Ilva, duro attacco di Buffa contro “legge ad aziendam” – I dettagli della relazione
TARANTO – Sulla copertina della sua relazione non compare, come negli anni passati, uno dei tanti bei monumenti che impreziosiscono il Salento. Stavolta, per l’inaugurazione dell’anno giudiziario, il presidente della Corte di Appello di Lecce Mario Buffa ha scelto un’immagine legata alla più stretta attualità. «La nube che si vede sullo sfondo non è il tornado che si è abbattuto sulla città e che ha fatto dire a mons. Santoro, arcivescovo di Taranto, che tutto sembrava cospirare per toglierci ogni speranza – ha detto Buffa – sono i fumi che da anni, da decenni, nei primi tempi nella indifferenza generale, l’Ilva scarica sulla città, mettendo ogni giorno a rischio la salute dei tarantini».
«Quattro anni fa, nella medesima occasione – ha ricordato Buffa – dando voce alle preoccupazioni dei colleghi di Taranto (l’allora avvocato generale Bruschi e il procuratore della Repubblica Sebastio) che tentavano di reagire allibiti a questa mostruosa aggressione all’ambiente con tutto quel che ne derivava per la salute dei tarantini, lasciati in totale solitudine dalle altre istituzioni pubbliche che sarebbero dovute intervenire, li esortai ad un impegno ancora maggiore per far piena luce sulla proliferazione di malattie tumorali che si diceva dipendessero dall’inquinamento indotto dall’Ilva. Li esortai a dimostrare coi fatti di ben meritare il riconoscimento che gli veniva dalle associazioni ambientaliste di Taranto”.
Quel suo intervento provocò una duplice reazione. La prima da parte dei suoi colleghi di Taranto: «A torto – ha detto Buffa – ritennero che io avessi sminuito il loro impegno, il che mi affrettai a smentire perché in realtà mi ero limitato a spronarli a proseguire per la via che avevano già imboccato e che ora ha dato i suoi frutti». L’altra reazione, invece, giunse dall’Ilva: «Il presidente della società, ingegner Riva, mi scrisse una lettera, accompagnata da una elegante brochure, per dirmi anche lui che avevo sottovalutato l’impegno profuso dalla società per garantire nella fabbrica condizioni di maggiore sicurezza e per eliminare progressivamente l’inquinamento ambientale che in sostanza finiva col riconoscere come già verificatosi. Mi invitò anche a visitare lo stabilimento per rendermene conto ma io non fui tanto incauto da accettare l’invito… il giorno dopo forse i giornali avrebbero titolato (ed era quello che probabilmente l’Ilva voleva) che il presidente della corte di appello aveva visitato lo stabilimento per rendersi conto personalmente che l’opera di risanamento procedeva regolarmente».
Buffa si è limitato a ringraziare il patron dell’Ilva, quindi, senza accogliere l’invito. Negli anni successivi, però, ha continuato a ricevere le pubblicazioni dell’Ilva “che magnificavano lo sforzo compiuto dalla società per riparare il danno già fatto, prima ancora che dall’Ilva dall’Italsider industria di Stato, ed allora in forma effettivamente anche più violenta”. «Tutti erano convinti quindi, salvo pochi – ha aggiunto il presidente della Corte d’Appello salentina – che l’opera di risanamento procedesse ma poi si è visto cosa avveniva… Di giorno l’Ilva rispettava i limiti stabiliti per le emissioni inquinanti, di notte al riparo da occhi indiscreti, recuperava alacremente e riversava nell’atmosfera fumi inquinanti ben oltre i limiti che si era impegnata a rispettare».
Chiaro il riferimento a quanto si legge nell’ordinanza che ha disposto il sequestro dello stabilimento e a quanto accertato (tramite foto e filmati) dai carabinieri del Noe. Buffa ha poi evidenziato quanto scritto dall’avvocato generale di Taranto Saltalamacchia: “le contestazioni formulate contro gli attuali imputati devono considerarsi, nell’attuale fase processuale, inoppugnabili”. Ed ha spiegato: «Esse sono fondate su due perizie acquisite in sede di incidente probatorio nell’ambito del quale nulla è stato concretamente obiettato dalla difesa dell’Ilva sul piano tecnico–scientifico». Ed ha aggiunto: «E’ dato quindi da ritenere provata, almeno allo stato, una situazione di pericolo gravissimo ed incombente, che riguarda vita e salute dei singoli ed il medesimo ambiente».
