Malattia e morte, l’Ilva sulle perizie: “E’ tutto falso”
TARANTO – Come annunciato la settimana scorsa, nella mattinata di ieri i legali dell’Ilva hanno depositato al Tribunale di Taranto l’istanza di dissequestro dell’area a caldo dello stabilimento, sotto sequestro preventivo dallo scorso 26 luglio. La richiesta dell’azienda segue l’ok, ancora parziale e non definitivo, della commissione del ministero dell’Ambiente (di cui fanno parte anche Comune, Provincia di Taranto e Regione Puglia) al piano tecnico per l’applicazione dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) presentato dall’azienda, la cui realizzazione sarà “attuata” dall’Ilva soltanto a fronte dell’ok dei giudici alla richiesta di dissequestro.
Alla Procura, i legali del siderurgico hanno depositato i commenti alle perizie disposte dal GIP che confutano il provvedimento di sequestro preventivo da parte dell’Autorità giudiziaria e i provvedimenti di custodia cautelare degli ex vertici dell’azienda. Le azioni intraprese dalla Procura nei confronti della società del gruppo Riva, sono basati sulle perizie acquisite nell’incidente probatorio in cui furono discusse la perizia chimica ed epidemiologica disposte dal GIP che, secondo la documentazione depositata dall’azienda, sarebbero da considerarsi del tutto inaffidabili.
La “controperizia” contesta praticamente punto per punto la perizia degli esperti epidemiologi nominati dalla Procura: ad esempio, si contestano sia gli effetti a lungo termine nella popolazione generale, sia gli effetti a lungo termine riferiti ai lavoratori: i primi perché “sarebbero comunque da attribuire a esposizioni nel lontano passato, e di conseguenza alla proprietà precedente (fino al 28 aprile 1995)” ed i secondi perché “riguardano soggetti con pregresso impiego in siderurgia nel 1974-97, e quindi – se reali – vanno in larga parte attribuiti alla proprietà precedente”. Dunque, l’Ilva sposta il problema delle responsabilità sull’Italsider di proprietà dello Stato sino alla vendita al privato Riva. Come se l’inquinamento nocivo per la popolazione e gli operai, fosse soltanto quello prodotto sino al 1995, dimenticando, evidentemente, di aver detenuto anni addietro anche l’infelice record di industria responsabile del 92% delle emissioni di diossina in Italia e dell’8,8% in Europa, tanto per dirne una in merito ai dati di anni passati (pari a 3,5 volte quella del disastro di Seveso).
Inoltre, come del resto era preventivabile, l’Ilva sottolinea quelli che nella perizia sono i limiti delle indagini effettuate, tra l’altro segnalati dagli stessi esperti epidemiologi: “La popolazione studiata è relativamente piccola e il numero di eventi osservati è relativamente poco numeroso. Questo comporta una forte incertezza nelle stime (pag.174, pag .212). La popolazione oggetto di indagine è di piccole dimensioni e le stime hanno ampi intervalli di confidenza (pag. 213)”. E qui, al di là degli effettivi 8 mesi che hanno avuto a disposizione gli esperti incaricati dal GIP Todisco, torna d’attualità quanto scrivemmo l’indomani l’assegnazione dell’incarico nel giugno del 2011: ovvero il fatto che questi esperti di fama internazionale, si sono trovati di fronte a dati “limitati” per colpa di responsabilità politiche dovute a decenni di complicità con la grande industria.
Lo abbiamo scritto e denunciato più volte in questi anni: quanto fatto dalla Procura di Taranto, andava fatto molto tempo prima da chi aveva il dovere di controllare, prevenire, indagare, tutelare la salute dell’intera popolazione, operai in primis. Connivenza che è durata sino al giorno della deposizione della prima perizia, quella degli esperti chimici, lo scorso febbraio: prima di allora, le lodi nei confronti dell’azienda Ilva sulla sua continua ambientalizzazione degli impianti, tanto da essere presentata come modello a livello europeo, avvenivano ogni giorno senza timore di essere smentiti. Ecco perché tutto quello che vien fatto oggi, a qualunque livello e proposto da chiunque, ha un deficit di credibilità pressoché totale.
Ciò detto, non vogliamo assolutamente sostituirci agli esperti chimici, epidemiologi ed alla magistratura. Ma un qualcosa in più, possiamo dirla anche noi: riprendendo ciò che scrivemmo già lo scorso 28 marzo ma che ovviamente rimase lettera morta per chiunque, anche tutti coloro i quali in questi ultimi mesi si sono erti a paladini della difesa della salute e dell’ambiente dopo aver volutamente ignorato per anni il problema. L’Ilva ed i suoi esperti infatti, attaccano anche e soprattutto sulla questione del Pm 10: “Le stime sulla mortalità a breve termine sono quelle rilevanti per le esposizioni attuali, ma sono anch’esse basate su assunzioni e modelli criticabili e, soprattutto, riferiti a valori scelti in maniera del tutto arbitraria, non corrispondenti alla normativa vigente. La distorsione dei risultati ottenuti si deve alla scelta arbitraria di aver utilizzato per il PM10 la soglia di 20 itig/m3. Se infatti, anziché la soglia di 20 i.tg/m3, proposta come linea guida dall’OMS, fosse stato utilizzato il limite di legge di 40 1.tg/m3fissato dall’Unione Europea (e recepito in Italia con Decr. Legisl. n. 155 del 13.8.2010) l’eccesso di decessi a Taranto sarebbe pari a zero, – non invece 83 come riportato a pagina 167. Il limite europeo ora in vigore di 40 pg/m3 è peraltro utilizzato anche nel menzionato articolo di Baccini, Biggeri et al. (2011)”.
