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Ilva, l’ipotesi: una cauzione per i prodotti

TARANTO – Una città bloccata, una situazione bloccata. Mentre Taranto veniva blindata a tempo di record, a Palazzo di governo si cercavano soluzioni e spiragli. Difficili, complicatissimi. E ad emergere sono possibilità ventilate che riguardano i materiali sequestrati, vero e proprio impasse: procura di Taranto e governo starebbero vagliando l’ipotesi di trasferire su somme di danaro o su un deposito cauzionale il blocco dei prodotti finiti e semilavorati dell’Ilva.

Una soluzione “mista” per finanziare ambientalizzazione e rimpolpare in parte il motore di un’azienda in gravi difficoltà. È proprio qui il problema e il ministro dell’Ambiente Corrado Clini fa capire quanto sia importante tastare il polso dello stabilimento siderurgico. Perché non si può più tergiversare ed è concreto il rischio di una richiesta di cassa integrazione di massa che coinvolgerebbe circa sette/otto mila unità.

Dopo gli incontri con i magistrati, prima e le parti sociali, poi, il ministro Clini traccia il quadro di una vicenda in continuo divenire. E almeno sul capitolo bonifiche, i segnali sono positivi: «Abbiamo reperito in aggiunta al protocollo d’intesa ulteriori risorse: 24 milioni di euro sul piano città, 70 milioni sul fondo rotativo per lo sviluppo dell’occupazione giovanile nella green economy e 20 dal ministero dell’Ambiente. Rispetto al gap iniziale di 113 milioni siamo riusciti ad arrivare a un equilibrio. Stiamo lavorando per ulteriori 30 milioni da destinare alla bonifica della falda acquifera e il commissario Pini sta mettendo a punto una struttura operativa che sarà di base a Taranto».

Sull’Ilva, invece, restano nebulosi gli scenari: «Non c’è risanamento ambientale senza continuità produttiva – prosegue Clini – con il procuratore della Repubblica, Franco Sebastio e il procuratore generale presso la Corte d’Appello di Lecce, Giuseppe Vignola abbiamo convenuto di fare il massimo sforzo per un obiettivo comune nonostante la diversità di ruoli e la differenza di vedute sulla legge in questione. La magistratura deve essere parte della soluzione e ci siamo impegnati per uno scambio di idee. A fronte della possibilità di richieste importanti di cassa integrazione da parte dell’azienda abbiamo avviato un’iniziativa presso il governo per un’ulteriore verifica. Vogliamo capire quali spazi e margini ha l’Ilva per riprendere la produzione».

Rinviato, dunque, l’incontro odierno tra sindacati e azienda. Prima il governo vuole capire realmente le effettive possibilità attuali dello stabilimento siderurgico. E, contestualmente, bisognerà capire la fattibilità dello spostamento del blocco dei prodotti su somme di denaro o su un deposito cauzionale. «Di dissequestro non se ne parla – aveva anticipato il procuratore generale Giuseppe Vignola – noi abbiamo il dovere di applicare la legge e mi pare che la stiamo applicando».

Una sorta di “equilibrio perfetto tra angoscia e fiducia” sintetizzava il governatore Nichi Vendola, anche lui al tavolo della vertenza: «Siamo vicino al momento della verità e nessuno di noi si sente rassegnato che, ai problemi rilevanti per l’ambiente, si debba aggiungere la deriva del più importante stabilimento siderurgico che equivarrebbe a una crisi sociale enorme. Cercare di depotenziare i conflitti tra poteri dello Stato significa partire col piede giusto. Le condizioni sono inedite perché nella storia industriale del Paese non ci sono precedenti per la dimensione del problema. Stiamo facendo tutti i tentativi per sciogliere questo nodo intrigato».

Nodo da sciogliere immediatamente. Perché questo “non è un film western dove ci si sfida a dare pugni bassi”, ricordava Clini ma è pur vero che Taranto quei cazzotti nello stomaco li conosce fin troppo bene.

Alessio Pignatelli

 

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