Buffa ha dato pubblicamente atto al gip Patrizia Todisco e ai magistrati tarantini “della serietà con la quale hanno svolto il loro lavoro, senza protagonismi ed anzi col massimo riserbo, senza fughe in avanti ma con la necessaria fermezza”. E in merito alle dichiarazioni giunte dal fronte governativo, il presidente della Corte d’appello ha dichiarato: «E’ vero. Può avere anche ragione il ministro Passera a definire irreparabile, con un aggettivo così radicale, il danno che deriverebbe non solo a Taranto, ma forse all’intera economia nazionale, dal blocco definitivo dell’attività dello stabilimento. Ma un danno irreparabile purtroppo si è già verificato e sono i morti, i malati di tumore e di leucemia che hanno funestato finora un’intera città”.
Poi, il passaggio dedicato al conflitto creatosi fra poteri dello Stato: «Ancora una volta la magistratura si è trovata da sola a dover far fronte ad un problema di proporzioni enormi, che qualcun altro con la sua indifferenza e negligenza ha lasciato ingigantire. Io voglio solo augurarmi che la comunità di Taranto sappia trovare la sua unità, intorno a questo problema; che si renda conto quanto sia assurdo contrapporre il diritto al lavoro al diritto alla salute, di quanto cinismo ci sia nello slogan che è stato gridato nelle piazze secondo cui di tumore si potrà morire in futuro ma con la perdita del lavoro si può morire subito».
Secondo Buffa “la politica fin qui praticata del ricatto occupazionale deve essere contrastata con forza e solo l’unità di tutti i cittadini di Taranto, senza contrapposizioni, fomentate da chi ha interesse a che tutto rimanga come prima, può raggiungere questo risultato… ci vuole unità, perché l’avversario è forte anche se non invincibile. E’ forte perché è riuscito a farsi fare in brevissimo tempo una legge che ha bloccato per ora, fino a quando la Corte Costituzionale non si sarà pronunciata sulla sua legittimità, l’azione dei giudici”.
Per Buffa, quindi, la legge “salva Ilva’ è niente più che “una legge ad aziendam, che si colloca nella scia delle leggi ad personam inaugurata negli ultimi venti anni in Italia; una legge che riconsegna lo stabilimento a coloro che fingevano di rispettare le regole di giorno e continuavano ad inquinare di notte; a coloro che ogni giorno alzano il livello dello scontro, assumendo, come dice Saltalamacchia, un vero e proprio atteggiamento di sfida, e nonostante tutto, pur dicendosi garanti del loro posto di lavoro, continuano in realtà a tenere inattivi i lavoratori dello stabilimento e a minacciare cassa integrazione e licenziamenti”.
Secondo Buffa siamo in presenza di una legge che “permette esattamente ciò che il sequestro voleva impedire, neutralizzando tra l’altro l’intervento del magistrato perfino nel caso in cui l’azienda non dovesse uniformarsi alle prescrizioni dell’autorizzazione di impatto ambientale poiché in tal caso è prevista solo una sanzione amministrativa che spetta al prefetto irrogare”.
«Ai cittadini di Taranto che hanno iniziato questo nuovo anno in una situazione di oggettiva difficoltà, l’augurio che le istituzioni dello Stato sappiano essere al loro fianco per garantirgli un futuro di serenità – ha proseguito Buffa – sappiano che la magistratura sarà al loro fianco e farà fino in fondo il suo dovere di presidio della legalità, che non si arresterà di fronte ad un decreto che sembra privilegiare solo le ragioni dell’impresa, autorizzata a continuare a produrre, senza una immediata rimozione delle fonti di inquinamento, in una situazione di attuale e concreto pericolo, che non può essere eliminata per decreto».
Nella relazione di Buffa viene riportato quanto detto dal perito Annibale Biggeri, un’autorità nel campo dell’oncologia: “Abbiamo notato che il picco di ricoveri e l’eccesso di mortalità per patologie riconducibili alle emissioni di polveri industriali si acuisce nel rione Tamburi e nel Borgo ovviamente i più vicini agli impianti con un caso di tumore ogni tre mesi. Stesso discorso per il quartiere Paolo VI dove risiedono molti operai dello stabilimento siderurgico”. Per Buffa, “l’idea che qualcuno possa avere affermato, come sembrerebbe, che queste morti non contano nulla di fronte alle esigenze della produzione, è un’idea che atterrisce”.
Alessandra Congedo per InchiostroVerde