Alla fine di gennaio, quindi, tre interventi prescritti dall’AIA entreranno nella fase operativa: le batterie 5 e 6, l’altoforno 1, che é stato fermato l’8 dicembre, ed appunto le batterie 3 e 4. Per le prime due batterie e l’altoforno 1, il costo degli interventi è stato stimato in 270 milioni, mentre i lavori dureranno 18 mesi. E pensare che l’Ilva, lo scorso settembre, propose un piano di interventi immediato di appena 400 milioni, che sarebbero dovuti servire ad una serie di interventi in diverse aree dello stabilimento e per diversi impianti. Inoltre, è bene non dimenticare che la fermata ed il rifacimento dell’altoforno 1 e delle batterie 5 e 6, erano state decise dall’azienda ancora prima del sequestro preventivo dello scorso luglio. Tra le altre prescrizioni presenti nell’AIA, la fermata e il rifacimento, previsto a luglio 2014, dell’altoforno 5, il più grande d’Europa nonché cuore pulsante della produzione del siderurgico tarantino. Previsti altri lavori sugli altiforni 2 e 4, mentre sarà dismesso in via definitiva l’altoforno 3.
La copertura dei parchi minerali, invece, è prevista entro i prossimi 3 anni. Ammesso e non concesso che tra tre anni i Riva siano ancora i proprietari dell’azienda. E che l’area a caldo dell’Ilva sia ancora in funzione. A proposito dei parchi, dopo aver provveduto all’arretramento di 80 metri (!) come certificato anche dai tecnici dell’ISPRA nel sopralluogo dello scorso 17 dicembre, continua ad essere irrisolta la problematica della giacenza del minerale. Attualmente sono al lavoro tre gru agli sporgenti 2 e 4 del porto di Taranto in concessione all’Ilva per lo scarico delle materie prime: i tre mezzi radiocomandati da terra, un quarto potrebbe essere messo in funzione in questi giorni, riescono però a far confluire nei parchi 30mila tonnellate a fronte delle 40 di cui necessitano giornalmente gli altiforni. I gruisti, intanto, attendono ancora l’ok da parte di ARPA Puglia per tornare nelle cabine delle gru gravemente danneggiate dal tornado dello scorso 28 novembre. Con le enormi navi che restano in attesa di poter scaricare il minerale bloccate nella rada di Mar Grande.
Intanto, durante un incontro tra azienda e sindacati avvenuto ieri, l’Ilva ha presentato il piano operativo con i diversi interventi previsti per ottemperare alla prescrizioni dell’AIA ed indicato che i rifacimenti previsti determineranno una punta occupazionale di 2mila addetti. Il piano industriale, invece, fondamentale per conoscere le reali intenzioni del gruppo Riva, dovrebbe essere presentato non prima di metà gennaio. E’ questa, infatti, una delle tante stranezze della vicenda Ilva: è quanto meno paradossale che lo Stato salvi dall’azione della magistratura un’azienda ritenuta strategica per l’economia nazionale, senza prima pretendere dalla proprietà certezze in merito al futuro. A cominciare dagli investimenti, appunto.
Come abbiamo riportato lo scorso 3 dicembre, secondo il bilancio consolidato di Riva Fire infatti, nell’arco del 2012 e nei primi mesi del 2013, arriveranno a scadenza debiti finanziari a breve termine per 2,11 miliardi sui 2,79 miliardi di esposizione complessiva (tra le banche che vantano crediti dal gruppo, la più esposta sarebbe Intesa San Paolo, seguita a grande distanza dalla Popolare di Bergamo del gruppo UBI B). Una cifra enorme se si considera, fra le altre cose, che il gruppo Riva iscrive a bilancio disponibilità liquide per soli 171 milioni oltre a titoli e depositi a breve termine per 46 milioni. In pratica, i soldi che la Guardia di Finanza ha trovato nei giorni scorsi andando ad analizzare il settore economico del gruppo. A fronte di ciò, il gruppo Riva dovrebbe investire circa 3 miliardi e mezzo di euro nei prossimi tre anni per ottemperare alle prescrizioni AIA. Su tutte queste vicende, l’Ilva ha aggiornato le organizzazioni sindacali per i primi gennaio. Pare che il direttore dello stabilimento di Taranto, Adolfo Buffo, stia lavorando al piano. Sarà. Ma immaginare che il direttore dell’Ilva possa decidere di un piano finanziario appare quanto meno poco credibile.
Infine, è ancora tutta da giocare la partita giudiziaria. Il governo, in appena 20 giorni, ha convertito in legge un decreto che ha fermato l’azione della magistratura e dei custodi giudiziari. Dissequestrando prima l’area a caldo e poi il materiale prodotto e già venduto dal valore di 1 miliardo di euro. Ma l’aver trasformato un atto amministrativo come l’AIA in legge, è stato voluto per mettere la stessa autorizzazione integrata ambientale al riparo da iniziative giudiziarie che l’avrebbero potuta bloccare. L’Ilva, del resto, ha sempre sostenuto che il mantenimento del sequestro era il vincolo che pregiudicava l’attuazione delle prescrizioni.
La Procura e il gip da giorni stanno valutando come muoversi: se sollevare l’eccezione di incostituzionalità, o il conflitto di attribuzione, o entrambe le cose. Non è da escludere che i giudici attendano anche la sede tecnica appropriata in cui attuare le loro iniziative. Una sede, per esempio, potrebbe essere la discussione dell’8 gennaio al Tribunale dell’appello in cui si discuterà il ricorso con cui l’Ilva ha chiesto il dissequestro dei prodotti finiti e dei semilavorati sequestrati lo scorso 26 novembre. Nel caso in cui l’Ilva dovesse rinunciare, i giudici potrebbero utilizzare la presentazione dell’istanza di dissequestro che comunque l’Ilva deve avanzare per tornare in possesso dei beni a cui sono stati apposti i sigilli giudiziari. Nei prossimi mesi, quindi, tutto potrebbe nuovamente cambiare.
Gianmario Leone (TarantoOggi del 22-12-2012)
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