Pecore contaminate, la strage continua
TARANTO – L’ultima mattanza si è consumata ieri mattina. A pagare, ancora una volta, sono state le vittime dell’inquinamento: circa 130 capi di bestiame (tra capre e pecore) contaminati da diossina e pcb, sono stati abbattuti in un macello di Conversano. Il loro unico torto, se così si può definire, è quello di aver pascolato in terreni inquinati, a poca distanza dall’area industriale. Anche stavolta, è toccato ai veterinari della Asl dover adempiere ad un macabro rituale che si ripete da anni: far caricare le povere bestie sui camion per portarle via da due allevamenti (uno di Statte e uno di Monteiasi).
In base a quanto riferito dal dottor Teodoro Ripa, responsabile dei Servizi Veterinari della Asl, i livelli più alti sono stati rilevati nel latte prelevato dall’allevamento di Statte, quello più vicino all’area industriale. «Concentrazioni elevate si sono riscontrate anche in capi di bestiame molto giovani, di appena un anno – ha spiegato il dottor Ripa – il che fa desumere che la contaminazione sia ancora in atto». Un elemento che certo non combacia con le tesi finora espresse dal ministro dell’Ambiente Corrado Clini che continua ad attribuire le responsabilità dell’inquinamento solo al passato.
La notizia è stata diffusa ieri mattina da Alessandro Marescotti, presidente di Peacelink, che tira in ballo le responsabilità delle forze politiche “così solerti verso il gigante dell’acciaio”, ma insensibili rispetto al dramma vissuto dagli allevatori ionici. «Da mesi giace un progetto di legge scritto, firmato e proposto dai cittadini di Taranto per risarcire gli allevatori danneggiati dall’inquinamento – ricorda Marescotti – averli dimenticati in questi anni è una vergogna. Nelle intercettazioni non c’è un solo politico che si dimostra preoccupato per la diossina finita nelle pecore. Anche gli allevatori sono lavoratori ma sono stati abbandonati».
Comprensibile lo sfogo di Vincenzo Fornaro, che ha dovuto rinunciare al suo gregge (circa 600 pecore) nel dicembre del 2008: «Mentre il governo si appresta ad approntare un emendamento al decreto “salva Ilva” per commercializzare l’acciaio sequestrato dalla Procura, dimentica invece completamente la nostra emergenza e non fa nulla per risarcirci». Va ricordato, infatti, che gli allevatori colpiti dall’emergenza diossina, hanno ricevuto dalla Regione contributi modesti: solo 64 euro a capo di bestiame. Una miseria rispetto al danno economico subìto. Le speranze per un equo risarcimento sono affidate alla magistratura, impegnata nella complessa indagine sull’inquinamento Ilva. Secondo i periti chimici incaricati dal gip Patrizia Todisco “si ritiene ragionevole affermare una correlazione preferenziale dei contaminanti riscontrati nei tessuti e negli organi animali esaminati con i profili di congeneri di Pcdd/Pcdf riscontrati nelle emissioni diffuse dall’Ilva”.
Ascoltato dal Corriere, il dottor Ripa si dice frustrato nel vedere che la stessa determinazione adottata dai servizi veterinari per evitare la diffusione di alimenti contaminati, non si riscontra nel modo in cui le istituzioni affrontano l’emergenza sanitaria che colpisce uomini e donne residenti all’ombra delle ciminiere. Ha quindi confermato un concetto già espresso in un recente convegno: «E’ arrivato il momento di imbavagliare le industrie che inquinano o di evacuare parte della città». Dalle sue parole si evince che solo la magistratura, finora, sembra aver inquadrato in maniera adeguata la situazione.
Dal fronte ambientalista arriva l’appello di Marescotti alle istituzioni: «Perché il Comune di Taranto non segue l’esempio di quello di Brescia? Anche lì il suolo risulta contaminato da diossine e pcb, ma il sindaco ha avuto il buon senso di fornire indicazioni precise su come i cittadini devono agire per non correre rischi. Si danno disposizioni anche sulla coltivazione dei vegetali e sull’allevamento all’aperto di animali. I tarantini possono fidarsi delle uova fresche che danno da mangiare ai loro figli?». Secondo il presidente di Peacelink, il Governo dovrebbe abbassare il limite massimo di diossine e pcb previsto per i terreni (da 10 ng/kg a 4), così come suggerito dall’Istituto Superiore di Sanità, per favorire l’avvio delle bonifiche nelle aree intorno alla zona industriale. Infine, sollecita un potenziamento dell’organico della Asl, con la conferma degli uomini che meglio si sono impegnati nelle attività di controllo e monitoraggio.
Alessandra Congedo