el resto, lo ribadiamo ancora una volta, il sequestro non prevede che non si possa investire ed operare sugli impianti risanandoli o ricostruendoli a seconda delle criticità riscontrare. Semplicemente, devono farlo non producendo: perché in questo modo si reitererebbe il reato per cui gli impianti sono stati sequestrati e per cui devono essere fermati o spenti. E’ un ragionamento talmente semplice e logico che non capiamo davvero il perché si voglia insistere su questo fronte, tentando di generare un conflitto di idee e intenti in realtà inesistente. E certamente, non basterà e non potrà bastare, presentare alla Procura un’istanza all’interno della quale sia presente un piano “dettagliatissimo” dove siano indicati sia gli interventi di ammodernamento e i tempi di esecuzione, sia i fondi disponibili e i contratti di affidamento dei lavori alle imprese prescelte. La produzione deve cessare, gli impianti si devono fermare. E il gruppo Riva possiede le risorse per investire 3, 4, 5 o 10 miliardi di euro. Il problema, in realtà, è sempre lo stesso: non si vuole rinunciare agli utili e ai ricavi, né si vuole correre il rischio di investire e attuare le varie modifiche, per poi rischiare, una volta finiti i lavori, un’altra bocciatura da parte degli organi di controllo e della magistratura.
E’ oramai chiaro a tutti infatti, anche se noi lo scriviamo da mesi, che soltanto un intervento deciso e autoritario del governo potrà salvare l’Ilva da un vicolo cieco senza uscita. Ma un’azione del genere da parte del governo, è molto più semplice a dirsi che a farsi: staremo a vedere. Intanto, l’autorizzazione dei custodi a scaricare 45 mila tonnellate nella giornata di giovedì, era riferito al carico di una sola nave: il che non esclude affatto che l’Ilva possa comunque decidere di fermare la produzione. Ma anche qui, come sottolineato nella lettera di Ferrante ai Pm, il problema è ancora una volta principalmente economico: la possibilità di arrivare a perdere sino a 12 milioni di dollari – costringendo le navi a sostare in rada più del tempo previsto (visto che trasportano quantitativi di minerale ben superiore alle 15mila tonnellate autorizzate allo sbarco) – è visto con il fumo negli occhi dal gruppo Riva.
Intanto oggi, come annunciato nei giorni scorsi ai sindacati metalmeccanici, l’azienda metterà in ferie forzate i lavoratori del reparto Produzione lamiere 2, a cui si aggiungeranno da mercoledì quelli del Tubificio 2. In tutto si tratta di 500 operai impiegati nei due reparti per i quali l’Ilva ha chiesto la cassa integrazione ordinaria per 1940 lavoratori dell’area a freddo a causa della “crisi di mercato e della mancanza di ordini di lavoro”. Ma sul ricorso agli ammortizzatori sociali, non c’è accordo con i sindacati, con l’azienda che non pare intenzionata a fare passi indietro: per questo domani ci sarà un nuovo incontro tra le parti. Intanto i sindacati provano a giocare d’anticipo: oggi Cgil, Cisl e Uil Taranto, insieme a Fim, Fiom e Uilm Taranto, invieranno una lettera alle rispettive organizzazioni nazionali sollecitandole a chiedere l’intervento della presidenza del Consiglio sulla vicenda Ilva.
I sindacati infatti, avendo intuito che il loro ruolo è oramai marginale e insignificante, e temendo il disimpegno totale del gruppo, sono oramai entrati nell’ordine delle idee che solo un’iniziativa della presidenza sulla proprietà, possa fare chiarezza in merito alla volontà o meno di investire sull’Ilva. Mentre l’USB, l’Unione sindacale di base, è pronta a chiamare alla mobilitazione tutta la città, minacciando di fermare l’Ilva prima del 14 dicembre, “perché non é possibile restare inermi davanti a un atteggiamento di questo tipo da parte dell’azienda”, come dichiarato dal portavoce Usb Ilva, Francesco Rizzo. Il momento è catartico, come si può facilmente intuire. E la settimana che va ad iniziare oggi, potrebbe regalarci molto sorprese.
Gianmario Leone (TarantoOggi del 19 novembre 2012)
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