Ciò detto, non si intravedono pericoli all’orizzonte per il governo e l’Ilva: vi è infatti una larghissima maggioranza in Parlamento a favore di un decreto che se da un lato ha già riconsegnato all’azienda l’area a caldo con la relativa facoltà d’uso degli impianti per continuare l’attività produttiva (mai interrotta nonostante il sequestro preventivo della magistratura dello scorso 26 luglio che privava l’azienda della facoltà di produrre); dall’altro, attraverso uno scandaloso emendamento integrativo studiato ad hoc, “strapperà” i sigilli della Guardia di Finanza dalle merci sequestrate il 26 novembre, consentendo all’Ilva di rientrare in possesso di 1.700.000 tonnellate tra di coils, tubi e bramme per un valore stimato in 1 miliardo di euro (materiale che per la magistratura tarantina costituisce invece corpo del reato, proprio perché prodotta durante il sequestro).
La merce in questione è peraltro stata già venduta e consentirà all’azienda di tornare alla “normalità” dopo oltre quattro mesi di “stato di calamità”. I prodotti sbloccati, infatti, permetteranno all’area a freddo del siderurgico tarantino (con il progressivo rientro da ferie forzate e cassa integrazione di 1.400 unità) e agli altri impianti Ilva in Italia, in primis a Genova e Novi Ligure, di uscire dall’impasse venutosi a creare negli ultimi tempi. Ma il testo che arriva oggi alla Camera, prevede un nuovo, l’ennesimo, schiaffo per Taranto. Confrontando il testo firmato dal Capo dello Stato, Giorgio Napolitano con quello rivisto dopo i vari emendamenti dello scorso fine settimana infatti, si evince che è stato dimezzato quello riguardante la valutazione del danno sanitario. Introdotta con l’emendamento approvato dalle commissioni alla Camera, la VDS resta. Ma è stata approvata con una modifica, che nella pratica ne riduce notevolmente l’efficacia. Non che la legge regionale sull’introduzione del danno sanitario sia la panacea di tutti i mali, anzi.
Da subito, infatti, abbiamo criticato su queste colonne un provvedimento che approvato in fretta e furia lo scorso 24 luglio (appena un giorno prima dell’ordinanza di sequestro preventivo dell’area a caldo firmata dal gip Patrizia Todisco) non appare il massimo della chiarezza anche nella sua eventuale efficacia. Come detto, l’emendamento, prima di essere approvato, è stato riformulato. Le tre parole che sono state tagliate rispetto alla prima versione, sono “congiuntamente all’AIA”: ma la differenza è rilevante. Introdurre nel testo del decreto gli effetti che l’inquinamento causato dall’Ilva ha prodotto e produce sulla salute, è di certo un concetto fondamentale. Un concetto, appunto. Perché per poter essere approvato, l’emendamento è stato riformulato, in versione soft. Nella prima stesura del testo infatti, si chiedeva che “contestualmente all’AIA” venisse effettuata subito la valutazione del danno sanitario (VDS) da parte di ASL/TA e ARPA Puglia.
Se fosse stata accertata una necessaria riduzione degli inquinanti, l’Ilva avrebbe avuto 30 giorni di tempo per presentare un piano di riduzione delle emissioni al Ministero dell’Ambiente e 12 mesi per attuarlo (tempi comunque biblici), pena la “possibile” sospensione delle attività produttive. L’emendamento approvato, invece, è stato modificato così: “l’ASL e l’ARPA devono redigere una valutazione del danno sanitario, con aggiornamento almeno annuale, un rapporto di valutazione del danno sanitario (VDS) anche sulla base del registro tumori regionale e delle mappe epidemiologiche sulle principali malattie a carattere ambientale”. La contestualità di VDS e AIA è stata pertanto cancellata. Ciò vuol dire soltanto una cosa: che l’Autorizzazione Integrata Ambientale ha la precedenza su tutto, anche sugli eventuali effetti sulla salute prodotti dalle emissioni dell’Ilva.
Ciò implica anche il fatto che vengono a mancare anche i 12 mesi di tempo per attuare il piano di riduzione degli inquinanti. Una differenza sostanziale: perché se in un primo momento la “valutazione del danno sanitario” aveva un carattere vincolante, ora è soprattutto conoscitivo. Senza dimenticare che la legge regionale 21/2012, è stata osteggiata dalle più grandi aziende inquinanti presenti a Taranto e Brindisi (con il rumoroso e fastidioso appoggio di Confindustria Puglia): l’Eni con la raffineria di Taranto, l’Enel con gli impianti di Brindisi, la Cementir, Edi Power ed Eni Power e la Basell per la chimica. Tutte hanno fatto ricorso al TAR di Bari. Non l’Ilva. Perché, “evidentemente”, l’azienda aveva già avuto garanzie da parte del governo della modifica dell’emendamento sul danno sanitario. Quest’oggi, dunque, il voto dell’Aula si occuperà del testo: con il rischio che possa spuntare anche un maxi-emendamento del Governo che tranci di netto i “miglioramenti” apportati. Il testo partorito dalle commissioni della Camera, dunque, è semplicemente un decreto ‘salva-Ilva’: altro che ‘salva-Taranto’.
Gianmario Leone (TarantoOggi del 18-12-2012)
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