Ilva, la recita di Natale. Le lacrime di Buffo, il turbamento di Ferrante e l’aiuto morale di Kant
TARANTO – A guardarli mentre parlano e si commuovono davanti ad almeno un centinaio di operai durante il classico discorso di Natale, sembrano quasi sinceri. Ma in realtà, dietro le parole roboanti e le frasi ad effetto strappa applausi, l’essenza è sempre la stessa. Quella di un gruppo industriale che grazie all’intervento del governo amico, ha ritrovato l’arroganza e la superbia dei tempi migliori. Quelli prima del sequestro preventivo dell’area a caldo avvenuto lo scorso 26 luglio, quando tutti erano dalla loro parte. Chi in silenzio, chi dichiaratamente schierato: poco importa.
La storia non si cancella e non si dimentica. Anche se in molti hanno operato il classico salto della barricata, sperando di non essere visti. A parlare per primo è il direttore dello stabilimento dell’Ilva di Taranto, Adolfo Buffo, oggetto di un avviso di garanzia da parte della Procura di Taranto dallo scorso 26 novembre. Il quale incita ed esorta i presenti con un epico appello: “Non rinunciate a lottare”. Perché dopo le “tensioni estive (i provvedimenti giudiziari) che hanno colpito la nostra dignità di uomini e di lavoratori” vi è ora la necessità di fronteggiare “il pregiudizio ideologico di parte dell’opinione pubblica”. E’ il via all’ennesimo show. “Ditelo anche alle vostre famiglie – urla nel microfono – che il nostro impegno su questo campo é e sarà massimo”.
Ad occhio e croce, è meglio evitare, onde rovinarsi il cenone di Natale. Dopo di che, Buffo rompe gli argini dell’emozione, commuovendosi in più di una circostanza: in primis quando esprime solidarietà alla “famiglia Riva, colpita da provvedimenti restrittivi dell’autorità giudiziaria”, e “all’amico e collega Capogrosso”. Costoro, nel mondo magico dell’Ilva, altro non sono che poveri innocenti perseguitati dalla magistratura. Inevitabile, ovviamente, un pensiero ai lavoratori Ilva morti sul lavoro nelle scorse settimane, i giovanissimi Claudio Marsella e Francesco Zaccaria. Applausi, lacrime, frasi roboanti e il sentimento cristiano del Natale: populismo allo stato puro. Ma nel copione della recita di Natale, il ruolo di protagonista non può che appartenere al presidente del Cda dell’Ilva, Bruno Ferrante (anch’egli inseguito da un avviso di garanzia). Che parla in un silenzio assoluto, seguendo un esposizione dei fatti e degli eventi in crescendo che riscrive, ad uso e consumo dell’Ilva, la storia degli ultimi mesi.
Un discorso che sembra scritto da Emilio Riva in persona, in stile editoriale del mensile “Il Ponte”. Ma dietro la maschera del buon padre di famiglia, Ferrante dimostra di non aver dimenticato gli insegnamenti appresi durante la sua professione di prefetto, da uomo dello Stato che usa la carota mentre nell’altra mano impugna, e non nasconde, il bastone. Che si abbatte inesorabile sulla magistratura. Il discorso, non fa una grinza. “All’inizio non ho capito le vere ragioni che c’erano dietro quei provvedimenti. Poi, leggendo alcune frasi, mi son reso conto che non c’era in alcune persone serenità d’animo, non c’era equilibro di giudizio”. Strano che un ex prefetto si esprima così su dei provvedimenti giudiziari che, a memoria d’uomo, non hanno mai contenuto parole dolci nei confronti degli imputati del reato a loro contestato.
Eppure l’Ilva “aveva l’obiettivo di rispettare anche le decisioni dell’autorità giudiziaria”: sarà, ma forse Ferrante ha dimenticato di aver impugnato lui stesso tutti i provvedimenti intrapresi dalla Procura e dal gip. Oltre ad aver ostacolato l’operato dei custodi giudiziari. Questo perché Ferrante sostiene che “nelle carte della Procura a chiare lettere c’é scritto ‘Ilva rispetta la legge’. Questo é detto nelle perizie dei periti del Tribunale. Lo hanno scritto i procuratori della Repubblica”. Dunque, si chiede Ferrante, “se rispettiamo la legge, di cosa siamo accusati?”. E dopo aver nominato le famose perizie redatte da esperti della comunità scientifica per conto dell’Ilva, che racconterebbero un’altra verità che però Ferrante non esplica, arriva l’affondo. Un attacco frontale alla magistratura da parte di un ex prefetto che fornisce l’unica lettura possibile del tutto.
“La vera volontà dell’autorità giudiziaria si é scoperta quando é stato notificato il sequestro dei prodotti finiti e semilavorati: non si vuole salvare lo stabilimento, né i posti di lavoro. Ma andare verso una chiusura tragica”. Per fortuna, “il governo é venuto incontro ai problemi di Ilva adottando in via di urgenza un decreto legge, il 3 dicembre scorso”. Fine? Nemmeno per sogno. Perché la chiusura di Ferrante, oltre che teatrale, è anche storico-filosofica. Sì, perché il presidente Ilva, cita niente di meno che Immanuel Kant. “Concludo ricordando le parole di un grande filosofo: due sono le sole cose importanti nella vita di un uomo: il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me. Valori che ci devono guidare nella vita, nel lavoro, negli affetti”. Ma Kant, caro presidente, voleva intendere tutt’altro.
Nella conclusione della famosissima opera del filosofo tedesco, la “Critica della ragion pratica”, la morale interna è la specificità dell’essere umano in contrapposizione alla finitezza umana, che, invece, è restituita dallo spettacolo dell’universo. Rispetto ad esso, l’uomo è una creatura animale finita, ma dentro di sé, nella connessione necessaria con la legge morale, auto-evidente proprio come le stelle, egli supera la mortalità animale, sperimentando un’esistenza indipendente dal mondo sensibile. La legge morale, scrive infatti Kant, “non è ristretta alle condizioni e ai limiti di questa vita, ma si estende all’infinito”. Buon Natale, presidente. Per fortuna, la filosofia è un’altra Storia.
Gianmario Leone (TarantoOggi del 19-12-12)
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