Toccare il fondo per risalire – Taranto, ultima per qualità della vita

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TARANTO – Si dice che per risalire bisogna prima toccare il fondo. Sarà. Forse però, questa frase fatta si addice di più al percorso di vita di una singola persona. Perché quando ciò avviene per un’intera comunità, il discorso cambia radicalmente. Taranto è l’ultima città d’Italia per qualità della vita nella classifica annuale della ricerca del Sole24Ore sulle province italiane. Ma per il capoluogo ionico, come scrive senza troppi giri di parole il maggior giornale economico italiano, questo risultato altro non è che la “storia di un declino annunciato”. Con la pubblicazione della ricerca che, per un tragico scherzo del destino, avviene proprio nel giorno in cui viene inferto un colpo da k.o. al sistema di potere che negli anni Ilva e istituzioni avevano costruito per lasciare che Taranto sprofondasse nel baratro in cui oggi si ritrova, abbandonandola al suo destino.

I dati della ricerca

I dati che scaturiscono dalla ricerca, sono impietosi. Svolta su 107 province invece che sulle 110 attuali, si articola su sei settori (tenore di vita, affari e lavoro, servizi ambiente e salute, popolazione, ordine pubblico, tempo libero) costruiti a loro volta su sei indicatori (per un totale di 36), che danno luogo a sei graduatorie di tappa e quindi alla classifica finale. In fondo alla classifica c’è Taranto, dunque, che può sorridere soltanto di fronte ai dati sull’Ordine pubblico: 54esimo posto rispetto al 67esimo del 2011, grazie all’incidenza modesta di scippi, borseggi, rapine e truffe. Per il resto, è notte fonda. 94esimo posto in Tenore di vita (rispetto al 74esimo del 2011) e in Servizi-Ambiente-Salute (85esimo rispetto al 2011) e al 95esimo nella voce Affari e lavoro (96esimo nel 2011). Risultati ancora peggiori si registrano nel Tempo libero e nella Popolazione: rispettivamente al posto 104 e 103 della classifica (102esimo e 103esimo del 2011). Ma il dato che deve fare più riflettere è un altro: Taranto risulta fortemente deficitaria sotto il profilo dei giovani, visto che la loro quota sul totale degli abitanti è scesa del 6 per cento  in dieci anni e la citta è al 105esimo in Italia per l’imprenditorialità dei 18-29enni: né più né meno di una vera e propria ecatombe sociale. Per concludere in bellezza, Taranto non appare tra le prime quindici posizioni in nessuno dei 36 parametri alla base dell’indagine.

Un declino storico

Indubbiamente, non possono essere dei freddi numeri a descrivere una realtà sociale o a sancire la verità assoluta. Perché per capire nel profondo cosa ci è accaduto negli ultimi vent’anni, bisogna andare ben oltre le statistiche che rappresentano comunque un qualcosa con cui fare i conti. Uno sprono per iniziare un’attenta analisi ed una lunga riflessione sui mali più profondi che affliggono la nostra città: se non procederemo per gradi, estirpando una ad un una le varie malapiante che hanno affondato le loro radici nel nostro territorio, non si potrà mai progettare o immaginare un futuro diverso. Ad esempio, per quanto riguarda il tenore di vita, negli ultimi vent’anni Taranto è scesa dal 74esimo del 1992 al 94esimo posto di oggi. Anche dal punto di vista degli affari e del lavoro, le cose non vanno meglio: 85esimo posto nel 1992, 103esimo nel 2002, 96esimo nel 2012. Dati che testimoniano, ancora una volta, che la famosa “vocazione industriale” di questa città sponsorizzata per anni da politica, classe dirigente e imprenditoriale, per finire ai sindacati, altro non era che una delle tante favole buone per fare da specchietto per le allodole ad una comunità da sempre restìa a difendere con orgoglio e dignità il territorio e le sue risorse. Ci si è voluti completamente fidare, si è preferito delegare qualunque tipo di scelta politica ed economica sul futuro: e i risultati drammatici di oggi sono sotto gli occhi di tutti. Del resto, basta prendere in considerazione i dati sui servizi e sull’ambiente. Nel 1992 Taranto era al 45esimo posto, oggi si ritrova al 94esimo. E si badi bene: l’indice di Legambiente utilizzato in questa ricerca, non ha tenuto conto delle polveri sottili e delle emissioni nocive sprigionate dall’Ilva. Il che descrive una situazione ambientale drammatica già in assenza dei dati sulle emissioni del siderurgico. Del resto, a partire dalla Marina Militare per poi proseguire con Eni, Cementir e le tre discariche presenti in provincia di Taranto oltre che all’interno dell’Ilva stessa, di danni all’ambiente ne sono stati fatti e se ne fanno tutt’ora in una misura unica in Italia. Come detto, anche dal punto di vista della demografia, la situazione è in costante peggioramento.

