Porto e Ilva, dai sindacati parole in libertà
TARANTO – Sono tornati per il secondo anno consecutivo all’Autorità Portuale di Taranto per radiografare la drammatica situazione del mondo del lavoro dell’area ionica (i cui dati riportiamo a parte in questa pagina). Ma al di là del meritorio lavoro di raccolta dati, anche ieri i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, hanno dato ampia dimostrazione del perché i sindacati siano destinati all’estinzione. Trovandoci nella sede dell’Autorità Portuale, e visto e considerato che il porto viene ritenuto a ragion veduta la prima vera alternativa economica alla grande industria per il futuro economico di Taranto, abbiamo pensato bene di interrogare i nostri prodi in merito ad una delle questioni più spinose riguardanti lo scalo ionico: il distripark.
Dopo aver sostenuto la divertente tesi secondo cui “anche grazie al nostro operato in pochi mesi si è passati dalla progettazione all’operatività” (in riferimento all’accordo del 20 giugno scorso a Roma per il rilancio del porto di Taranto e ai primi bandi emanati dall’Autorità Portuale dell’inizio dei lavori della banchina del molo polisettoriale) come se non fossero almeno 10-15 anni che si attendono quei lavori, la nostra domanda è chiara e semplice: “cosa pensate del de finanziamento del distripark da parte della Regione Puglia?”. La riposta è agghiacciante: “è stato giusto operare in quella direzione, privilegiando altri progetti, come ad esempio il molo polisettoriale”. Il ragionamento dei sindacati è il seguente: non ha senso spendere soldi pubblici per progetti che rischiano di restare dei contenitori vuoti se non ci sono privati disposti ad investire.
Ma qualcuno dovrebbe spiegarci il perché si pretende che un privato venga ad investire su un progetto quando gli enti pubblici sono i primi a non sapere che pesci prendere in materia. Perché un privato, viene ad investire un certo capitale se c’è una base su cui ragionare. Niente da fare. Proviamo anche a spiegare che un conto è un porto che fa logistica con un distripark alle sue spalle, ben altro è uno scalo che può sì aprire i contenitori scaricati, ma non può lavorare le merci: perché è questo quello che accadrà. Apriremo i container e poi invieremo le merci su gomma o rotaia all’interporto di Bari: una strategia davvero perfetta, non c’è che dire. Visto il buco nell’acqua sulla questione distripark, restando in tema di privati, viriamo, inevitabilmente, sulla questione Ilva. Commettendo un clamoroso errore. Perché ancora una volta le vicende del siderurgico si rivelano essere il vero tallone d’Achille dei nostri sindacati.
Anche qui, la domanda è semplice semplice: “nel caso in cui il gruppo Riva dovesse disimpegnarsi, avete pensato ad un eventuale piano B?”. Anche qui la risposta è tutto un programma. Il segretario generale della Cisl, Daniela Fumarola, afferma candidamente che “un piano B non c’è”. Il segretario della Cgil, Luigi D’Isabella, invece dichiara: “Non ci può essere un piano B: a quella fabbrica Taranto non può rinunciare, altrimenti sarebbe una catastrofe sociale”. Il segretario della Uil, Giancarlo Turi, è l’unico a dare una risposta più sensata: “Il piano B è già presente nella legge 231, quando afferma che di fronte ad un disimpegno dell’azienda vi è la possibilità di confiscare la proprietà del siderurgico al gruppo Riva”. Ciò detto, un piano B, semplicemente non c’è (anzi, sono loro a chiederlo a chi sostiene la chiusura della grande industria).
Ma siccome sembra, nel sentirli, che quasi sia la situazione odierna non li tocchi nelle loro responsabilità, proviamo ad aggirare il muro innalzato dai tre segretari generali: “perché in tutti questi anni non avete vigilato sul rispetto degli impegni stipulati nei tanti atti d’intesa tra azienda e istituzioni che avrebbero potuto quanto meno comportare un disastro minore rispetto a quello attuale?”. Ma è un buco nell’acqua: “non era di nostra competenza accertare il rispetto degli impegni”. Ma come? Ma se in ogni atto d’intesa vi è in calce la firma di tutti e tre i sindacati confederali, come si fa a dire che il controllo su quanto sottoscritto esulava dalle loro competenze?
Ma accecati come sono dall’esigenza di difendersi, non si accorgono che con queste risposte non fanno altro che confermare la tesi che sosteniamo da sempre: ovvero che i sindacati sono sempre stati dalla parte dell’azienda, e mai dalla parte dei lavoratori. E dire oggi che “non è giusto che i lavoratori perdano il lavoro per colpe non loro”, è francamente inaccettabile. Ma la sagra dei bei pensieri, non finisce qui. Ad un certo punto ci permettiamo di contestare la frase, “all’azienda deve essere data la possibilità di ambientalizzarsi”, ribattendo che nessuno ha mai impedito al gruppo Riva di investire i suoi lauti guadagni in tal senso. Apriti cielo: il segretario della Cisl se la prende con i custodi giudiziari (!), colpevoli di non si sa bene quale reato. Ma evidentemente qualcosa di grosso devono averla combinata se dai banchi accanto ai tre segretari si arriva addirittura a sostenere che “avrebbero dovuto arrestare i custodi”.
Vista la gaffe, il segretario della Cisl, afferma un “sincero” “non abbiamo mai criticato l’operato della magistratura”. Lei forse no, segretario, ma la Fim Cisl sì. “Ma io parlo a nome della Cisl!”: e perché la Fim Cisl non appartiene allo stesso sindacato? E chissà cosa direbbe il segretario se sapesse che negli stessi istanti, il segretario nazionale della Fim Cisl Marco Bentivogli, diffonde una nota in cui afferma che “è grave e inutile per l’ambiente non dissequestrare i prodotti finiti. E’ inaccettabile che chi deve far applicare le leggi decida quali applicare”. Inoltre, Cisl e Cgil dimenticano, ad esempio, di aver ricorso al TAR di Lecce a braccetto con Ilva e Confindustria contro il referendum consultivo che, nonostante i loro tentativi antidemocratici, si svolgerà il prossimo 14 aprile.
La chiusura è del segretario generale della Cgil, che dopo aver fatto ribaltare nella tomba il buon Giuseppe Di Vittorio affermando come “noi nei nostri ragionamenti non siamo né provinciali né paesani” (alla faccia delle origini di sinistra), ci ricorda che l’AIA rilasciata all’Ilva il 4 agosto del 2011, che all’epoca venne salutata con giubilo dagli stessi sindacati, “abbiamo scoperto non essere adatta al siderurgico grazie alla magistratura”. Ce la prendiamo tanto con le istituzioni locali che mal ci tutelano e rappresentano (il che è assolutamente vero). Ma con questi sindacati è assolutamente certo che il futuro che attende questa terra e i suoi lavoratori è molto vicino ai colori dei veleni sprigionati dalla grande industria: nero. “Anche se la colpa è al 99% del padrone, se c’è un 1% che ci riguarda, è su questo che io voglio lavorare” (Giuseppe Di Vittorio, Cerignola, 11 agosto 1892 – Lecco, 3 novembre 1957).
G. Leone (TarantoOggi, 23.01.2013)