Dunque, anche il governo ha scoperto le sue carte. E lo ha fatto nel modo peggiore possibile: perché quella andata in scena ieri mattina alla Camera dei Deputati, è stata una recita indegna di uno Stato che si definisce civile e democratico. Del resto, sin dallo scorso luglio abbiamo paventato l’ipotesi di un conflitto tra poteri dello Stato sulla vicenda Ilva: da ieri è chiaro che da una parte c’è il potere legislativo e dall’altro quello giudiziario. Perché quando un ministro dell’Ambiente, durante l’Assemblea di Montecitorio per l’informativa sulla vicenda Ilva tenuta nella tarda mattinata di ieri, ha il coraggio di affermare che “a Taranto stiamo difendendo la legalità per la certezza delle regole” pur sapendo di stare per emanare un atto che andrà in conflitto con l’operato della magistratura, vuol dire che il limite della decenza è stato oramai del tutto oltrepassato.
Come detto, nella bozza del decreto legge, vi sono appena due articoli che diventeranno subito operativi. Nel primo è scritto che “per 24 mesi, a decorrere dall’entrata in vigore del presente decreto”, l’autorizzazione integrata ambientale è “da considerarsi parte integrante del presente decreto, esplica in ogni caso effetto”. Quindi, come diretta conseguenza, “nei limiti consentiti dal provvedimento”, “è in ogni caso autorizzata la prosecuzione dell’attività nello stabilimento salvo che sia riscontrata l’inosservanza anche ad una sola delle prescrizioni impartite nel provvedimento stesso”. In termini pratici, ciò vorrà dire che l’Ilva potrà produrre fino al novembre del 2015, a patto di rispettare le prescrizioni dell’AIA.
Nel secondo articolo, invece, è specificato sia a chi spetta il controllo della produzione industriale, sia il rispetto dell’attività di bonifica previste nell’AIA. Durante i 24 mesi indicati dal decreto infatti, “la responsabilità della conduzione degli impianti dello stabilimento resta, anche ai fini dell’osservanza di ogni obbligo, di legge o disposto in via amministrativa, inerente il controllo delle emissioni, imputabile esclusivamente all’impresa titolare dell’autorizzazione all’esercizio degli stessi sotto il controllo dell’autorità amministrativa competente”. In pratica, il governo affida all’Ilva stessa e al TAR, il controllo degli impianti e il rispetto delle emissioni. Alla scadenza dei due anni, poi, “previa verifica dell’integrale osservanza degli obblighi”, l’Autorità amministrativa competente (quindi ancora il Tar, ndr) procede “entro 15 giorni alla conferma o alla revoca del provvedimento di autorizzazione integrata ambientale”, con “ogni conseguenza prevista dalla normativa di legge”.
Dall’enunciazione di questi due articoli, è evidente come il governo proceda nella direzione esattamente opposta a quella intrapresa dalla Procura di Taranto. Perché autorizzare l’Ilva a produrre, vuol dire ignorare completamente l’ordinanza di sequestro preventivo dello scorso 26 luglio, che vietava la facoltà d’uso degli impianti. Vuol dire ignorare del tutto i provvedimenti dei custodi giudiziari delle scorse settimane circa il divieto di approvvigionamento delle materie prime per i parchi minerali e per la carica dell’agglomerato. Difatti, l’Ilva potrà tornare ad acquistare tutto il minerale utile per i parchi minerali (i cui cumuli torneranno ai livelli di prima del sequestro). Vuol dire ignorare del tutto il sequestro avvenuto lunedì scorsi, sui ‘prodotti finiti’ dell’Ilva: perché avvenuti nel corso degli ultimi quattro mesi, quindi in violazione della legge. Lamiere e lavorati d’acciaio “illegali” perché prodotti nonostante il sequestro e, come ha scritto il GIP nella sua ordinanza, “sulla pelle dei tarantini”. Perché l’Ilva, quando produce con gli impianti dell’area a caldo, oltre ad inquinare, genera fenomeni di malattia e morte: negli operai e nella popolazione. Ma la situazione sanitaria della popolazione tarantina, sembra non interessare nessuno. Per lo Stato ed i suoi apparati la priorità assoluta è salvare la produzione dell’acciaio, il resto, semmai, verrà dopo.
Questo, in linea del tutto teorica, può essere anche comprensibile. Ciò che non lo è affatto, è il voler sostenere la tesi per cui il decreto del governo si rende necessario perché chi sta ostacolando il regolare corso della giustizia e degli eventi, sarebbe la Procura di Taranto. Ma il ministro Clini sa perfettamente che l’intervento della magistratura non impedisce in alcun modo la possibilità per l’Ilva, qualora ci fosse davvero la reale volontà di farlo, di avviare le procedure di risanamento e bonifica previste nell’AIA. Il sequestro degli impianti dell’area a caldo ed il loro affidamento ai custodi giudiziari, si è reso necessario proprio per impedire all’Ilva di reiterare il reato penale di cui si è resa colpevole nel corso degli ultimi 20 anni.
Non è un caso del resto se gli stessi custodi, prima ancora della commissione IPPC, aveva indicato e individuato gli impianti da fermare o spegnere, per avviare l’azione di risanamento e bonifica. Così come il ministro Clini sa altrettanto bene che se l’Ilva chiuderà, è soltanto per volontà del gruppo Riva, che non ha alcuna intenzione di rispettare i provvedimenti dei custodi giudiziari e della Procura: è dunque sin troppo evidente chi non rispetta la legge. Ciò detto, risulta evidente che qualora la bozza diventasse decreto legge, il sequestro della magistratura sarebbe del tutto superato. Dunque diventerebbe nullo. Inoltre, con l’attuazione dell’AIA, verranno rimossi i custodi giudiziari nominati dal gip, visto che il controllo di tutto spetterà ai vertici dell’azienda. Ma quali vertici visto che sono praticamente tutti agli arresti domiciliari, in galera o sono stati raggiunti dagli avvisi di garanzia? Alla magistratura tarantina, ora, toccherà decidere se fare ricorso alla Consulta (perché si tratterebbe di un conflitto di poteri) oppure no: all’orizzonte, non ci sono altre strade percorribili. E non è detto che la Consulta dia ragione alla Procura.
Quanto sta per accadere è l’ultimo sopruso che lo Stato, insieme all’Ilva, ha intenzione di perpetuare nei confronti della città di Taranto. Un’azione di forza che per essere attuabile, avrà necessariamente bisogno dell’ausilio dell’esercito. Sembra di essere in un film di fantascienza, ma purtroppo questa è la realtà con cui dovremo fare i conti. A questo punto, è anche superfluo sottolineare come la difesa del territorio, dell’ambiente, del diritto alla vita e alla salute, ad un futuro economico alternativo alla grande industria, oltre che la difesa della propria dignità, di quella dei tanti ammalati, delle migliaia di morti, spetti unicamente alla popolazione tarantina. Che ognuno tragga le sue conseguenze e decida da che parte stare. Il tempo, ora, è davvero scaduto. Per tutti.
Gianmario Leone (TarantoOggi del 29-11-2012)
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