Ilva, botta e risposta tra azienda e Procura
TARANTO – Nuovo botta e risposta tra l’Ilva e la Procura di Taranto. Nella mattinata di ieri infatti, l’azienda ha presentato un’istanza in cui chiedeva il dissequestro del prodotto finito e semi-lavorato posto sotto sigillo lo scorso 26 novembre (1.700.000 tonnellate di coils e lamiere per un valore pari a circa 1 miliardo di euro). L’iniziativa è arrivata a fronte della pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale del 3 gennaio della legge di conversione, in vigore da ieri, del decreto 207 del 3 dicembre 2012 che consente all’azienda di continuare l’attività produttiva (per i prossimi 36 mesi) con la restituzione dell’area a caldo e di movimentare e commercializzare i prodotti realizzati nel corso del sequestro in atto dallo scorso 26 luglio, nonostante l’ordinanza del gip non prevedeva la facoltà d’uso degli impianti a fini produttivi.
Nell’istanza presentata dall’avvocato Egidio Albanese e firmata dall’avvocato Marco De Luca nella persona del presidente del Cda Bruno Ferrante, la società ha chiesto “l’immediata esecuzione” della legge approvata lo scorso 21 dicembre dal Parlamento. L’azienda, oltre ad allegare il testo della legge modificato rispetto al decreto approvato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 3 dicembre, ha sottolineato “la straordinaria necessità e urgenza a che si proceda, così come riconosciuto dagli organi costituzionali competenti in sede di decretazione e successiva conversione del provvedimento legislativo sopra citato”. Ma nel giro di qualche ora, nel primo pomeriggio, è arrivato il parere negativo della Procura che ha rimesso gli atti al gip, al quale chiedono di sollevare la questione di legittimità costituzionale sulla legge 231, la cosiddetta ‘salva-Ilva’.
Come detto, per i pm che indagano su ipotesi di disastro ambientale ed avvelenamento di sostanze alimentari, l’acciaio prodotto da Ilva fra il 26 luglio (giorno del sequestro degli impianti) ed il 3 dicembre (giorno in cui il governo ha varato il decreto legge 207 autorizzando l’industria a riprendere la produzione) è provento di reato, in quanto realizzato quando gli impianti erano sotto sequestro senza facoltà d’uso. Ora il gip Patrizia Todisco, alla quale la procura ha inviato una corposa documentazione, potrà accogliere o meno la richiesta dei pubblici ministeri. Nel caso di accoglimento presenterà la questione di legittimità costituzionale della legge dinanzi alla Corte Costituzionale, evidenziando i tratti della legge che a suo parere confliggono con il trattato costituzionale.
E’ bene ricordare inoltre, che contro il decreto legge la Procura ha già sollevato alla Corte Costituzionale il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (è stato depositato alla cancelleria della Consulta l’ultimo giorno dell’anno) e adesso, come era ampiamente prevedibile, analogo ricorso sarà presentato contro la legge di conversione. Il rientro in possesso dei semilavorati e dei prodotti finiti è giudicata dall’Ilva pregiudiziale essenziale per rimettere in marcia gli impianti dell’area a freddo di Taranto, quasi tutti fermi da fine novembre e con parte del personale inattivo, ed alimentare gli altri stabilimenti del gruppo. Come ad esempio quello di Cornigliano: ieri, alla banchina del porto di Genova sono arrivate due navi contenenti i coils prodotti dall’Ilva dal 4 dicembre. Dunque una partita di materiali non sottoposti a sequestro.
Difatti, l’inattività dell’area a freddo del siderurgico tarantino, anziché coinvolgere tutti i 1428 addetti previsti, ha interessato solo un numero inferiore di lavoratori per i quali adesso l’Ilva dovrà comunque accollarsi i costi del mancato lavoro non potendo beneficiare dell’ammortizzatore sociale della cassa integrazione in deroga. Adesso, in presenza del no dei pm, l’Ilva, per cercare di ottenere il dissequestro di coils e lamiere, potrebbe mantenere il ricorso presentato al Tribunale dell’Appello, che aveva già programmato per martedì 8 gennaio la discussione nel merito. Diffidenti i sindacati: mentre la Fim-Cisl sostiene che ora l’Ilva non ha più alibi, la Cgil Puglia sostiene inaffidabile il gruppo Riva: “riteniamo che non potrà mai più essere nelle condizioni di realizzare gli investimenti di 4 miliardi di euro”.
Gianmario Leone (Il Manifesto)