Ilva, le strade del gip e della Procura
TARANTO – Il decreto ‘salva-Ilva’ varato venerdì dal Consiglio dei Ministri è passato all’esame della Ragioneria Generale dello Stato nel week end. Nella giornata di oggi quindi, dovrebbe essere trasmesso al Quirinale per la valutazione finale e la conseguente firma del Capo dello Stato. Che insieme al governo si prenderà la drammatica responsabilità di firmare un decreto legge che, probabilmente per la prima volta nella storia della Repubblica italiana, di fatto esautorerà il potere giudiziario, svuotando di senso il provvedimento della magistratura tarantina. Autorizzando la produzione di un’industria altamente impattante e inquinante, che provoca fenomeni di malattia e morte nella popolazione tarantina. Si lascerà diventare legge un’AIA, e quindi un decreto, che non tiene minimamente conto del problema della salute: semplicemente, lo si cancella. O, meglio, lo si subordina all’interesse economico.
Come ha infatti scritto il gip Patrizia Todisco nel provvedimento con cui venerdì ha bocciato l’istanza di dissequestro degli impianti dell’area a caldo avanzata dall’Ilva, “l’Autorizzazione integrata ambientale rilasciata all’Ilva dal ministro Corrado Clini non è fondata su studi o accertamenti tecnico-scientifici, e ha tempi di realizzazione incompatibili con le improcrastinabili esigenze di tutela delle salute della popolazione e dei lavoratori, tutela che non può essere sospesa senza incorrere in una inammissibile violazione dei principi costituzionali”. Il tutto, riportando l’Ilva nelle mani del gruppo Riva, il cui stato attuale dei vertici si divide tra arresti domiciliari, detenzione in carcere e latitanza all’estero.
Intanto, la Procura di Taranto riflette sul da farsi. La decisione definitiva sarà presa soltanto una volta presa visione della stesura definitiva del decreto. Ed avverrà collegialmente, al termine di una riflessione che riguarderà tutti e cinque i pubblici ministeri titolari dell’inchiesta. Ma al di là delle voci che si stanno rincorrendo nelle ultime ore, è bene entrare nel merito di ciò che realmente potrà accadere a partire da oggi. Sostanzialmente, sono due le strade percorribili per la Procura di Taranto (escludendo a priori una terza via che prefigurerebbe un’assenza di azione da parte dei magistrati tarantini): un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato o l’eccezione di incostituzionalità, le quali istanze dovranno essere presentate davanti ad un giudice. Ma attenzione: perché non è affatto obbligatorio farlo davanti al Tribunale del riesame che giovedì 6 dicembre dovrà discutere le ultime istanze presentate dall’Ilva (sia sulle misure cautelari personali di lunedì scorso che sul sequestro della produzione degli ultimi quattro mesi).
Le questioni di legittimità costituzionale, ad esempio, possono essere sollevate dal Pm, ma poi è sempre il giudice che decide se sono manifestamente infondate oppure se sono fondate. Nel primo caso le respinge, nel secondo la questione passa alla Corte costituzionale. Ma non è da escludere un terza via: perchè il gip Todisco potrebbe anche decidere di anticipare i tempi, ricorrendo alla Corte costituzionale con un provvedimento di suo pugno. Anche perché, che l’AIA e il decreto non siano costituzionali, lo dimostrano in prima istanza ben due articoli della Costituzione italiana: il 32 e il 41. Il 32 recita testualmente: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Il 41, invece, dice: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”. E’ chiaro a tutti dunque, come il decreto del governo non risponda assolutamente a questi principi: ecco perché già venerdì abbiamo definito l’operazione un esempio di dittatura del nuovo millennio. E siamo certi di essere nel giusto.
Ma oltre alla Costituzione italiana, esiste anche un altro documento dal valore fondamentale: la carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea. La quale, ad esempio, sancisce all’art.3 che “ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica e psichica”. Mentre nell’art. 35 si afferma che “nella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche ed attività dell’Unione è garantito un livello elevato di protezione della salute umana”. Questa normativa ha valore di trattato nell’Unione Europea, dopo la modifica dell’art. 6 del Trattato di Lisbona.
Stante così le cose, appare evidente – alla luce della prioritaria tutela del diritto alla salute riconosciuto dalla Carta UE – che un decreto legge come quello sull’Ilva che antepone l’interesse economico e la logica del profitto al diritto alla salute ed all’ambiente salubre – sia quanto meno in netto contrasto con la normativa comunitaria. Inoltre è bene tenere a mente che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo negli ultimi anni ha più volte censurato gli interventi normativi che condizionano le decisioni della magistratura. Anche i diritti tutelati dalla Carta Fondamentale per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo (CEDU), toccano molto da vicino il Diritto UE: l’art. 52 comma 3 della carta fondamentale dei diritti della UE dispone infatti che “laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione.
La presente disposizione non preclude che il diritto dell’Unione conceda una protezione più estesa”. Ecco perché, anche a fronte di ciò, ci sarebbero i margini per una questione pregiudiziale innanzi alla Corte di Giustizia Europea, quanto meno per chiedere se il decreto ‘salva-Ilva’ sia compatibile con gli art. 3 e 35 della carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea e con l’art. 6 della CEDU, come recepito dall’art. 52 c.3 della carta UE. Del resto, al di là della Corte Costituzionale, la vicenda di Taranto merita di certo la valutazione di una Corte internazionale.
Intanto, in città continua a non muoversi foglia. Grazie anche ai moralizzatori della domenica, che sui social network invitano i cittadini a restare chiusi in casa, a non reagire all’intervento dittatoriale dello Stato, a mantenere i nervi saldi, a firmare petizioni inutili sul web, rinviandoli ad una fantomatica manifestazione il prossimo 15 dicembre, oramai del tutto fuori contesto rispetto agli ultimi accadimenti. Perché ancora una volta si vuole anteporre la propria visibilità al bene comune: ma dubitiamo che questo continuare ad essere poco concreti e melliflui possa durare a lungo. Il sostegno alla Procura, lo si è già manifestato il 17 febbraio e il 30 marzo scorsi. Ora Taranto deve difendere i suoi diritti, il suo ambiente, la sua terra, il suo futuro: ad ogni costo. E deve farlo da sola, con le sue sole forze. Se ancora ne abbiamo in corpo. Il tempo dei giochetti virtuali è finito.
Gianmario Leone (TarantoOggi del 3-12-2012)