Porto di Taranto, calano merci e rinfuse
TARANTO – Il 2012 è stato un anno nero per il traffico movimentato dal porto di Taranto. Rispetto al 2011 è infatti diminuito del 14,4% scendendo a 34,9 milioni di tonnellate merci rispetto ai 40,8 milioni registrati durante lo scorso anno. In negativo anche i carichi allo sbarco e all’imbarco, calati rispettivamente del 17,7% a 21,2 milioni di tonnellate e dell’8,6% a 13,7 milioni di tonnellate. Il comparto delle merci varie ha registrato una contrazione del 26,1% dei volumi, scesi a 9,2 milioni di tonnellate, con una drastica riduzione delle merci containerizzate, che hanno totalizzato 1,8 milioni di tonnellate (-58,4%) con una movimentazione complessiva di 263.461 container TEU (-56,4%), e con una flessione dell’8,4% delle altre merci varie, che sono ammontate a 7,3 milioni di tonnellate.
In diminuzione anche i volumi di rinfuse: i carichi liquidi si sono attestati a 5,2 milioni di tonnellate (-23,4%) e quelli solidi a 20,5 milioni di tonnellate (-4,7%). Tutto questo nonostante il porto di Taranto, insieme a quello di Gioia Tauro, abbia azzerato l’importo delle tasse di ancoraggio e d’imbarco, soprattutto per scongiurare la fuga dei traffici verso i porti del nord Africa ed europei a tutt’oggi più competitivi. Facoltà che però è prevista in via transitoria e che la legge di Stabilità ha prorogato solo fino al 30 giugno: da quest’anno infatti, l’aumento delle tasse sarà del 30% e di un ulteriore 15% nel 2014. E’ indubbio che sulla flessione del traffico dello scalo ionico abbia influito la crisi del mercato mondiale. Ma questi dati sono anche il frutto di quanto accadde nel settembre 2011, quando Evergreen di Taiwan (che divide a metà con Hutchison Whampoa di Hong Kong, il gruppo cinese concessionario con la società TCT, la concessione del porto di Taranto dal 2001), trasferì due delle quattro linee con il Far East dallo scalo ionico al Pireo, dimezzando di fatto il traffico dei container. Ma su questo argomento torneremo, ancora una volta, quanto prima.
VIA per dragaggi e cassa di colmata
Per uno strano scherzo del destino, tutto questo è avvenuto proprio nell’anno in cui è stato firmato (il 20 giugno 2012 a Roma) il famoso “Accordo per lo sviluppo dei traffici containerizzati nel porto di Taranto e il superamento dello stato d’emergenza socio-economico-ambientale”. Un accordo importante per un totale di 400 milioni di euro, di cui 219 deliberati dal CIPE e 100 stanziati dai privati (Evergreen e Hutchison impiegheranno 70 milioni di euro in nuove attrezzature e 15 per rimettere a posto i mezzi esistenti). I tempi del crono programma tra bandi, apertura dei cantieri e fine lavori, prevedono la realizzazione di tutti i lavori entro i prossimi 24 mesi: una visione abbastanza utopistica. Intanto, dopo che lo scorso 17 dicembre è stato inviato alla Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana e alla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del bando di gara per le opere “di riqualificazione del Molo polisettoriale di Taranto ammodernamento della banchina d’ormeggio”, il 18 gennaio è stata presentata al ministero dell’Ambiente istanza per l’avvio della procedura di Valutazione d’Impatto Ambientale per “interventi per il dragaggio di sedimenti in area molo Polisettoriale e per la realizzazione di un primo lotto della Cassa di Colmata funzionale all’ampliamento del V sporgente del porto di Taranto”: il soggetto attuatore dell’intervento sarà la Sogesid SpA, così come indicato nell’accordo del 20 giugno. Subito dopo sarà il turno della nuova diga foranea di protezione del porto, dell’allargamento strutturale della banchina di Levante e dei lavori della piattaforma logistica.
