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Ilva, un’attesa inutile

TARANTO – Non è detto che quest’oggi il Consiglio dei Ministri produrrà il provvedimento “esplicativo” sulla legge 231 del 24 dicembre, come annunciato nel vertice convocato d’urgenza venerdì scorso. Questo perché non tutto è andato secondo le previsioni. Il governo infatti, si aspettava un’apertura da parte della magistratura tarantina, che ovviamente non c’è stata. Non solo: il vertice era stato programmato per oggi perché per ieri si attendeva la deposizione delle decisioni del gip Patrizia Todisco sull’istanza di dissequestro presentata dall’Ilva. Ma anche questa si è dimostrata una previsione sbagliata.

Del resto, l’idea di un nuovo decreto legge da parte del governo, è stata più minacciata che presa realmente in considerazione. Il tutto nella speranza che il gip rivedesse le sue posizioni. Oramai una legge ad hoc per salvare l’Ilva è stata scritta: difficile pensare che si possa fare altro a livello normativo. Peraltro, è poco consigliabile per governo e azienda, incorrere in altri ricorsi alla Consulta da parte della magistratura, perché ciò non farebbe altro che allungare i tempi invece che accorciarli. E così si prova, ancora una volta invano, a giocarsi l’ennesima carta. Prendendo spunto dall’ultima “idea” del governatore della Regione Puglia Nichi Vendola, il governo dirà alla magistratura tarantina che il materiale sequestrato dovrà sì essere venduto, ma soltanto affinché i proventi siano destinati alla retribuzione degli operai e al rispetto degli interventi previsti dalla nuova AIA.

Evidentemente, a Roma pensano che tutta questa vicenda sia soltanto un capriccio della Procura. Perché se è vero che era questo l’intento del governo e dell’azienda sin dall’inizio (che da ieri giudica “ovvia” la destinazione del miliardo in ballo), sarebbe bastato metterlo nero su bianco nel decreto 207, poi tramutato in legge, dello scorso 3 dicembre (guarda caso pochi giorni dopo il nuovo sequestro del 26 novembre). Invece all’epoca, si preferì intervenire a gamba tesa all’interno di un’inchiesta penale, regalando all’azienda un’assurda retroattività alla legge tramite riscrittura dell’articolo 3 del decreto, guarda caso soltanto dopo il no della Procura alla restituzione dei prodotti sequestrati. Ma oramai, come scriviamo da tempo, si è abbondantemente fuori tempo massimo. Perché sia il governo che le istituzioni locali, così come i sindacati e l’azienda, sanno perfettamente che finché la Consulta non si pronuncerà almeno sull’ammissibilità del ricorso della Procura sull’eccezione di incostituzionalità della legge, quel prodotto resterà sequestrato all’interno dell’Ilva.

Non c’è niente che si possa fare: tornare indietro nel tempo non si può. Così come è alquanto pretestuoso e tendenzioso sostenere che anche la Procura deve rispettare la legge: i magistrati tarantini, così come il tribunale dell’Appello, non hanno ricorso alla Consulta perché non vogliono rispettare la legge. Ma hanno chiesto al “giudice dei giudici” di esprimersi in merito alla costituzionalità di quanto previsto dalla norma 231 del 24 dicembre scorso. Hanno semplicemente affidato il responso finale all’unico organo competente in materia, a cui spetta l’ultima parola. Il governo, le istituzioni e i sindacati sanno perfettamente che l’Ilva può retribuire gli stipendi dei lavoratori senza alcun problema. Così come sanno perfettamente che il gruppo Riva possiede tutte le risorse finanziarie per iniziare gli interventi sugli impianti inquinanti previsti all’interno dell’AIA.

Così come sanno perfettamente che l’Ilva non ha mai smesso di produrre anche quando avrebbe dovuto, che è autorizzata a proseguire la sua attività produttiva e a movimentare e commercializzare i prodotti realizzati dal 4 dicembre in poi. Sanno che se l’Ilva non può ottenere nuovi prestiti bancari è soltanto perché è esposta per debiti di 2,9 miliardi di euro da saldare entro l’anno corrente. Che se Fabio Riva è ancora latitante, avrà ottimi motivi per continuare a nascondersi. Conoscono i dati del registro tumori, così come quelli forniti dallo studio Sentieri e dai tanti effettuati sin dagli anni ’80. Sanno che sino ad oggi Riva non ha investito nulla rispetto a quello che avrebbe dovuto per diminuire l’impatto inquinante degli impianti dell’area a caldo.

E sanno soprattutto che se siamo a questo punto, è anche e soprattutto colpa loro. Ma siccome il lupo perde il pelo ma non il vizio, ci si è volutamente infilati in un vicolo cieco perché ancora una volta così come avvenuto negli ultimi 30 anni, si sperava di risolvere il problema sollevato dalla Procura con qualche inutile e vuoto atto d’intesa. Ma questa volta è andata male, molto male. I nodi, non ancora tutti, stanno venendo al pettine uno dopo l’altro. E si è capito da tempo che il gioco è finito. La clessidra del tempo ha oramai quasi esaurito tutti i suoi granelli.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 22.01.2013)

 

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