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Porto, gli altri scali corrono e Taranto arranca

TARANTO – Negli ultimi tempi il porto di Taranto è finito nelle mire di tanti politici, finti economisti e intellettuali nostrani, che per sviare le attenzioni sulle loro connivenze e complicità nella vicenda Ilva, ora recitano la parte di chi tiene ad uno sviluppo economico del territorio lontano dalla grande industria. Peccato, però, che come al solito si riempiono la bocca di tante belle parole e concetti roboanti, senza conoscere la materia di cui parlano. Tornando ai fatti, è bene ricordare, come riportammo alla fine del mese di dicembre, che nei primi undici mesi del 2012 lo scalo ionico ha movimentato un traffico di 32,9 milioni di tonnellate di merci, con una flessione del 13,5% sul corrispondente periodo dell’anno precedente. Gli sbarchi sono ammontati a 19,9 milioni di tonnellate (-17,6%) e gli imbarchi a 12,7 milioni di tonnellate (-7,4%).

Nel solo comparto delle merci varie il traffico è stato complessivamente di 8,8 milioni di tonnellate (-23,3%), di cui 1,8 milioni di tonnellate di merci containerizzate (-58,6%) con una movimentazione di 123.355 container TEU (-57,5%) e 7,1 milioni di tonnellate di merci convenzionali (-2,8%). Nel settore delle rinfuse il traffico è stato di 24,1 milioni di tonnellate (-9,2%), di cui 19,4 milioni di tonnellate di rinfuse solide (-3,7%) e 4,7 milioni di tonnellate di rinfuse liquide (-26,3%). Tutto questo nonostante il porto di Taranto, insieme a quello di Gioia Tauro, abbia azzerato l’importo delle tasse di ancoraggio e sull’imbarco per scongiurare la fuga dei traffici verso i porti del nord Africa ed europei più competitivi. Facoltà che peraltro è prevista in via transitoria e che la legge di Stabilità ha prorogato solo fino al 30 giugno 2013.

Da quest’anno infatti, l’aumento delle tasse sarà del 30% e di un ulteriore 15% nel 2014. In più non bisogna dimenticare che nel solo 2011, l’89% dei traffici è stato generato dalle rinfuse solide, liquide e merci varie movimentate da ILVA, Cementir ed ENI. Solo l’11% riguardava merci che hanno viaggiato nei contenitori. Nella classifica nazionale, il porto di Taranto era al 1° posto per la movimentazione delle rinfuse solide, al 9° per la movimentazione delle rinfuse liquide e al 3° per la movimentazione totale delle merci. Il che testimonia, una volta di più, quanto miope siano state le nostre classi dirigenti sino ad oggi e soprattutto negli ultimi 20 anni. E’ inoltre indubbio che questi dati sono anche il frutto di quanto accadde nel settembre 2011: quando Evergreen di Taiwan (Hutchison Whampoa di Hong Kong è il gruppo cinese concessionario con la società TCT del porto di Taranto dal 2001), ha trasferito due delle quattro linee con il Far East dallo scalo ionico al Pireo, dimezzando il traffico dei container.

Nell’accordo firmato a Roma lo scorso 20 giugno per il rilancio dello scalo ionico dal valore di 400 milioni di euro, 219 furono deliberati dal CIPE, 100 proprio dai privati (Evergreen e Hutchison impiegheranno 70 milioni di euro in nuove attrezzature e 15 per rimettere a posto i mezzi esistenti). I tempi del crono programma tra bandi, apertura dei cantieri e fine lavori, parlano di realizzazione nell’arco dei prossimi 24 mesi. Ma è chiaro che i tempi saranno molto più lunghi. Visto che si dovranno realizzare i dragaggi (che si attendono da almeno dodici anni e che serviranno per accogliere le grandi navi da 14 mila TEU la misura standard di volume nel trasporto container), la cassa di colmata dei fondali del molo polisettoriale, la nuova diga foranea di protezione del porto, l’allargamento strutturale della banchina di Levante e i lavori della piattaforma logistica.

L’obiettivo è portare nello scalo un maggior numero di navi, “rubandole” ai porti concorrenti del Mediterraneo, soprattutto del Nord Africa, del Pireo e dei porti spagnoli. Con il raddoppio dei binari per il collegamento alla rete ferroviaria nazionale e la nascita di una stazione nell’area portuale, si vuole dimezzare i tempi di percorrenza dei carichi diretti verso il Nord Europa rispetto agli attuali quattro giorni di navigazione attraverso lo Stretto di Gibilterra. E così un container sbarcato a Taranto, arriverebbe via ferrovia in 34 ore a Monaco di Baviera. Tutto questi lavori, negli intenti dell’Autorità Portuale, della Regione, di Comune, Provincia e governo, dovrebbero trasformare il porto di Taranto in un grande hub di trasbordo feeders.

Un terminale di traffico oceanico che non necessita di collegamenti diretti con il sistema terrestre perché opera il trasbordo (transhipment o traffico mare-mare) dalle navi portacontainer madre alle navette feeder dirette verso le varie destinazioni locali. Peccato che tutto questo non porterà ricchezza al territorio, né chissà quali posti di lavoro, tali da sostituire la grande industria. Perché senza il famoso distripark (che potrebbe valorizzare anche la funzione cargo dell’aeroporto di Grottaglie e il cui progetto è stato de finanziato per volere della Regione proprio quel 20 giugno a Roma) non andremo lontano.

Per non parlare del fatto che mentre Taranto arranca, gli altri scali volano: +4% al Porto Canale di Cagliari nel traffico merci. Bene anche Gioia Tauro (18% ottenuto nella seconda parte dell’anno), mentre Trieste ha registrato movimentazioni per 411 mila TEU, in crescita del 4,6% sull’anno precedente. Bene anche Napoli, dove i contenitori movimentati nel 2012 sono stati 546.818, +3,8% rispetto al 2011. Ancora meglio fa Venezia, che con quasi 430 mila container (Teu) movimentati nel 2012 si conferma al secondo posto tra i porti dell’Alto Adriatico, dopo Capodistria. A La Spezia nel 2012 i TEU movimentati sono stati 1.250.000, in linea con l’anno precedente nonostante la crisi economica: l’obiettivo per il 2018 é arrivare a 1.800.000 TEU. A Genova invece, a dicembre hanno festeggiato il record di 2 milioni di TEU nel 2012. Abbiamo ancora tanta strada da fare.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 11.01.2013)

 

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