I dragaggi servono per accogliere le grandi navi da 14 mila TEU la misura standard di volume nel trasporto container: l’obiettivo è portare nello scalo un maggior numero di navi, “rubandole” ai porti concorrenti del Mediterraneo, soprattutto del Nord Africa, del Pireo e dei porti spagnoli. L’operazione è stata inserita nella delibera CIPE dello scorso agosto ed è stata approvata dalla Corte dei conti lo scorso novembre: finanziamento di 17 milioni di euro, con finalità la “realizzazione degli interventi di dragaggi e bonifica dei sedimenti nel molo polisettoriale di Taranto”. I soldi arriveranno all’Autorità portale di Taranto attraverso la Regione Puglia e si andranno a sommare ai 21 milioni per gli “interventi di rimozione dei sedimenti contaminati nel primo Seno del Mar Piccolo, in corrispondenza dell’area di mitilicoltura”. I lavori, non saranno semplici. Visto che anche nella richiesta inviata al ministero lo scorso 18 gennaio, si afferma che dei 2,3 milioni di metri cubi di sedimenti da dragare, parte sono “contaminati”. Da chi, è facile intuirlo.
L’intera area portuale infatti, rientra nel SIN (sito di interesse nazionale) di Taranto e Statte. Non è un caso se a seguito di ciò, il 5 novembre 2009, fu sottoscritto un protocollo di intesa tra Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Ministero dello Sviluppo Economico, Regione Puglia, Provincia di Taranto, Comune di Taranto, Autorità Portuale di Taranto e Sogesid S.p.A., che evidenziava la necessità di attivare sul SIN di Taranto interventi urgenti di messa in sicurezza e bonifica della falda. In particolare furono individuate prioritarie le seguenti urgenti attività: la messa in sicurezza e bonifica della falda acquifera nonché dei suoli demaniali, il dragaggio ai fini della bonifica, l’infrastrutturazione portuale. La Sogesid presentò i progetti preliminari per le attività di dragaggio e per la realizzazione della cassa di colmata il 20 dicembre del 2010: progetti che furono approvati dalla Conferenza dei Servizi decisoria del 24 febbraio 2011. Tutto lascia credere, dunque, che il progetto sia lo stesso di allora.
Bonifica con soldi pubblici
La contaminazione dei sedimenti è avvenuta a causa della presenza degli scarichi industriali di Ilva ed Eni, che uno studio congiunto di CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) e ICRAM (l’Istituto per l’Ambiente Marino Costiero di Taranto) del 2008 (pubblicato su queste colonne nel settembre 2011 dal titolo “Inquinanti prioritari nel Mar Piccolo e nel golfo di Taranto: analisi di rischio”, ma come al solito ignorato durante gli “anni belli” in cui tutti erano dalla parte dell’Ilva) inquadrò come la fonte primaria dell’inquinamento dei fondali del porto di Taranto. Nello studio si affermava come la portata oraria dei due scarichi Ilva fosse di 3.480.000 metri cubi al giorno (1450.000 ogni ora), mentre quella dell’Eni di 240.000 metri cubi al giorno (10.000 ogni ora). Partendo da questi dati, fu calcolato che nel Porto di Taranto in totale vengono mediamente scaricati ogni ora 13,2 kg di idrocarburi alifatici, di cui il 7% proveniente dallo scarico Eni ed il 93% dagli scarichi Ilva.
Per quanto riguarda gli IPA, invece, è stato calcolato che i reflui Ilva scaricano 3,46 kg/ ora di IPA, per un totale di 83 kg al giorno che fanno 30.309 kg all’anno. Oggi, dopo anni, si procederà al dragaggio dei fondali inquinati da Ilva ed Eni utilizzando soldi pubblici, ovvero dei cittadini. Del resto, nel progetto preliminare della Sogesid del 2010 sulla vasca di colmata, si legge testualmente: “il marginamento lato terra, per poter confinare la cassa di colmata, prosegue lungo il lato lungo del V° sporgente per circa 1000 metri e si chiude sulla testata del medesimo sporgente per ulteriori 250 metri. La lunghezza totale del marginamento lato terra è pari a circa 1500 metri, contro i complessivi 3000 metri circa di quello a mare.
Trincea drenante a tergo del marginamento lato terra (ILVA) che avrà lo scopo di intercettare la falda proveniente dell’area laminati ILVA per un fronte di circa 250 metri, in analogia con quanto previsto nel progetto esecutivo della bonifica e messa in sicurezza della falda dell’area ex Yard Belleli”. Questo è l’ennesimo regalo delle nostre classi politiche succedutesi negli anni. Che ancora oggi sono proni verso un unico fine: quello di salvare chi, anche e soprattutto grazie alla loro complicità, ha contribuito a distruggere il nostro eco sistema negli ultimi 60 anni. “La borghesia illuminata considera il povero una miniera inesauribile di ricchezza e la sfrutta in modo che si dica poi che è un modo intelligente” (Aldo Busi).
Gianmario Leone (TarantoOggi, 30.01.2013)