“All’Autorità giudiziaria – scrive il procuratore – non è consentita l’adozione di misure di compromesso, magari anche comprensibili da diversi altri punti di vista, ma che non trovino il loro fondamento in specifiche disposizioni normative processuali e penali”. “Ovviamente – ricorda Sebastio – allo stato, l’azienda può continuare la sua attività”: questo grazie al decreto legge 207 del 3 dicembre, che ha restituito all’Ilva gli impianti dell’area a caldo a fini produttivi. Sui quali vige sempre il sequestro virtuale della magistratura, visto che l’azienda non ha mai presentato ricorso in tal senso alla Cassazione.
Ma questo non cambia lo stato delle cose: “l’Autorità giudiziaria può assumere le sue determinazioni solo ed esclusivamente nell’ambito delle vigenti disposizioni processual-penalistiche, mentre le è vietata una qualunque decisione che dovesse basarsi invece su mere considerazioni di opportunità, anche di tipo sociale-economico, specialmente nel caso in cui tale determinazione potrebbe determinare una possibile sopravvenuta decadenza (inammissibilità) della questione di legittimità costituzionale per essere venuta meno la rilevanza della questione stessa”.
Nella corso della nota però, Sebastio tiene a precisare che la Procura, ben conscia della gravità della situazione, non procede con i paraocchi: “E’ possibile rivalutare, in tutto o in parte, eventuali questioni poi insorte, però sempre nei limiti delle disposizioni normative processuali e penali. Sotto tale punto di vista – prosegue la nota – non ci si sta sottraendo a tale valutazione, così come evidenziato anche al signor ministro dell’Ambiente nel corso dell’incontro, sereno e a tratti anche cordiale, con lui avuto”. Resta dunque chiara la volontà da parte della Procura di attendere i vari pronunciamenti della Corte Costituzionale che dovrà innanzitutto valutare se i conflitti sollevati siano ammissibili e nell’eventualità giudicare.
Non si è fatta attendere la replica dell’azienda, che in una nota ufficiale sottolinea che “il provvedimento di sequestro dei materiali prodotti, finiti e semilavorati, da parte della magistratura, ha natura meramente facoltativa così come l’eventuale confisca anche in caso di sussistenza dei reati contestati”. Per Ilva “l’esercizio del potere discrezionale da parte dei Giudici di Taranto avrebbe consentito e consente quindi la valutazione di ogni elemento di opportunità dell’emissione del provvedimento. Andrebbe in primo luogo valutata ogni conseguenza sociale che ne deriva.
Sulle questioni di legittimità costituzionale proposte si ritiene la manifesta infondatezza posto che la tutela della salute é costituzionalmente demandata agli organi di Governo, che con la decretazione d’urgenza ne ha tenuto conto, e non alla magistratura”. Nella nota Ilva, c’è un errore di non poco conto: in merito al sequestro dell’area a caldo, ai afferma che “il provvedimento è stato riformato dal Tribunale di Taranto che ha disposto l’utilizzo degli impianti confermando la nomina di due custodi”. I custodi erano quattro e non due. Tra questi, inoltre, dal 7 agosto al 25 ottobre, vi era anche il presidente Ilva, Bruno Ferrante. E l’utilizzo degli impianti aveva come unico fine quello del loro risanamento e non certo quello della continuità produttiva.
Intanto sempre nella giornata di ieri, il sindaco di Taranto, Ippazio Stefàno, su indicazione del Servizio veterinario della Asl/TA1, ha emesso un’ordinanza sul rischio derivante dal consumo di alimenti di origine animale non provenienti da filiere controllate per la possibile contaminazione con inquinanti emessi dall’impianto siderurgico e dagli altri insediamenti della zona industriale.
Gianmario Leone (Il Manifesto)
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