Nelle carte si sostiene la scontata tesi che i livelli di Pm 10 registrati a Taranto, risultano inferiori rispetto ad altre città italiane ed estere: come se avesse un senso logico paragonare la città di Taranto ad aree metropolitane grandi il triplo o il quadruplo del territorio ionico. Bene. Ma evidentemente l’Ilva non sa che la “Società europea di medicina respiratoria”, nei primi giorni di marzo, ha pubblicato un documento che ha già stravolto le discipline in materia ambientale. Il testo di questo documento è stato pubblicato sulla rivista ‘European Respiratory Journal’, e vede come primi destinatari, i legislatori della Unione europea, chiedendo loro di tener conto di questo documento, quando si dovrà mettere mano alla nuova Direttiva europea che fissa i limiti degli inquinanti nell’aria. I punti del documento sono dieci, ed è firmato dai più noti epidemiologi ambientali, fra cui Bert Brunekreef dell’Università di Utrecht e, guarda un po’, dal “nostro” Francesco Forastiere del Servizio sanitario del Lazio.
Gli specialisti scrivono testualmente che “la direttiva europea che fissa attualmente i limiti di legge degli inquinanti (la 2008/50) non tutela in realtà la salute”, ma è un compromesso tra il voler “contenere” il danno sanitario e gli obiettivi realistici di tipo politico e tecnologico che si possono a tutt’oggi ottenere. Basti dire che “il limite (che vale anche per la legge italiana) di 25 microgrammi /metro cubo per le polveri più sottili (2,5 micron) non è sufficiente a proteggere da rischi di tumori e infarti. Le linee guida dell’OMS, peraltro, sono di due volte e mezzo più restrittive, e anche la legislazione statunitense è più cautelativa. I limiti dettati dalle leggi nazionali antismog ingenerano nella popolazione un falso senso di sicurezza. Non si creda che rispettando questi non si abbiano conseguenze sulla salute. Purtroppo i limiti di sicurezza per il particolato, l’ozono, gli idrocarburi incombusti, gli ossidi di azoto, sono molto bassi. Ben lontani, ancora da quelli che quotidianamente respiriamo, e che attualmente sono responsabili di 625 milioni di giorni di malattia all’anno nel vecchio continente”.
Oltre l’Ilva, anche i nostri politici e i sindacati ignorano ciò: queste poche righe infatti, demoliscono per sempre la favola della “eco-compatibilità”, così come quella secondo cui, rispettando i famosi “valori limite” e “valori obiettivo” delle emissioni inquinanti, non ci sarebbero più rischi per l’ambiente e la salute. Altro che eco-compatibilità, valori limite, nemmeno un grammo in più di inquinamento, migliori tecnologie (BAT), migliori tecnologie in assoluto (BREF), leggi anti-diossina, leggi sul benzo(a)pirene, limiti di Pcb, bonifiche, piani di qualità dell’aria e quant’altro: anche l’Europa ha capito che l’unico sistema per salvarsi, è quello di ripensare l’intero sistema economico, seguendo la strada della riqualificazione e della diversificazione economica, che dovrà inevitabilmente poggiare solo sulle risorse naturali di ogni singolo territorio. Ma siamo consci del fatto che, ancora una volta, stiamo parlando in arabo: perché a queste conclusioni, visto l’andazzo che tira, forse ci arriveremo tra 50 anni. Forse.
Intanto, è bene precisare che l’Ilva sostiene delle teorie che, ancora una volta, non dicono la verità. Nella perizia epidemiologica infatti, grafici alla mano si evidenzia come i limiti di legge siano stati superati in tutti gli anni presi in considerazione dal 2004 al 2010, tranne l’anno 2009 (anno in cui la produzione di acciaio in Italia è risultata inferiore rispetto ai precedenti). Inoltre, valutando la media annuale del PM10 e utilizzando come valore limite 40 microgrammi/m3, si sono registrati superamenti negli anni 2006 e 2007. Inoltre, va ricordato che la centralina posizionata ai Tamburi in via Machiavelli, già lo scorso 26 agosto ha superato i 35 sforamenti giornalieri previsti dalla legge in vigore. Ma tutto questo, secondo l’Ilva ed i suoi periti ,è clamorosamente falso. O comunque non del tutto vero. Per i periti nominati dal gruppo Riva è tutto opinabile, poco credibile. Soltanto loro sono in possesso della verità. Per fortuna questa farsa è destinata a durare ancora per poco.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 21-11-2012)