Quest’oggi, dunque, si discuterà il ricorso dell’azienda contro il no del gip al dissequestro dell’11 dicembre scorso. Per la Procura quei prodotti sono frutto di reato, perché realizzati con gli impianti dell’area a caldo sotto sequestro e senza facoltà d’uso per l’azienda. Ciò nonostante, con il complice silenzio assenso di istituzioni e sindacati, l’Ilva ha continuato a produrre per mesi. La Procura ha inoltre già depositato alla Consulta ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato contro il decreto n.207 del 3 dicembre 2012, ed è pronta a depositarne un secondo contro la legge che ha convertito con modifiche il decreto.
Intanto, ieri il Riesame ha depositato le motivazioni che hanno portato i giudici a respingere la richiesta di scarcerazione dell’ex manager Ilva Girolamo Archinà e dell’ex consulente della Procura, Lorenzo Liberti. L’Archinà è “il maestro degli insabbiamenti”, secondo Emilio Riva intercettato: questa definizione “è eloquente della straordinaria capacità dell’indagato di infiltrarsi nelle istituzioni, manipolare la stampa e pilotare l’azione di altri pubblici poteri”, scrivono i giudici. Archinà, ora in carcere, e Liberti ai domiciliari, vennero arrestati il 26 novembre scorso per un presunto episodio di corruzione in atti giudiziari; Archinà è anche accusato di concorso in disastro ambientale.
Per i giudici Archinà è “una personalità senza scrupoli che ha consentito e condiviso la criminosa gestione dello stabilimento che ha causato il disastro ambientale, con conseguenti effetti letali sulla popolazione”. Sottolineando “l’indifferenza mostrata per il rispetto della legge e l’assenza di ogni remora nell’agire, non avendo esitato a corrompere finanche un consulente della procura”. L’ex presidente del Politecnico di Taranto, Liberti, ha commesso reati di “estrema gravità per le ripercussioni che sarebbero potute derivare sulle indagini in corso” a carico dei vertici Ilva. Liberti è accusato di corruzione in atti giudiziari per una presunta tangente di 10mila euro che, secondo l’accusa, avrebbe ricevuto da Archinà per alterare in favore dell’Ilva una perizia sulle fonti di inquinamento della città. Le banconote da 50 e 100 euro, che per la Procura Archinà consegnò in una stazione di servizio all’ex consulente, “non furono consegnate all’arcivescovo di Taranto”, tesi sostenuta da Archinà.
“Il passaggio di una busta – e non di un foglio svolazzante come sostenuto dalla difesa – contenente il denaro dalle mani di Archinà a quelle di Liberti è confermato sia da un video del circuito di sorveglianza interno alla stazione, sia dalla testimonianza di una dipendente”, scrivono i giudici. Per i quali è confermata “l’inattendibilità” di don Marco Gerardo, all’epoca dei fatti segretario particolare dell’ex arcivescovo di Taranto mons. Benigno Luigi Papa, in quanto avrebbe accreditato la tesi di Archinà, secondo cui quella somma fu consegnata alla Curia “quale donazione aziendale, come avveniva abitualmente durante l’anno”. Don Marco è indagato dalla Procura per false dichiarazioni al pm.
Intanto Fim, Fiom e Uilm hanno formalizzato una richiesta di chiarimenti all’Ilva, in merito ai presunti problemi sul pagamento degli stipendi, che alcune voci danno a rischio in seguito al sequestro dei prodotti. L’azienda, giorni addietro, aveva rassicurato i sindacati sul regolare saldo delle retribuzioni, dopo il ritardo sulle tredicesime. In un primo momento l’azienda aveva sostenuto che gli stipendi sarebbero stati liquidati entro l’11 gennaio, ché il 12 cade di sabato. Ma nel siderurgico il malumore è nuovamente ai livelli di guardia.
Gianmario Leone (Il Manifesto, 08.01.13)
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