Del resto, appare pressoché scontata la fuga di migliaia di giovani da una città ed un territorio che negli ultimi 60 anni nulla ha fatto e prodotto per dar loro un motivo valido per restare. Che mancano e certamente non invogliano chi è rimasto, a mettere al mondo dei figli. Il tutto ha finito per generare una disaffezione e un’assuefazione generale verso la città: nel 1992 eravamo al 51esimo posto, oggi siamo al 103esimo, con la tendenza ad un ulteriore peggioramento rispetto al resto d’Italia. Stesso discorso sul tempo libero: dall’82esimo posto del 1992 al 104esimo posto attuale. Del resto, quando si ha appena il 5% di aree verdi mentre da anni i giovani tarantini sono “costretti” a fare sempre le stesse cose o a girare sempre i soliti posti, c’è poco di cui sorprendersi. L’unico dato positivo, come detto, lo registriamo sull’ordine pubblico: dal 79esimo posto del 1992 siamo saliti al 54esimo posto. Ma anche in questo caso, il merito è tutto della Procura di Taranto, capace in pochi anni di smantellare il sistema dei clan mafiosi che hanno insanguinato le strade di questa città negli anni ’80 e nei primi ’90. Vent’anni dopo, gli abbiamo chiesto di smantellare un altro sistema di potere: corsi e ricorsi storici.

Sguardo sul futuro

Lo ripetiamo: i dati e le statistiche della ricerca del Sole24Ore, non sono di certo la verità assoluta. Ma raffigurano un quadro innegabile della nostra città. Certo, sorprende che il giornale economico più importante d’Italia che negli ultimi mesi ha difeso la produzione dell’acciaio italiano griffato Ilva e guardato con diffidenza ai dati sanitari emersi negli ultimi mesi, titoli oggi a pagina 2, “Taranto, storia di un declino annunciato”. Se era così annunciato, perché sino ad oggi l’intero sistema economico-finanziario italiano ha continuato a proteggere e difendere a spada tratta “l’ingegnere dell’acciaio italiano”? Perché non si è intervenuti per tempo? Si è lasciato inquinare, distruggere, ammalare, morire un intero territorio e la sua comunità, iniettandole lentamente un veleno che non ha preservato nessuno.

Ed oggi è troppo facile lavarsene le mani attraverso una ricerca che si basa su dati e statistiche prive di qualsiasi ricetta, anche la più semplice, che indichi una via di salvezza. Si lascia Taranto e i suoi abitanti al loro destino, dopo averla definita strategica per l’economia e la difesa nazionale. Appare quindi di cattivo gusto e poco serio citare Guido Piovene, scrittore vicentino autore a metà degli anni 50 di un celeberrimo “Viaggio in Italia”, in cui a proposito di Taranto scriveva: “Questo porticciolo orientale, questa popolazione di pesci e di molluschi, è uno dei miei migliori ricordi italiani; e così nell’insieme il ricordo di Taranto, città di mare tersa e lieve, tanto che passeggiandovi sembra di respirare a tempo di musica”. Così come il citare il celebre verso del poeta romano Orazio (“in quell’angolo di mondo che più di ogni altro allieta”): Taranto è stata rovinata dallo Stato e dal governo ombra che da sempre tiene le fila di questo Paese, un miscuglio di politica, alta finanza, imprenditoria e massoneria, di cui i tarantini si sono fidati e lasciati ipnotizzare, finendo per inguaiarsi ancora di più con le loro mani, per la consueta ignavia e superficialità che li contraddistingue.

Ma tutto questo, se vogliamo, è già storia. Oggi è già un altro giorno e il sole è sorto ad Est. Il mare è ancora lì a proteggerci nonostante tutti i veleni inghiottiti. Abbiamo toccato il fondo, è vero. Così come è vero che c’è ancora molta pulizia da fare a tutti i livelli, anche nelle nostre coscienze. Ma non ci manca niente per imparare dagli errori che noi tutti abbiamo commesso negli ultimi decenni, per non ripeterli e cambiare tutto, riprendendo in mano le sorti di un territorio ancora tra i più belli in Italia, restituendolo alla sua gloriosa storia e vocazione: che certamente non è e non dovrà più essere quello dello sfruttamento industriale, dei suoi veleni, delle malattie, del dolore e della morte che ha generato per tanto, troppo tempo. Indietro non si può tornare, ma possiamo ancora scrivere pagine e pagine di storia. Una storia pulita e limpida: verde come i nostri cambi, blu come il nostro mare e azzurra come il nostro cielo. E soprattutto, finalmente, libera.

Gianmario Leone (TarantoOggi del 27-11-2012)

 

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