“L’evacuazione è una delle possibilità – ha dichiarato Clini – le caratteristiche abitative del quartiere sono tali per cui alcune aree risultano più esposte. Queste possono essere evacuate, ovviamente se gli abitanti sono disponibili”. Della possibilità di evacuazione, ha aggiunto Clini, “ne abbiamo già parlato anche con il sindaco di Taranto, per cercare di creare una disponibilità abitativa alternativa”. In effetti, già un anno fa il sindaco Stefàno avanzò, senza troppa convinzione, un’ipotesi del genere (con il famoso progetto edilizio, anche se sarebbe meglio parlare di speculazione vera e propria, con la costruzione di centinaia di appartamenti nel quartiere Salinella).
Lo scorso agosto, invece, il primo cittadino aggiustò il tiro: destinare agli abitanti dei Tamburi le strutture abitative e i terreni demaniali dell’ampia zona della città occupata dagli insediamenti della Marina Militare. Si tratterebbe di ristrutturare palazzine e alloggi abbandonati che prima erano occupati dai familiari dei militari: il tutto a carico dello Stato, come parziale risarcimento di oltre un secolo di inquinamento statale tra Arsenale Militare e Italsider. L’iniziativa dovrebbe riguardare le famose case parcheggio, costruite oltre trent’anni fa con fibre e tubature di amianto: dovevano essere abitate solo per un mese, ma la storia è andata molto diversamente.
Del resto, dopo aver autorizzato con il decreto ‘salva-Ilva’ la produzione del siderurgico tarantino per i prossimi tre anni, con tutto quello che ciò comporterà per la salute dei cittadini di Taranto e in particolar modo dei Tamburi, la proposta ha una sua “logica”. Visto e considerato che l’Ilva deve continuare a produrre ed inquinare per legge, tanto vale spostare migliaia di cittadini in zone più “protette” della città. Il problema, tra i tanti, è che il ministro Clini ha dimostrato più volte di non conoscere affatto la storia di Taranto e dei Tamburi.
Ripetendosi anche ieri, tanto per non smentirsi. Lamentando come negli anni siano state autorizzate “costruzioni nuove sempre più vicine al parco che era stato precedentemente raddoppiato”. Ricordando anche come l’area dei Tamburi “era già oggetto di un piano di risanamento del 2005 con fondi europei che sono rimasti alle amministrazioni locali che non sono state in grado di spenderli”: si tratta dei famosi 56 milioni di euro, finiti poi nella casse della provincia di Brindisi, anche se ancora oggi sindacati ed esponenti degli enti locali, sono alla ricerca del tesoro perduto.
Il ministro Clini, poi, svela anche un piccolo retroscena: “L’ipotesi di evacuazione parziale era già contemplata nel decreto dello scorso agosto su Taranto: nel provvedimento c’è una voce esplicita su Tamburi, che può prevedere l’evacuazione”. Il ministro ha anche trovato il tempo di parlare dell’AIA rilasciata all’Ilva nell’agosto 2011 dall’allora ministro Prestigiacomo. Giudicandola “contraddittoria, perché ha permesso ai Riva di fare molto meno di quello che avrebbero potuto sul piano ambientale.
In quel documento c’era tutto, le esigenze del gruppo Riva, degli ambientalisti e degli enti locali. Il risultato è stato prescrizioni incompatibili tra loro che hanno permesso all’azienda di fare ricorso al Tar e vincerlo. Il gruppo Riva ha fatto molto meno di quello che ha potuto perché il contesto delle amministrazioni glielo ha consentito”. In realtà, l’Ilva ha ricorso al Tar di Lecce contro le prescrizioni più “stringenti”, visto che come risulta anche dalle intercettazioni telefoniche, il testo dell’autorizzazione era stato “scritto” dagli stessi tecnici dell’azienda.
Ma Clini si spinge a criticare anche il ministero dell’Ambiente: “In passato ha assecondato la strategia nazionale del rinvio e del tentativo di non scegliere o di accontentare tutti. Questo non è possibile, servono scelte”. Peccato che l’attuale ministro sia stato direttore Generale del Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare dal 12 marzo 1991 al 28 novembre 2011: dunque, prima di criticare, dovrebbe prima chiarire dov’era e di cosa si occupava nei sette anni che sono serviti per “scrivere” il testo di quell’autorizzazione. Non solo. Perché il ministro, stante così le cose, avrebbe dovuto rispettare la legge. La perizia chimico-ambientale, citata nel decreto dello scorso 26 ottobre, evidenziò palesi violazioni delle prescrizioni contenute nell’AIA in vigore dal 2011.
La normativa AIA, in questo caso prevede la sua revoca, provvedimento del tutto ignorato da tutti gli enti che hanno sottoscritto il decreto. L’art. 29-decies, al punto 9, stabilisce, infatti, “la revoca dell’AIA in caso di inosservanza delle prescrizioni, di mancato adeguamento alle prescrizioni imposte e di reiterate violazioni che determinino situazioni di pericolo e di danno per l’ambiente”. Invece di “riscriverla”, l’AIA sarebbe dovuta essere revocata. E visto che siamo oramai in un momento in cui le leggi e la Costituzione rappresentano un qualcosa di molto aleatorio, “tranquillizziamo” tutti sul fatto che il decreto ‘salva-Ilva’ non sarà fermato dalla crisi dell’attuale governo. Ieri, infatti, diversi rappresentanti istituzionali hanno garantito che prima dell’uscita di scena del premier Monti, saranno approvati la legge di stabilità (ex finanziaria) e il decreto legge sull’Ilva. Chapeau.
G. Leone (TarantoOggi del 10-12-2012)
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