Ilva, è un “falso” problema

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TARANTO – C’è qualcosa che proprio non quadra in tutta la vicenda Ilva. E a questo punto, ci viene il dubbio che siamo noi a non aver capito quale sia il problema. Dunque, stando ai fatti, attualmente l’azienda Ilva SpA è rientrata in pieno possesso degli impianti dell’area a caldo (nonostante sugli stessi permanga il sequestro virtuale da parte della Procura visto che l’Ilva non ha ricorso in Cassazione nei termini previsti). Ma l’azienda non solo è rientrata in possesso materialmente dell’area a caldo, ha anche riottenuto la facoltà d’uso degli impianti per “tornare” a produrre: anche se, come tutti sanno, di proseguire l’attività produttiva non ha mai cessato. Non solo: perché all’Ilva è stata anche concessa la possibilità di movimentare e commercializzare il materiale prodotto. Il tutto grazie alla oramai famosa legge 231 del 24 dicembre 2012, la così detta ‘salva-Ilva’.

Dunque, se tutto ciò è vero (e lo è senza alcuna possibilità di smentita), qual è il problema? In fondo, all’Ilva lo Stato ha “soltanto” chiesto di ottemperare alle prescrizioni presenti nella nuova AIA entro il 2016, consentendo comunque all’azienda di continuare a produrre e quindi di incamerare quegli utili tanto cari al gruppo Riva. Certo, la spesa è un po’ esosa: si parla di 4 miliardi di euro da spalmare in tre anni. Ma in fondo, per un’azienda che ha incamerato miliardi di euro per anni e anni, non appare un investimento insormontabile. Ci vuole soltanto un po’ di buona volontà. D’altronde la stessa Ilva, così come lo Stato, le istituzioni locali e i sindacati, si è detta da sempre assolutamente certa che si può produrre e risanare gli impianti nello stesso tempo. Anzi, si è sempre posta la produzione come postulato imprescindibile per effettuare gli investimenti richiesti nell’operazione di risanamento e bonifica.

Eppure, nonostante abbia ottenuto tutto ciò che ha sempre “chiesto” a suon di minacce, l’Ilva si dice impossibilitata ad andare avanti. Il tutto perché nella casella degli incassi manca all’incirca un miliardo di euro. L’equivalente del milione e 700mila tonnellate di coils e lamiere che l’azienda ha prodotto dal 26 luglio al 26 novembre, nonostante gli fosse stata negata la facoltà d’uso degli impianti dell’area a caldo con tanto di sequestro preventivo da parte della magistratura. L’Ilva, grazie alla prima legge in Italia che prevede un effetto retroattivo (il governo ha infatti messo nero su bianco che l’azienda può movimentare e commercializzare anche il prodotto realizzato prima dell’approvazione del decreto legge 207 del 3 dicembre scorso), pretende che le venga restituito il “mal tolto”.

La Procura però si è opposta, sostenendo una tesi sinceramente inconfutabile: quel materiale resta sotto sequestro perché è il frutto di attività illecita, in quanto realizzato nonostante un provvedimento giudiziario lo impedisse. In pratica, è niente di più e niente di meno che un banalissimo “corpo del reato”. Prodotto con degli impianti che inquinano, che generano fenomeni di malattia e morte negli operai e nei cittadini. Ma l’Ilva e il gruppo Riva proprio non ci stanno a dover rinunciare a quel miliardo. Ed hanno rilanciato inventandosi l’ennesima boutade della loro storia: senza quei soldi, dicono, non possiamo garantire la sopravvivenza dell’azienda. Addirittura, sostengono la tesi che quel milione e 700mila tonnellate, occupando i magazzini e la banchine del porto in concessione all’Ilva, impediscono il carico delle merci prodotte dal 4 dicembre in poi.

Per questo l’area a freddo, che lavora il prodotto dall’area a caldo, è impossibilitata a lavorare: sintesi, in migliaia devono restare a casa (con tanto di cancelli d’ingresso del reparto blindati). Ora: credere che un’azienda che si estende su un perimetro grande due volte e mezzo Taranto, non abbia spazio dove spostare il materiale sequestrato, è una barzelletta di livello mondiale. Così come sostenere che senza quel miliardo tutto è in discussione, anche lo stipendio di gennaio dei lavoratori. Non solo: senza la certezza di quel miliardo, dicono, si ha difficoltà a realizzare un piano industriale e a programmare gli investimenti per ottemperare alle prescrizioni dell’AIA. Eppure, l’Ilva sa bene che quel miliardo non è ancora perso. E’ congelato, ma potrebbe tornare indietro.

Perché al di là del fatto che anche il gip Todisco si opporrà alla restituzione del prodotto ricorrendo alla Consulta per evidenziare tutti i punti in cui la legge salva-Ilva contrasta con la Costituzione italiana e il Codice Penale, l’ultima parola sarà sempre del “giudice dei Giudici”. Ma è proprio quel dubbio sul futuro a macerare il gruppo Riva. Perché se è vero che la Consulta potrebbe non ravvisare criteri di incostituzionalità della legge, è altrettanto vero che potrebbe accadere il contrario. Il che vorrebbe dire tornare al punto di partenza, rischiando di perdere anche la futura produzione, visto che la Consulta difficilmente si esprimerà in via definitiva prima di qualche mese. Ed allora, sorvolando sui debiti dell’azienda, sul piano industriale che non c’è e non ci sarà, sul fatto che sino ad ora nulla è stato fatto per ottemperare alle prescrizioni previste nell’AIA, ci si nasconde dietro un “semplice” miliardo. Una presa in giro colossale, a cui ancora in tanti, purtroppo credono. “Quando si dice la verità, prima o poi si è sicuri di essere scoperti” (Oscar Wilde, Dublino, 16 ottobre 1854 – Parigi, 30 novembre 1900).

Gianmario Leone (TarantoOggi, 18.01.2013)

 

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