Ilva, si apre una settimana cruciale
TARANTO – Sarà approvato entro questo fine settimana il decreto legge ‘salva-Ilva’: il testo arriverà domani alla Camera, mentre mercoledì passerà al Senato. Il rischio che possano sorgere contrattempi è pari allo zero, così come l’eventualità che il governo possa richiedere il voto di fiducia: vi è infatti una larghissima e trasversale maggioranza in Parlamento a favore di un decreto che da un lato ha riconsegnato all’Ilva l’area a caldo con la relativa facoltà d’uso degli impianti per continuare l’attività produttiva; dall’altro, attraverso un emendamento integrativo ad hoc, “strapperà” i sigilli della Guardia di Finanza dalle merci sequestrate lunedì 26 novembre, consentendo all’Ilva di rientrare in possesso di 1.700.000 tonnellate tra di coils, tubi e bramme per un valore stimato in quasi 1 miliardo di euro. Merce già venduta che consentirà all’azienda di togliere un po’ di castagne dal fuoco, ritornando così alla “normalità” dopo oltre quattro mesi di “stato di calamità”.
I prodotti sbloccati, infatti, permetteranno all’area a freddo di Taranto (con il progressivo rientro dalla ferie forzate e dalla cassa integrazione di 1.400 unità) e agli altri impianti Ilva in Italia, in primis a Genova e Novi Ligure, di uscire dal “panico” venutosi a creare negli ultimi tempi. Che si tratti di materiali prodotti nei mesi in cui all’azienda era stato vietato l’uso degli impianti da parte della magistratura (attività illecita definita da pm e Gip “contra legem”), poco importa. Che quei prodotti abbiano potuto causare altri fenomeni di malattia negli operai e nella popolazione, importa ancora meno. Che pur di salvare il Pil, parte dell’economia italiana e il portafoglio dei Riva, si sia dovuti andare contro la Costituzione italiana oltre a “donare” l’effetto di retroattività ad un decreto legge pur di rendere inutile l’azione di una Procura, non ha scandalizzato nessuno, nemmeno il Capo dello Stato. Che con un decreto legge ad hoc si consenta ad un’azienda indagata per il reato di disastro ambientale i cui proprietari sono tutt’ora ai domiciliari o latitanti chissà dove, rientra nella “normalità” delle cose.
Certo è che i problemi dell’Ilva non termineranno con l’approvazione del decreto da parte del Parlamento. Almeno non a breve. Il problema è sempre lo stesso: la difficoltà nello scarico delle materie prime dalle navi che da giorni affollano la rada di Mar Grande. Attualmente, nei parchi la giacenza di minerali è vicina alla soglia delle 400.000 tonnellate. Per ora agli sporgenti 2 e 4 si lavora soltanto con tre radiocomandi (arrivati dall’Olanda) da terra: il che rallenta e limita di molto il lavoro degli operai, consentendo lo scarico di 20.000 tonnellate al giorno di materie prime, quando normalmente l’Ilva approvvigiona il parco minerali con 40-50.000 tonnellate giornaliere. Anche per questo gli altiforni 2-4-5 (il 1 è in fase di spegnimento mentre il 3 è da tempo fermo), lavorano a singhiozzo o alternandosi: ma non avevano detto che gli impianti non si potevano fermare? Chi potrebbe risolvere a favore dell’Ilva la situazione attuale, paradossalmente, è l’ARPA Puglia.
E’ infatti dall’ente regionale per la protezione ambientale che gli operai addetti alle gru attendono l’ok per il loro utilizzo dopo i danni causati dal passaggio del tornado. Nonostante le rassicurazione dell’Ilva, che ha affidato a ditte esterne l’esame sullo stato di sicurezza delle gru che ha dato esiti positivi, gli operai non si fidano e preferiscono attendere l’ok di un ente terzo, l’Arpa appunto. Nei giorni scorsi si era anche sparsa la voce che l’Ilva avesse minacciato l’arrivo di operai dalla Svezia, pronti a salire sulle gru: ma ai più è persa una boutade, più che l’ennesima minaccia aziendale. Ma se l’ok dell’Arpa dovesse tardare, l’Ilva potrebbe davvero vedersi costretta a interrompere le attività. Ciò detto, è evidente che una delle tante profezie del presidente Ilva Bruno Ferrante, “l’Ilva rischia di fermarsi il 14 dicembre”, era soltanto un modo per creare panico e buttare fumo negli occhi: all’epoca, il tornado non era ancora giunto. Né il decreto del governo.
Intanto, tra le tante cose poco chiare del momento, il fatto che nessuno abbia ancora preso visione del piano industriale dell’Ilva: semplicemente perché non c’é. L’azienda ha “promesso” di presentarlo entro gennaio: i sindacati metalmeccanici lo attendono come fossero i Re Magi, mentre ministero dell’Ambiente, governo e istituzioni locali si sono ancora una volta fidati sulla parola. Ciò detto, questa settimana, probabilmente una volta approvato il decreto da parte del Parlamento, arriverà una nuova offensiva da parte della Procura di Taranto. Scontato appare infatti, il ricorso alla Consulta sul conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato; così come quello per incostituzionalità. Qualora i giudici della Corte costituzionale lo riterranno ammissibile, il ricorso andrà poi notificato all’altra parte, cioè al governo, che prenderà parte all’udienza che sarà fissata per la discussione. Ma prima di una sentenza, passeranno diversi mesi: nel frattempo l’Ilva continuerà a produrre, inquinando. Anche se tutto potrebbe tornare nuovamente al punto di partenza.
Gianmario Leone (TarantoOggi del 17-12-2012)