da quel giorno fermo nei magazzini e sulle banchine del porto in concessione all’Ilva sotto i sigilli della Procura. I sindacati sarebbero infatti disposti a trattare sulla cassa integrazione, anche se su cifre decisamente più basse, soltanto se l’utilizzo degli ammortizzatori sociali venisse legato all’attuazione dell’AIA “quale precondizione per rilanciare lo stabilimento siderurgico di Taranto”. Intanto, salutiamo con piacere il fatto che Fim, Fiom e Uilm in una nota congiunta abbiano “finalmente” messo un paletto inderogabile all’azienda: “il pagamento degli stipendi, a fronte della prestazione lavorativa già effettuata, è un atto dovuto che non può essere subordinato a nulla”. Era ora.
Area a freddo: eppur si muove
L’azienda ha comunque confermato la ripartenza di due piccoli impianti: si tratta dell’ex Sidercomit e di un altro impianto sulla via per Statte. Il primo compie lavorazioni collaterali per il PLA, produzione lamiere, il secondo realizza le fasce in polietilene per i tubi fabbricati dal tubificio ERW la cui ripartenza è stata annunciata lunedì 4 febbraio. Certo, si tratta di impianti che occupano poche unità lavorative, una trentina, anche se si poi bisognerà vedere quanti turni di lavoro settimanali dovranno essere effettuati: si parla di non più di 15. Un modo come un altro che sta a significare una cosa soltanto: che la chiusura di tutti gli impianti dell’area a freddo da parte dell’Ilva, al di là della crisi di mercato, è stata ed è tutt’ora un’arma usata per tenere in pugno governo, istituzioni locali e sindacati, provando così a condizionare gli eventi. Del resto, con l’area a caldo che non ha mai fermato la sua attività produttiva nonostante il sequestro della magistratura, appare davvero un paradosso che l’area a freddo, che lavora il prodotto sfornato dagli impianti dell’area a caldo, resti paralizzata. Visto che, tra l’altro, a Genova e Novi Ligure stanno lavorando proprio grazie a coils e lamiere che arrivano da Taranto.
Cassa integrazione legata all’AIA
A detta dell’Ilva, in questi giorni si fermeranno le batterie 3 e 4 che alimentano l’altoforno 2 (che alcune fonti dall’interno dell’Ilva assicurano non ripartirà più). Questa fermata comporterà 38 esuberi di cui 24 addetti alle macchine e 14 ai coperchi: questo personale smaltirà ferie arretrate. Chi tra questi non dovesse avere ferie, ruoterà con i colleghi di altri reparti. Al momento, per i lavoratori che diventano esuberi temporanei con la contemporanea fermata degli impianti, non è prevista alcuna cassa integrazione. Il che preoccupa non poco i sindacati: perché se da un lato gli stessi premono sull’azienda affinché effettui per tempo tutti gli interventi prescritti nell’AIA, dall’altro vogliono assolute garanzie su come si andrà a gestire il personale che diverrà inattivo. Ecco perché il piano dell’azienda dovrà essere agganciato alla cassa integrazione per ristrutturazione industriale. Pur non dichiarandolo, dunque, il dubbio che affligge tutti è che a fronte dell’operato della Procura e in previsione di un’eventuale bocciatura della legge 231 per anticostituzionalità da parte della Corte Costituzionale, l’Ilva decida di fermare gli impianti senza però procedere ad alcuna attività di risanamento. Dichiarando, di fatto, il disimpegno nella gestione dello stabilimento tarantino. Evento che sosteniamo su queste colonne da quest’estate.
Slitta il vertice di Palazzo Chigi
E’ invece slittato il confronto di Palazzo Chigi tra azienda e i ministri dell’Ambiente e dello Sviluppo economico al fine di trovare una via d’uscita alla crisi, previsto per ieri pomeriggio. La riunione è stata aggiornata alle prossime ore, in considerazione del fatto che l’azienda non ha ottenuto il dissequestro vincolato delle merci così come disposto proprio ieri dal gip Patrizia Todisco. Serve altro tempo, dunque, per trovare una via d’uscita che in realtà tutti sanno non esistere.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 31.01.2013)