L’Ilva si riprende l’area a caldo

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TARANTO – Quella di ieri è stata un’altra delle tante giornate chiave dell’interminabile vicenda Ilva. Con la procura della Repubblica di Taranto che ha accolto, come ampiamente prevedibile, la richiesta dei legali dell’Ilva di reimmissione in possesso dei beni dell’impresa: ovvero gli impianti dell’area a caldo sequestrati dello scorso 26 luglio. Ma si badi bene: non si tratta di un dissequestro vero e proprio, come confermano diverse fonti giudiziarie, ma di una semplice applicazione del decreto legge del governo firmato lunedì dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Si tratta, in sostanza, di una semplice facoltà d’uso, “garantita” dall’articolo 1 del provvedimento del governo, che proclama “l’assoluta necessità di salvaguardia dell’occupazione e della produzione”.

In pratica, secondo l’interpretazione del testo da parte della stessa Procura, il decreto impone di riprendere la produzione anche in permanenza del sequestro. Come previsto dal comma 4 dell’art. 1 del decreto, in cui si dichiara testualmente che “anche quando l’autorità giudiziaria abbia adottato provvedimenti di sequestro sui beni dell’impresa titolare dello stabilimento, i provvedimenti di sequestro non impediscono, nel corso del periodo di tempo indicato nell’autorizzazione, l’esercizio dell’attività d’impresa”. Il provvedimento è stato firmato dal procuratore capo, Franco Sebastio, dal procuratore aggiunto Pietro Argentino e dai sostituti procuratori Mariano Buccoliero, Giovanna Cannarile e Remo Epifani: ed è stato notificato all’azienda dai carabinieri nel pomeriggio.

Intanto però, la verità novità di ieri è un’altra. La Procura ha infatti espresso parere negativo in merito all’altra istanza presentata dall’Ilva, di reimmissione nel possesso dei prodotti finiti e semilavorati sequestrati il 26 novembre, perché frutto di attività illecita in quanto prodotti durante il sequestro e senza la facoltà d’uso degli impianti per l’attività produttiva. L’Ilva aveva presentato istanza poiché la produzione sequestrata, circa 1800 tonnellate, é “funzionale all’attività produttiva dello stabilimento ed alla conseguente commercializzazione dei prodotti, così come disposto dal provvedimento legislativo”: la Procura ha però espresso parere negativo. Il motivo è molto semplice: il decreto legge del governo non ha effetto retroattivo. E’ la stessa procura a spiegarlo: “La legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo – è scritto in una nota – L’attività con la relativa produzione avvenuta prima dell’emanazione del decreto non è soggetta alle regole ivi contenute”.

I beni prodotti dall’Ilva prima dell’entrata in vigore del decreto legge sono dunque “soggetti a confisca poiché provento di attività che, almeno fino al 3 dicembre 2012, era da considerarsi condotta contra legem”. In sostanza “la richiesta di immissione nel possesso di beni sequestrati destinati alla commercializzazione – si legge ancora – non può che essere intesa come richiesta di dissequestro dei beni stessi, sussistendo altrimenti una oggettiva incompatibilità tra la permanenza del vincolo del sequestro e la commercializzazione dei beni sottoposti a sequestro”. Il parere è stato inviato al gip del Tribunale Patrizia Todisco per la decisione finale. Potrebbe dunque profilarsi la possibilità che rimangano sequestrati i prodotti finiti realizzati da luglio a novembre e che, invece, non siano più sequestrati i prodotti realizzati all’indomani del decreto del governo.

Ciò detto, venuta meno l’udienza in programma oggi al Tribunale del Riesame, come anticipato nei giorni scorsi, in queste ore potrebbe essere proprio il gip Patrizia Todisco, che ha firmato tutti i provvedimenti sull’Ilva dallo scorso luglio ad oggi, a sollevare la questione alla Corte Costituzionale raccogliendo anche i pareri della Procura. Oggi al Riesame si sarebbe dovuto discutere dell’istanza dell’Ilva per ottenere il dissequestro dei prodotti finiti bloccati dal 26 novembre, ma dopo il decreto del governo gli avvocati dell’azienda avrebbero ritenuto superato questo passaggio: sbagliando, come abbiamo visto dalla decisione presa ieri dalla Procura. Una mossa, questa dell’azienda, che se da un lato ha di fatto sottratto ai magistrati una sede in cui avanzare obiezioni al decreto – è nell’udienza di oggi infatti che i pm e il gip avrebbero potuto porre il tema dell’incostituzionalità – dall’altro non preclude in alcun modo la possibilità di farlo ugualmente in altre sedi. La partita è ancora lunga.

Gianmario Leone, TarantoOggi del 6-12-2012

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