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Ilva: “Pronti a chiudere tutto”

TARANTO – Le carte sono oramai scoperte. Il guanto di sfida è stato lanciato senza tanti giri di parole. Il gruppo Riva, se non otterrà dalla Procura l’ok al dissequestro degli impianti dell’area a caldo, “chiuderà” l’Ilva. La notizia, in realtà, non c’è. Perché era chiaro sin dal primo momento che il gruppo Riva avrebbe adottato questa strategia, manifestando una volta di più il suo totale disinteresse nei confronti del futuro di quegli operai che hanno contribuito a renderlo uno dei gruppi leader del mondo nella siderurgia, oltre che nei confronti di un territorio che ogni singolo giorno paga un dazio altissimo ed inaccettabile a ciò che ancora oggi ci ostiniamo a chiamare “sviluppo economico”, “progresso”.

Ma andiamo a leggere l’istanza presentata martedì in Procura, a firma del presidente del Cda dell’Ilva Bruno Ferrante, e dell’avvocato Marco De Luca di Milano. “Se il sequestro preventivo dovesse permanere, pur a fronte del mutato quadro autorizzatorio, l’ovvia insostenibilità economico-finanziaria condurrebbe inevitabilmente alla definitiva cessazione dell’attività produttiva e alla chiusura del polo produttivo”. Il perché il dissequestro per il gruppo Riva è propedeutico all’attuazione di quanto l’Autorizzazione ambientale prescrive, è presto detto. Per l’azienda infatti, soltanto l’attività di impresa “può generare le risorse necessarie alla relativa ottemperanza dell’AIA”. L’assolvimento agli obblighi dell’autorizzazione, che intima una serie di interventi ambientali e impiantistici, richiede un necessario ed ingente ricorso al credito che per l’Ilva “risulta impossibile in presenza di provvedimenti limitativi della proprietà e della gestione dello stabilimento”. Peccato che nessuno abbia mai vietato all’Ilva di intervenire da subito nel risanamento degli impianti: è un impedimento che il gruppo Riva si è auto inflitto.

Ma al di là del semplice gioco dialettico, tutti hanno capito che la teoria dell’impossibilità ad operare sugli impianti è una favola che sfiora il ridicolo. Nonostante ciò, il vincolo presente sull’area a caldo, a causa del sequestro giudiziario in atto, “diviene, da subito, economicamente insostenibile”. Dunque, il gruppo Riva non ha minimente intenzione di attingere alle proprie casse per investire nel siderurgico tarantino. Nello stesso tempo però, è ovviamente ben contenta di poter beneficiare dei prestiti che potrebbero arrivare in futuro dalla Banca Europea degli Investimenti e dalla Cassa Depositi, come abbiamo anticipato ieri. Ma il presidente Ferrante, non contento, nella serata di ieri ha rincarato la dose. Forte, oramai questo è sin troppo chiaro, dell’appoggio silenzioso dell’attuale governo. “Siamo davanti a un bivio: una strada indicata dal governo indica un futuro e si può sperimentare attraverso l’applicazione dell’AIA; una strada senza uscita quella indicata dalla Procura di Taranto”. Attenzione, però: perché anche la strada indicata dal ministero dell’Ambiente, per lo stesso Ferrante “si può sperimentare”.

Il che vuol dire soltanto una cosa: che anche qualora l’Ilva ottenesse il dissequestro degli impianti, nel caso in cui ci si rendesse conto che l’impresa non vale la spesa, cosa peraltro già adesso assolutamente certa, abbandonerebbe comunque al suo destino il siderurgico tarantino. Ma non finisce qui: perché di fronte ad un nuovo “niet” da parte della Procura, Ferrante anticipa che “ci appelleremo e faremo ricorso contro una decisione negativa della Procura”. Un messaggio ancora più eloquente, poi, Ferrante lo invia allo Stato ed al mondo economico italiano: “bisogna dire con chiarezza chi decide la politica industriale nel Paese, la chiusura dell’area a caldo di Taranto avrebbe ripercussioni sull’intero sistema economico del Paese”. Peccato che sia all’Ilva che al governo, come ai sindacati e purtroppo alle nostre istituzioni, sfugga un semplice quanto scontato dato di fatto: la politica economica del territorio ionico, dovrà essere decisa dai tarantini e da nessun altro. Cosa invece accaduta sistematicamente negli ultimi 120 anni.

Come detto più volte in questi giorni, il parere della Procura della Repubblica di Taranto sull’istanza di dissequestro degli impianti dell’area a caldo, sarà senz’altro negativo. Per questo motivo, la decisione definitiva non sarà presa dalla Procura ma dal GIP del Tribunale, al quale gli stessi Pm gireranno l’istanza con il loro parere negativo motivato. Tutto questo dovrebbe avvenire già oggi, la decisione probabilmente arriverà nel fine settimana. La decisione finale spetterà al GIP perché così come avvenuto di fronte alla richiesta avanzata dall’Ilva di poter ottenere l’ok per “una minima capacità produttiva”, anche nel caso del dissequestro, qualora esso fosse concesso, determinerebbe lo stravolgimento totale del senso dell’ordinanza di sequestro preventivo firmata dal GIP Todisco lo scorso 25 luglio.

Ciò detto, è arrivato il momento che l’intera città si mobiliti per prendere in mano una volte e per tutte il suo destino. Il tempo dei tentennamenti è finito. Bisogna scegliere da che parte stare. Ed è difficile immaginare una scelta diversa da quella che porta a difendere, senza se e senza ma, la nostra salute e la salvaguardia dell’ambiente. Non è più tempo di tergiversare, né di compromessi. Né di continuare a sprecare fiato in parole. Il futuro è adesso. Una seconda occasione non ci sarà.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 22 novembre 2012)

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