TARANTO – Sulle colonne del “Corriere del Mezzogiorno – Economia” (supplemento del Corriere della Sera, ndr), è apparsa un’interessante intervista a Ronald Voogt, senior manager del porto di Rotterdam. Diventato in un decennio il primo porto d’Europa, grazie alla trasformazione della struttura in una società per azioni: la proprietà è rimasta pubblica (70% del Comune, 30% dello Stato), ma la gestione è diventata privata, gestita attraverso un comitato esecutivo e un comitato di vigilanza. Dal 2004, “il margine operativo lordo è cresciuto del 3% ogni anno”.

Inevitabile, durante l’intervista, il ritorno sulla non avvenuta partenership con il porto di Taranto. Che sembra oramai del tutto naufragata, visto che Rotterdam è in trattative con il porto di Costanza, in Romania. La scelta dei manager olandesi, è scaturita “per motivi giuridici, ma non solo. Quando ad aprile abbiamo sottoscritto il protocollo d’intesa con Taranto abbiamo specificato che avremmo valutato se procedere con il finanziamento dell’operazione. Ora stiamo valutando altre soluzioni”. Alla base della decisione, dunque, c’è sicuramente il dover fare i conti con le maglie strettissime della burocrazia della legislazione italiana in materia di competenze marittime delle varie Autorità portuali.

Ma come già scritto nel recente passato su queste colonne, sul fallimento della trattativa è pesato moltissimo l’incerto destino a cui va incontro l’Ilva di Taranto. Ed infatti Voogt è molto onesto nell’affermare che “per noi la situazione Ilva non è molto chiara e se aggiungiamo questo elemento a quello relativo all’autonomia del porto diventano più cogenti le motivazioni delle nostre scelte. Infatti, se chiudesse Ilva, si determinerebbe lo scenario peggiore per un operatore, per un investitore: ma come si fa a gestire un porto senza avere certezze su una questione di tale importanza? Non ho mai visto una situazione del genere”: non lo venga a dire a noi, caro sig. Voogt.

Ciò detto, tutta questa storia qualche perplessità ce l’ha comunque lasciata.Ad esempio: possibile che a Rotterdam non conoscessero le criticità della legislazione italiana in materia di Autorità Portuali, prima di scendere a Taranto lo scorso aprile? Così come è sempre stata poco plausibile la possibilità che Rotterdam un domani avrebbe fatto il suo ingresso nel capitale sociale dell’Autorità portuale di Taranto. Probabilmente, alla base di tutto, c’era la volontà di provare a capire quale margine di operatività e quali vantaggi avrebbe potuto avere Rotterdam entrando nel traffico commerciale italiano e della Puglia in particolare.

Ciò detto, appurato l’addio di Rotterdam, visti nella scorsa settimana i movimenti delle Autorità portuali di Brindisi e Bari, veniamo alla situazione dello scalo ionico. Ed in attesa che si muova qualcosa sul fronte dei lavori, torniamo sul tasto dolente del Distripark, unica reale possibilità per attirare nuovo traffico. Del resto la Regione Puglia, dopo aver chiesto ed ottenuto di definanziare il progetto della realizzazione del Distripark a Taranto dirottando i 35 milioni di euro previsti a favore della realizzazione del Molo polisettoriale dello scalo, da tempo ha scelto di puntare su Bari e Brindisi, non solo come scali turistici, ma anche commerciali, grazie ai vari corridoi europei. Immaginiamo cosa potrebbe accadere se si dovesse rafforzare il collegamento Brindisi-Bari e l’interporto barese con la linea ferroviaria adriatica per i traffici domestici e il sistema feeder (ormai operato con navi fino a 5000 TEU) dai porti Hub del Nord Africa ai porti del basso Adriatico e del basso Tirreno per piccole quantità di contenitori da poi instradare per ferrovia e con i Porti del Nord Tirreno e Nord adriatico per quantità di contenitori di maggior consistenza da lavorare e consegnare nel Nord Italia e Europa centrale.

E pensare che proprio il Distripark, a Taranto, oltre che assolvere alle funzioni proprie di sostenere e attrarre il traffico container (l’unica vera fonte di sviluppo e di occupazione) potrebbe costituire l’area di sosta e smistamento delle merci per la città, concentrando in una area di logistica attrezzata tutte le attività commerciali all’ingrosso che da fuori convergono su Taranto per il commercio al dettaglio, con grande sollievo anche alla circolazione della distribuzione delle merci in città. Ma i nostri politici, la classe dirigente e i sindacati dormono e su questo fronte non hanno mai realmente adottato alcuna iniziativa. Preferiscono restare in ostaggio di Bari e Brindisi, continuando a difendere strenuamente l’esistente: provando a salvare l’Ilva, approvando e sostenendo i progetti di Eni e Cementir e autorizzando la nascita di nuovi inceneritori. Relegando lo scalo ionico a semplice funzione di transhipment di container (carico e scarico). Sino a quando non termineranno anche quelli. Nella speranza, soltanto loro, che il siderurgico non chiuda. Che il cemento continui a scorrere. Che il petrolio lucano non finisca entro i prossimi 50 anni. E che si continuino a bruciare ogni giorno tonnellate di rifiuti. Di altre Regioni. Non c’è dubbio: ci attende un futuro “radioso”. Chapeau.

Gianmario Leone (TarantoOggi del 20-11-2012)

 

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