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Il ricorso, Ilva legittimata a commettere reati

TARANTO – L’articolo 112 della Costituzione prevede l’obbligatorietà dell’azione penale, compito del pubblico ministero, cui spetta prevenire e reprimere i reati senza introdurre valutazioni di convenienza di qualsiasi genere. Si basa soprattutto su questo articolo il ricorso presentato alla Corte costituzionale nei giorni scorsi dal pool di magistrati guidati dal procuratore Franco Sebastio e firmato dal procuratore aggiunto Pietro Argentino e dai sostituti Mariano Buccoliero, Giovanna Cannarile e Remo Epifani. Ricorso basato sull’ipotesi di un conflitto fra poteri dello Stato, definito dai giuristi “conflitto per interferenza” o “conflitto di menomazione”, riguardante l’intervento a gamba tesa del governo con il decreto-legge 207 del 3 dicembre (convertito in legge dal Parlamento il 20 dicembre scorso) sulla maxi inchiesta su inquinamento, disastro ambientale ed inquinamento di sostanze alimentari. Reati, quelli finora ipotizzati dai pm, di pericolo, di natura permanente o, al massimo, istantanea ad effetti permanenti.

L’inchiesta, basata su perizie ottenute nel corso di un incidente probatorio, ha portato a due sequestri, quelli ordinati dal gip Patrizia Todisco il 26 luglio (poi confermato anche dal Riesame) ed il 26 novembre scorsi.  Il decreto-legge non solo annulla l’efficacia di quei sequestri, adottati dal gip per evitare l’aggravamento e la commissione di altri reati, ma legittima, attraverso l’autorizzazione a proseguire l’attività produttiva, la certa commissione degli stessi reati con la garanzia dell’impunità. Gli stessi reati, infatti, dal 3 dicembre in poi non potranno più essere perseguiti dai magistrati, né potranno i pm, nel formulare le imputazioni, dovendo specificare la data del commesso reato, andare oltre quella di entrata in vigore del decreto-legge, appunto il 3 dicembre. Una sorta di licenza di uccidere, o perlomeno di delinquere, quella concessa ad Ilva dal governo tecnico, allargata poi dal Parlamento a tutti gli impianti industriali, con almeno duecento impiegati, ritenuti di importanza strategica nazionale e per i quali vi sia necessità di garantire produzione ed occupazione.

Vien da chiedersi allora quale sia il criterio di scelta di questi impianti, adottato dall’attuale ma anche dai futuri ministri dell’Ambiente (che avranno colore politico). Ebbene il criterio è assolutamente discrezionale, quindi se il ministro tecnico Clini ha “graziato” l’Ilva, il prossimo ministro per l’Ambiente, scelto da una coalizione politica, potrà scegliere le industrie da aiutare e quelle che invece meritano di essere perseguite dalla legge e magari anche chiudere. Un’ultima osservazione: ministri e parlamentari che hanno approvato il decreto-legge in Consiglio dei ministri e la legge in Parlamento non possono rispondere per la loro attività legislativa ed i voti espressi. Se l’acciaio prodotto da Ilva nei quattro mesi in cui non aveva la facoltà d’uso degli impianti, sequestrato dalla magistratura perché ritenuto provento di reato, verrà riconsegnato all’industria, così come prevede la nuova legge, chi pagherà il danno erariale allo Stato, che avrebbe potuto confiscare quel prodotto (valore circa un miliardo di euro) e vederlo per pagare le bonifiche? La risposta è alquanto scontata.

Vittorio Ricapito (TarantoOggi)

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